Prima o poi doveva succedere. I social network hanno acquisito ormai un ruolo molto importante all’interno della società che supera il progetto iniziale di proporsi al web come semplice community o portale.
Mettere delle regole uniformi appare pertanto estremamente necessario ed enormemente difficile, ed ora la Commissione Europea pare stia intraprendendo quello che dovrebbe essere l’intervento più significativo nel mercato digitale dall’adozione, nel lontano 2000, della direttiva sul commercio elettronico.
Sarà un cammino molto lungo, ma il progetto rappresenta uno dei pilastri per l’Europa del futuro. Vediamo quali sono gli obiettivi.
La lunga strada verso il Digital Services Act (DSA)
Il 2 giugno, la Commissione europea ha avviato un’ampia consultazione pubblica sul suo prossimo Digital Services Act (DSA), ovvero la proposta di riforma delle regole per le piattaforme digitali che vedremo forse pubblicata nell’ultimo trimestre di questo anno e, poi, mandata in approvazione al Consiglio Europeo e Parlamento Europeo come da iter legislativo. La strada sarà lunga. Ogni proposta della Commissione, per convertirsi in legge, prenderà dai 12 ai 18 mesi. Dunque, la prospettiva è che vedremo la nuova normativa definitiva non prima del 2022.
In buona sostanza, siamo in fase prodromica, forse la parte più importante e delicata, quella in cui occorre metter mano alle regole del gioco dei colossi dominanti, i GAFA. Infatti, la Commissione si è già adoperata ad agire nel rispetto di tutti gli equilibri, e la partenza è davvero lodevole. Si pensi infatti che autorità e cittadini sono chiamati a votare fino all’8 settembre al fine aiutare le istituzioni nella formulazione del futuro codice normativo per i servizi digitali. La consultazione verte su temi quali la sicurezza online, la libertà di espressione, l’equità e condizioni di parità nell’economia digitale. Ma è pur vero che, nonostante lo sforzo democratico con un parere aperto a tutti, sono tanti i quesiti che richiedono conoscenze e competenze tecniche alla portata di pochi.
Il Commissario per il Mercato interno, Thierry Breton, ha dichiarato: “Le piattaforme online hanno assunto un ruolo centrale nella nostra vita, nella nostra economia e nella nostra democrazia. Da questo ruolo derivano anche maggiori responsabilità, ma per questo è necessario dotarsi di un codice normativo moderno per i servizi digitali. Oggi avviamo questa consultazione pubblica: terremo conto di tutti i pareri espressi e rifletteremo insieme per trovare il giusto equilibrio tra i seguenti aspetti: fare in modo che internet sia sicuro per tutti, tutela lare la libertà di espressione e garantire che vi sia spazio per l’innovazione nel mercato unico dell’UE.”
Ci troviamo, quindi, di fronte ad uno dei progetti faro del piano della Commissione per creare “Un’Europa adatta all’era digitale”. Tuttavia, nell’aggiornamento di alcuni aspetti del mercato interno per i servizi online, questa iniziativa affronterà questioni estremamente spinose come, appunto, le potenziali modifiche all’esonero della responsabilità dei fornitori di servizi online, attualmente previsto dalla Decreto Legislativo n. 70/2003 in attuazione della Direttiva 2000/31/CE.
Gli obiettivi del Digital Service Act
Ma vediamo esattamente quali sono gli obiettivi prefissati nella proposta:
- Garantire più sicurezza agli utenti, anche tramite l’accesso ai dati personali trattati dai fornitori dei servizi in caso di attività illegali online come, ad esempio, la vendita di prodotti pericolosi e contraffatti, contenuti d’odio, disinformazione e pubblicità ingannevole;
- Rivedere il regime di responsabilità previsto dalla direttiva sul commercio elettronico in relazione ai servizi digitali, con particolare attenzione alla necessità di modifiche per taluni intermediari quali social media, motori di ricerca, mercati online e cloud storage providers;
- Affrontare le problematiche associate al ruolo di ” gatekeeper ” delle piattaforme digitali e rivalutare i concetti di “potere gatekeeper” e “potere di mercato”;
- Garantire una maggiore trasparenza in materia di advertising online e smart contracts;
- Tutelare la situazione dei lavoratori delle piattaforme online , comprese le questioni in materia di salute e sicurezza, i servizi di mobilità per il trasporto passeggeri, le consegne di cibo e le piattaforme di lavoro domestico;
- Individuare quale struttura di governance potrebbe essere richiesta per completare il mercato unico dei servizi digitali e come i regulators potrebbero lavorare in modo più efficace.
La pandemia ha chiaramente confermato sia l’importanza dei servizi digitali sia le loro vulnerabilità. L’obiettivo è quindi affrontare efficacemente questi problemi ed evitare l’emergere di un panorama giuridico sempre più frammentato nel mercato interno e la Commissione si è impegnata ad aggiornare le norme sulle responsabilità e gli obblighi dei servizi digitali. In tale contesto, la proposta mira a rafforzare il mercato interno dei servizi digitali, a stabilire più chiaramente regole più rigorose e armonizzare le responsabilità al fine di aumentare la sicurezza e la protezione dei cittadini online.
La Commissione Europea su una pagina dedicata invita gli utenti a lasciare feedback fino al 30 giugno sulle tabelle di marcia della proposta, contenenti le varie opzioni politiche, tra cui quelle sugli strumenti di regolamentazione ex ante per le piattaforme più grandi e sulla responsabilità che dovrebbero avere le piattaforme online. Queste consultazioni sono aperte fino al 30 giugno.
