regolamento p2b

Nuove regole per gli utenti commerciali delle piattaforme: che cambia dal 12 luglio

Il nuovo regolamento P2B si inserisce nella strategia europea che andrà a comporre il Digital Service Act: introduce nuove regole e rafforza alcuni diritti degli utenti commerciali delle piattaforme online. Vediamo nel dettaglio

Pubblicato il 22 Giu 2020

Massimiliano Nicotra

avvocato Senior Partner Qubit Law Firm

uebandiere

Il prossimo 12 luglio entrerà in efficacia il Regolamento (UE) 2019/1150 – denominato comunemente Regolamento Platform to Business (P2B) – che introduce nuove regole per i soggetti che svolgono servizi di intermediazione online e motori di ricerca.

Il Regolamento, che avevamo già analizzato, è il primo passo per la regolamentazione dell’attività delle piattaforme online al quale seguiranno, nella strategia legislativa europea, gli ulteriori atti che andranno a comporre il Digital Service Act.

Nel ricordare che il Regolamento P2B rafforza alcuni diritti, in ottica di equità e trasparenza, degli utenti commerciali delle piattaforme, non quindi degli utenti consumatori finali che le utilizzano, sembra opportuno analizzare le previsioni che troveranno immediata applicazione già a decorrere dal 12 luglio e quelle che, invece, saranno attuate solo in seguito all’adozione di specifici provvedimenti (da parte della Commissione Europea o dagli Stati membri).

I nuovi obblighi per i gestore delle piattaforme

È utile innanzitutto riassumere i nuovi obblighi imposti ai gestore delle piattaforme e dei motori di ricerca. Questi possono suddividersi in obblighi di trasparenza ed obblighi di maggior equità, intesa quale equilibrio contrattuale delle parti.

La prima tipologia di obblighi richiede l’inserimento – con linguaggio semplice e comprensibile – di una serie di specifiche informazioni nelle condizioni contrattuali che disciplinano il rapporto tra utente commerciale e piattaforma (o motore di ricerca).

Gli obblighi di maggiore equità, invece, operano imponendo alcune clausole e vietando specifiche pratiche ed introducono appositi meccanismi di risoluzione delle controversie.

Le modifiche contrattuali immediatamente operanti

L’art. 3 Regolamento P2B, stabilisce alcuni requisiti per i termini e condizioni applicati dai gestori. In particolari essi devono:

  • Essere scritti in linguaggio semplice e comprensibile;
  • Facilmente reperibili in tutte le fasi del rapporto contrattuale (e precontrattuale);
  • Includere le ragioni che possono portare alla sospensione, cessazione o limitazione della fornitura dei servizi;
  • Includere informazioni su canali di distribuzione aggiuntivi attraverso cui possono essere commercializzati i prodotti e servizi offerti dagli utenti commerciali;
  • Contenere informazioni sugli effetti contrattuali, sulla proprietà e sul controllo dei diritti di proprietà intellettuale degli utenti business.

Il 3° comma dell’articolo in commento stabilisce espressamente che i termini e condizioni non conformi alle previsioni sopra riportate “sono nulle e prive di validità”.

È evidente, pertanto, che quanto appena enunciato obbliga tutti i gestori delle piattaforme P2B e dei motori di ricerca ad una completa revisione delle proprie condizioni contrattuali.

In particolare, mentre le previsioni che stabiliscono l’inserimento di specifiche informazioni aggiuntive appaiono di semplice integrazione, così come l’obbligo di reperibilità dei termini e condizioni (che già attualmente la gran parte delle piattaforme rendono sempre disponibili nei “footer” dei loro siti internet o nelle sezioni specifiche), più complessa potrà rivelarsi la valutazione della nullità di una clausola contrattuale perché contrastante con il requisito della semplicità e comprensibilità della scrittura della stessa.

In tal senso la portata della norma potrebbe avere un effetto davvero “deflagrante” sui contratti utilizzati nel settore P2B (e già avevamo accennato sempre su questo sito la sempre maggior rilevanza che il principio di trasparenza sta assumendo in ambito europeo e l’esigenza che venga adottati nuovi strumenti, quali il “legal design”, per far fronte a tali esigenze).

La leggibilità e comprensibilità di un testo, infatti, non ha un valore assoluto, ma relativo e relazionale, in quanto deriva dal rapporto esistente fra destinatario, contenuti e rapporto di ricezione. Inoltre, dato che gli indici di leggibilità elaborati negli anni (Flesch-Vacca, Kincaid, Gunning’s Fog, Gulpease) si concentrano su parametri quale lunghezza del testo e delle parole, contemperandoli in alcuni casi con il grado di scolarizzazione, nel caso specifico dei termini e condizioni essi perdono di utilità in quanto è evidente che il contratto dovrà necessariamente contenere parole che esprimono precisi concetti tecnico-giuridici e che richiedono specifiche competenze.

Per poter contemperare l’esigenza di certezza dei rapporti contrattuali con i criteri di semplicità e comprensibilità del linguaggio utilizzato sarà, quindi, necessario valutare lo status della controparte contrattuale, che nel caso specifico è un operatore commerciale ed anche, nel contesto della transazione commerciale, l’effettiva possibilità del medesimo di ricorrere a consulenti ed altri soggetti in grado di valutare il contenuto delle clausole.

Anche in relazione alle modifiche delle condizioni contrattuali l’art. 3, 2° comma, Regolamento P2B impone specifici obblighi per i gestori delle piattaforme e dei motori di ricerca, sancendo la nullità delle clausole che contengano previsioni difformi.

