LO SCENARIO

Riformare il capitalismo per salvarci tutti: gli spunti che nascono dalla crisi del covid-19

L’emergenza innescata dalla pandemia sta accelerando l’innovazione nel tessuto industriale e sociale. Ma l’assenza di strategie a lungo termine rischia di esacerbare conflitti economici già in atto, a cominciare dal mercato del lavoro. Il trend attuale e il futuro che si profila

Pubblicato il 10 Lug 2020

Mauro Lombardi

Università di Firenze, BABEL - Blockchain and Artificial intelligence for Business, Economics and Law

robot-ARMY

No, non è come all’indomani della Grande depressione. Né della Seconda Guerra mondiale. La crisi causata dal Coronavirus sta disegnando un orizzonte temporale ancora meno rassicurante. In cui la trasformazione digitale spinta dall’emergenza, se non governata, rischia di impattare sulla crescita economica aggravando disoccupazione e disuguaglianze. Ecco perché lo scenario a noi davanti dovrebbe indurci a ripensare le fondamenta della nostra società.

Verso un nuovo ordine mondiale.

La previsioni dell’ONU

Già: non è più utopia di pochi visionari. Non a caso l’ultimo Special Report dell’Economist (20-6-2020) è incentrato sul New World Order. La “confusione regna sovrana” a livello internazionale, diremmo noi, dal momento che nell’arco di pochi decenni siamo passati da un mondo “bipolare” (confronto USA-URSS) a quello “unipolare” (Usa unica potenza dominante), quindi all’attuale “caos”, senza leadership definite e con conflitti diffusi che si susseguono, insieme al rischio di una deflagrazione generale. Crescono infatti, secondo l’Economist, i rischi di estrema frammentazione e nazionalismi più o meno esasperati: America first, protagonismo cinese, pieni poteri assunti in Ungheria e auspicati in modalità quasi comiche in qualche Paese europeo e nel Sudamerica, entità alla ricerca di egemonie regionali quali Iran, Iraq, Siria.

Il 22 gennaio 2020 il Segretario Generale dell’ONU, António Guterres, ha nel corso dell’Assemblea Annuale indicato “Four Horsemen” in mezzo a noi, con un trasparente richiamo all’Apocalisse:

  • Aumento delle tensioni (epic tensions”) a livello internazionale, con il rischio di fratture insanabili.
  • Our planet is burning: mentre il riscaldamento climatico è in accelerazione, i leader mondiali tergiversano.
  • Una profonda e crescente sfiducia globale, generata dagli squilibri profondi di una globalizzazione non equa: necessarie misure radicali per ridurre drasticamente la povertà, estendere i meccanismi di protezione sociale, aumentare la sicurezza sanitaria anti-pandemia, migliorare i processi formativi.
  • Il Nuovo Far West (Wild West of cyberspace) da regolare, un mondo oscuro e denso di pericoli per individui e società nel loro complesso (UN Chief outlines solutions to defeat ‘four horsemen’ threatening our global future, UN News, 22 January 2020).

Nonostante l’accenno in relazione al “terzo cavaliere”, Guterres non si aspettava il “quinto cavaliere”, che sta attraversando il mondo, il Covid-19, i cui effetti sono estesi e profondi: economici, sociali, culturali, politici, geo-strategici.

Uno sguardo al passato fa impietosamente emergere le differenze. Subito dopo l’attacco a Pearl Harbour, Roosvelt e Churchill, che non si amavano affatto, si incontrarono immediatamente alla Casa Bianca, dove il secondo era in visita, in circostanze un po’ insolite: il primo irruppe nella stanza da letto del secondo per proporgli, anche se era appena uscito dal bagno, l’idea di creare un organismo post-bellico (United Nations, appunto), per la sicurezza di un nuovo mondo post-bellico[1]. I due leader, proprio nel bel mezzo di una guerra mondiale, pensavano già ad un piano per la pace.

Oggi è tutto differente, mentre si stanno dispiegando gli effetti di un evento che sembra non avere eguali nella storia. Ciascuno dei numerosi leader mondiali (o aspiranti tali) non pare cogliere la necessità di un nuovo multilateralismo, una concertazione internazionale, per affrontare problemi e sfide intrinsecamente globali. Si moltiplicano anzi i conflitti e i motivi di divisione, mentre il Pianeta Terra è alle prese con un processo di transizione tecno-economica, oggetto della nostra analisi, che concentra l’attenzione su determinati problemi di fondo, tra loro interconnessi: possibile accelerazione robotica, livelli di disoccupazione, disuguaglianze, tendenza verso il Panopticon digitale.

La (possibile) accelerazione robotica

Tra le conseguenze più significative del lockdown sono da un lato le trasformazioni dei comportamenti dei consumatori e delle tipologie di domanda di beni servizi, dall’altro i segnali di mutamento dell’offerta.

Innanzitutto c’è una evidente espansione in tutto il mondo degli acquisti on line e quindi dell’accesso, da parte di molti utenti non abituati, al mondo dell’e-commerce, cioè ad un universo di possibilità, abilmente enfatizzate sia dai techno-Giants della rete che dai produttori di output materiali e immateriali. Intendiamo mettere in evidenza, però, una conseguenza che sta emergendo nello spazio informativo globale.