Del resto, un intervento sembrava necessario per il forte impatto che da anni i social hanno sulle nostre vite e l’unica direzione possibile è quella dell’educazione alla rete, altrimenti la bolla esplode.
Il tema della responsabilità
Ad esempio, il fact-checking sui contenuti pubblicati sui social, può essere un’opzione? Del resto proprio in questi giorni ci si chiede se un controllo ex ante da parte della piattaforma determini il passaggio da mero provider a editore, con le ovvie conseguenze in tema di responsabilità. Ebbene, leggendo la documentazione presentata dalla Commissione europea sino ad ora, l’attività in capo ai social sembrerebbe di tipo neutrale e non determinerebbe, con l’entrata in vigore della nuova normativa (a quanto pare sarà un Regolamento) un passaggio di responsabilità propria dell’editore.
Ma il tema della responsabilità resta caldo. Infatti, nel panorama attuale, le piattaforme sono sostanzialmente immuni alle attività degli utenti, e tutti i social godono indistintamente del medesimo regime di responsabilità. Invece, da quanto emerge dalla proposta del Digital services Act, si arriverà nel 2022 ad una responsabilità proporzionale al modello di business della piattaforma, ovvero maggiori oneri graveranno su quelle più importanti che, ad esempio, traggono lucro profilando gli utenti e riordinando in modo mirato i contenuti. Sostanzialmente non se ne potranno lavare le mani. Se invece la piattaforma fungerà da mero hosting, il regime e i relativi oneri saranno più irrisori.
Di sicuro “big” come Apple e Google, che godono di una posizione dominante sul mercato e hanno controllo sul traffico e sulle attività degli utenti, dovranno iniziare a porre maggiore attenzione sui contenuti che impattano nella vita delle persone, sulle fake news insomma.
Se da una parte ci si chiede quali soluzioni tecnologiche potranno mai adottare le Big per implementare un controllo sui contenuti, dall’altra ci chiediamo se una responsabilità che dipenda dall’entità del business del social sia una cosa giusta. La risposta sembrerebbe affermativa considerando che, dal punto di vista legislativo, questa nuova manovra dovrebbe essere considerata come prosecuzione della strada già intrapresa con il Gdpr, rientrando nei 4 punti che l’UE europea può toccare (privacy, tassazione, competizione, beneficio sociale), oltre che nell’ottica di social “più socialmente utili” rispetto a quanto lo siano oggi.
Un possibile scenario, o meglio danno, che le grandi piattaforme social potrebbero paventare è quello della perdita di utenti se i contenuti immessi subiranno un filtro preliminare alla pubblicazione dei contenuti. Ma per questi dettagli tecnici, come eventuali tools ad hoc, attendiamo che si esprima con precisione la Commissione entro la fine di quest’anno. Per ora le intenzioni appaiono legittime e il processo democratico.
Di certo, occorre rilevare, che l’attuale regolamentazione (datata 2000) non riesce più a rispondere ai modelli di business sviluppati negli ultimi anni. Come al solito, copiosa è stata la giurisprudenza, sia della Corte di giustizia che nazionale che, intervenuta a sopperire lacune legislative, ha cercato di adeguare una normativa a volte obsoleta per questi nuovi modelli. La vecchia normativa è stata immaginata in un’epoca quasi preistorica dell’internet moderno (pensiamo, infatti, come nel nostro contesto europeo non esistesse ancora Facebook, gli smartphone e addirittura solo pochi, privilegiati, utilizzavano Internet). Non possiamo che ammettere pacificamente come questa legge guardasse al futuro, ad un terreno ancora vergine di Internet, ed ha quindi consentito, con le sue regole, di dare vita a modelli di business che tenevano basso il rischio della responsabilità per chi si affacciava sul nuovo panorama.
Una regolamentazione che guardi al futuro
Ora, la maggiore preoccupazione, è che si lavori guardando solo al presente, senza prefigurare una regolamentazione ad ampio raggio in grado di servire il futuro business. Ciò perché una giusta regolamentazione non può essere fatta da norme eccessivamente stringenti, ma dovrebbe lasciare aperta la possibilità al mercato di evolversi, sempre nel rispetto dei diritti degli utenti.
E’ innegabile la necessità di trovare un nuovo punto di equilibrio nella regolamentazione delle piattaforme, ma il rischio – che si spera sarà evitato – risiede proprio nel legiferare tenendo conto solo delle problematiche attuali, con l’effetto di spegnere sul nascere nuove realtà che verranno tra 5-10 anni.
Questo bisogno è sentito da molti paesi, che da soli però non riuscirebbero ad “imporsi” sui Big di internet. L’unica che può farlo è l’UE che ormai funge da modello internazionale con la sua solida governance, come è peraltro già successo con il Gdpr, di fatto ormai adottato come standard da molte altre nazioni.
In tutto questo, l’Italia sconta un grande gap nella cultura digitale, però è anche vero che usciamo dalla pandemia con una nuova consapevolezza sull’utilità di internet nella nostra quotidianità e non possiamo più fare a meno dei servizi online. Non ci resta che attendere ed uniformarsi alle nuove regole del gioco. Intanto, quest’anno possiamo contribuire direttamente con i feedback al progetto.