In via generale qualsiasi modifica alle condizioni contrattuali non può essere applicata se non è trascorso un periodo di 15 giorni di preavviso, entro il quale l’utente commerciale ha diritto di risolvere il contratto.

Sarà pertanto necessario adeguare le eventuali clausole difformi entro il 12 luglio 2020, in quanto trascorso tale termine esse saranno considerate nulle.

Le misure che richiedono attuazione

Alcune specifiche misure stabilite dal Regolamento P2B richiedono l’adozione di ulteriori provvedimenti o il compimento di determinati adempimenti da parte delle autorità competenti.

Così, la previsione circa la trasparenza dei criteri di posizionamento (ranking) degli utenti commerciali e dei motori di ricerca, che obbliga i gestori ad indicare i principali parametri che individualmente o collettivamente sono più significativi a tal fine, con l’indicazione specifica di alcuni elementi (caratteristiche dei beni e servizi offerti, pertinenza delle caratteristiche per i consumatori, caratteristiche grafiche del sito web), necessita ancora dell’emanazione da parte della Commissione Europea di apposite linee guida, su cui è terminata una consultazione pubblica, ma che ancora non sembrano essere pronte, tanto che la stessa Commissione Europea ha dichiarato di dover rivedere le tempistiche originariamente proposte per la sua pubblicazione.

Anche la “class action” prevista dall’art. 14 del Regolamento – ossia la possibilità delle organizzazioni ed associazioni rappresentative nonché degli organismi pubblici individuati dagli Stati membri di poter adire l’autorità giudiziaria per far cessare o vietare le inadempienze al Regolamento P2B – non sembrerebbe immediatamente applicabile in assenza della pubblicazione nella G.U.C.E. (prevista al 6° comma dell’articolo) dell’elenco delle associazioni e organizzazioni nonché degli organismi pubblici designati, dato che la norma prevede espressamente che gli organi giurisdizionali verifichino la legittimazione attiva di tali soggetti proprio consultando detto elenco.

Adempimenti senza sanzioni

Oltre alle novità già sopra esaminate il Regolamento P2B prevede un’ulteriore serie di adempimenti da parte delle piattaforme online e dei gestori di motori di ricerca che, però, non prevedono alcuna sanzione diretta in caso di inosservanza, non essendo previste nell’atto regolamentare dirette conseguenze in tal senso.

Così, ad esempio, l’obbligo di comunicare all’utente commerciale con preavviso di almeno 15 giorni l’eventuale modifica del contratto, le condizioni per la limitazione, sospensione o cessazione del servizio reso dalla piattaforma, l’istituzione di un sistema interno per la gestione dei reclami, con pubblicità dei meccanismi di funzionamento dello stesso, l’irretroattività delle modifiche contrattuali, le informazioni da rendere circa il trattamento differenziato di eventuali servizi o prodotti resi direttamente dal gestore, gli obblighi di trasparenza in relazione all’accesso ai dati personali degli utenti nonché l’obbligo di inserire nei contratti dei meccanismi di soluzione alternativa delle controversie, con specifico riferimento alla mediazione.

Si tratta di disposizioni la cui violazione non è sanzionata in alcun modo direttamente dal Regolamento P2B, contrariamente a quanto abbiamo esaminato precedentemente circa la nullità delle clausole contrarie alle previsioni di cui all’art. 3, le quali, pertanto, potranno essere disattese dai gestori senza che ciò comporti conseguenze pregiudizievoli nei loro confronti.

Ciò in quanto, in via generale, l’art. 15 demanda agli Stati membri l’obbligo di garantire l’adeguata ed efficace applicazione del Regolamento P2B, stabilendo altresì che è compito dei singoli Stati adottare quelle norme necessarie a stabilire le misure applicabili alle violazioni dello stesso.

Ad oggi l’Italia, ma in verità non ci risulta che altri Paesi europei abbiano ancora adottato provvedimenti al riguardo, non ha emanato alcuna norma in tal senso né risulta siano stati presentate proposte normative dal Governo – o da altri soggetti – per provvedere a quanto richiesto dalle disposizioni regolamentari europee, lasciando pertanto sprovviste di sanzione la gran parte delle disposizioni del Regolamento P2B.

D’altra parte i grandi gestori delle piattaforme P2B hanno già provveduto ad adeguare le loro clausole contrattuali ed ad istituire meccanismi interni di reclamo, spesso sotto la spinta delle indagini a cui erano sottoposti dalle Autorità di controllo per altri comportamenti (si veda l’istruttoria condotta dall’autorità antitrust tedesca (Bundeskartellamt) nei confronti di Amazon che ha portato il marketplace statunitense a modificare spontaneamente i termini del “Amazon Services Business Solutions Agreement” anticipando il suo adeguamento al Regolamento P2B).

In un contesto del genere sarebbe stato forse più opportuno stabilire direttamente all’interno del Regolamento P2B le sanzioni e le misure applicabili in caso di violazione delle previsioni in esso contenute, ciò anche per evitare che all’interno dell’Unione Europea l’accentuarsi di una situazione di “concorrenza regolatoria” – in verità già presente nel settore fiscale – con eccessivi dislivelli di tutela degli utenti commerciali da un Paese ad un altro, che potrebbero far tendere i gestori a preferire l’applicazione della normativa di un Paese piuttosto che di un altro.

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