L’emergenza sanitaria e la necessità di far fronte ad una improvvisa domanda di una varietà di beni e servizi spinge sia un numero crescente di imprese ad utilizzare robot per una serie di funzioni svolte tradizionalmente da umani, sia i produttori di robot a escogitarne di sempre più sofisticati, in tutti campi. Le implicazioni di medio-lungo termine sulla supply-chain di molte sequenze economico-produttive sono tutte da scoprire, perché ovviamente molto dipende dai contesti in cui operano le imprese.

Dunque se negli Usa è realistico immaginare file di robot per le consegne a domicilio parcheggiati davanti a negozi di vendite al dettaglio (McGee P., 18-5-2020, Five robots that hope to save the US food supply chain, Financial Times), in altri Paesi ciò è da ritenere accadrà molto più tardi.

Comunque sia, un ristorante italiano a Seul impiega il robot Dilly per servire nel locale cibi ai clienti. Dilly di fatto è solo un carrello porta-vivande con vassoi, che si muove per consegne puntuali verso i tavoli, dove le persone si servono direttamente. Dilly è una creazione della società coreana Woova Brothers rilevata di recente dalla tedesca Delivery Heo per 4 miliardi di dollari (Song Jung-a, 16-2-2020, Woowa Bros looks to food delivery robots to trim costs, Financial Times).

Woova Bros effettua 43 milioni di consegne mensili con 2300 rider, ma ciò non deve sorprendere perché la Corea è un Paese con un’alta percentuale di single e costituisce il terzo mercato mondiale dopo Cina e Usa. La Corea è un esempio della forte crescita del mercato delle consegne a domicilio e in prospettiva dei “robot waiter”, dati già in affitto a 17 ristoranti per 765 dollari al mese ciascuno, mentre vi sono contatti con altri 50 ristoranti, sempre a Seul. Ulteriore ampliamento dell’impiego di robot per consegne è previsto per i negozi di alimentari e altri generi di prima necessità.

Robot infermieri e robot rider

Siamo di fronte ad una sorta di “corsa globale agli armamenti” verso un uso esteso di robot, se pensiamo che essi possono contribuire a salvare le supply-chain qualora emergenze sanitarie impediscano il normale svolgimento delle operazioni. Sono infatti in aumento i robot per la raccolta, la manipolazione e la consegna raccolti per il cibo, con un trend in aumento già alto, che ha mostrato un’accelerazione nel corso della pandemia, come avviene nell’area di S. Francisco e più in generale negli USA (McGee, 18-5-2020).

Una tendenza analoga emerge in tema di pulizie e igienizzazione nelle corsie degli ospedali e nei corridoi dei supermercati (ad esempio Kroger, Walmart) (Tucker I., 31-5-2020, The five robots helping to tackle coronavirus, The Guardian). Dispositivi autonomi di pulizia sono prodotti, per andare incontro ad una domanda in forte crescita, da Brain Corp, sostenuta dalla multinazionale giapponese Softbank, nonostante quest’ultima stia subendo perdite considerevoli a causa di un’altra società partecipata (WEWork, società di co-working, come afferma Carrer S., Softbank in rosso per quasi 8 miliardi di euro, 30-4-2020, Il Sole 24 ore),

Nelle attività di pulizie di precisione, disinfezione, rifornimento di magazzini e stoccaggio di qualsiasi materiale, specialmente in caso di elementi pericolosi, il processo di robotizzazione avanza a ritmi elevati, ma è crescente anche in agricoltura, dove agenti automatici sono in grado di individuare e sradicare erbacce, per poi procedere alla gestione del raccolto. McGee (2020) mette anche in luce che il lockdown ha accelerato l’impiego di robot nel Sud della California, dove il 20% del lavoro nei campi è svolto da messicani con contratti di lavoro temporanei, per i quali non si può prevedere un futuro roseo.

Automazione per la ristrutturazione logistica

In sostanza, per vari motivi la pandemia ha accentuato il trend, già presente a livello internazionale, verso la sostituzione di umani, che a questo punto potrebbe anche essere permanente.

La Fed Ex, corriere dell’”ultimo miglio” (consegne finali), serve ad esempio clienti in 80.000 luoghi negli Usa, mediante un enorme sistema robotizzato, con dispositivi autonomi in grado di salire scale e arrivare alla porta di casa. Ftech Robotics, specializzata in robot ”addetti di magazzino”, da San Josè California ha acquirenti in 22 Paesi e nel periodo più recente ha ampliato la gamma di attività robotiche alle pulizie e alla disinfezione con strumenti che distruggono germi e batteri con raggi ultravioletti.

Anche in campo sanitario vi è un impiego crescente di robot non solo per le pulizie e la disinfezione, ma anche per la consegna di provette di sangue ai laboratori e la distribuzione di medicinali (The Editorial Board, 20-5-2020, The role of robots in a post-pandemic world, Financial Times). Si tratta, come si vede, di tendenze preesistenti, accentuate in seguito alla pandemia, che suscitano alti timori di disoccupazione di massa, i quali rimangono sotto traccia, ma si sommano agli effetti della chiusura durante il lockdown e alle incertezze di una ripresa molto incerta e forse lontana.

Il punto da sottolineare è quindi il seguente: è in corso un processo di ristrutturazione logistica e di riorganizzazione delle sequenze lavorative, che all’inizio si estende su attività ripetitive, ma in una prospettiva ravvicinata interessa anche molte altre tipologie di operazioni. Si pensi all’adozione della Robotic Process Automation (RPA), cioè di software robot (bots), i quali eseguono facilmente e in modo rapido compiti di routine svolti da lavoratori della conoscenza su computer.

Un futuro di digital worker

I bots usano sistemi IT come fanno gli umani: apertura programmi, inserimento dati, accedere a un sito web, Ctrl/C+ Ctrl/V, il tutto secondo schemi prefissati (macro, scripts) e con un numero potenzialmente elevato di interfacce. A completamento di questo processo non è difficile immaginare che sistemi di IA possano effettuare modellazione computazionale e quindi ottimizzare processi.

Non è allora sorprendente che Microsoft si stia impegnando a fondo in questo ambito con l’acquisto di Softomotiv, società leader internazionale nell’erogazione di servizi per l’automazione dei flussi di lavoro su molteplici App e SaaS (Sotware as a Service). Intanto la stessa Microsoft ha costruito un super computer per Open AI, società di cui è fondatore anche Elon Musk e che ha come scopo quello di creare un’AGI (Artificial General Intelligence), cioè un’intelligenza simile a quella umana[2]. Microsoft tende in realtà a diventare leader mondiale dello sviluppo della RPA, robotic process automation, che porta ad ulteriori sostituzioni di lavoratori umani, in questo caso per compiti routinari, ma basati sulla conoscenza. In sostanza si tratta di creare digital workers attraverso sistemi, cioè Applets IFTTT[3].

Previsione dei livelli di disoccupazione

E’ noto che la pandemia e il conseguente lockdown stanno producendo effetti di contrazione significativa in tutte le economie del mondo. La crisi odierna è paragonata a quella del 2008 ma, come ha sottolineato Stwephen Roach (autorevole economista della Yale School of Management ed ex Chief Economist della Morgan Stanley, 19-3-2020, The False Crisis Comparison, Project Syndicate), l’assimilazione è impropria, perché lo shock finanziario è molto differente da una crisi sanitaria che ha prodotto conseguenze devastanti in ogni sfera del sistema socio-economico e nelle esistenze individuali.

La risposta monetaria, il Quantitative Easing che ha funzionato nel 2008, è oggi necessario ma del tutto insufficiente. Molti usano la metafora della guerra per descrivere la situazione post Covid-19. Appropriato in apparenza, il paragone non tiene conto, a parere di Roach e nostro, di un dato fondamentale: la risposta in caso di guerra richiede una convergenza di consensi, mentre nella fase odierna le divisioni si moltiplicano in un ambiente polarizzato con molte e crescenti asimmetrie.

Prendiamo in esame i livelli di disoccupazione. Negli Stati Uniti era salito dal 4,8% al 15% agli inizi di Giugno, per poi ridiscendere al 13,3, generando così un’immediata ripresa dei mercati finanziari. Alcuni analisti e studiosi però stimano che la disoccupazione sia più alta e soprattutto sia destinata a durare per molto tempo (Politi J., Strauss D., 12-6-2020, When will global employment recover from its coronavirus collapse?, Financial Times).

In Italia e in Europa la disoccupazione è a livelli meno alti di quelli Usa: 7,3% nell’Area Euro, secondo Eurostat; 6,3% in Italia, ma con l’illusione ottica generata dal tasso di inattività, salito al 38,1%, valore assunto nel 2011 (Mancino D., Dove si concentra il peso della crisi? I numeri della disoccupazione e il nodo degli inattivi, 12-6-2020, Il Sole 24 Ore). Bisogna tenere presente, però, che i sistemi di protezione dell’occupazione attivi nell’Area Euro, impediscono il prodursi di effetti negativi immediati sul mercato del lavoro, con il rischio che, nel caso del perdurare della crisi, si generi una dinamica “esplosiva”, quando i sistemi di protezione sociale si ridurranno.

Il calo dell’occupazione è comunque generale in tutta Europa e colpisce in misura più pesante le economie maggiormente fondate sul turismo, ambito variegato di attività con alta diffusione di contratti a tempo determinato, come nel caso dell’Italia. Il blocco dei flussi di persone tra Stati e Regioni non sta solo modificando le supply chain e le sequenze economico-produttive, ma incide profondamente su sistemi economici e assetti urbani, dove nel corso degli anni si sono consolidate attività connesse all’economia della cultura e del tempo libero.

La ripresa: a forma di “V” o di “W”?

Le misure di contenimento del contagio sono di conseguenza destinate ad incidere pesantemente sulla ripresa, la quale sarà necessariamente molto diversificata, data l’enorme varietà di fattori che ha influito sulla dinamica pandemica livello territoriale. La numerosità di meccanismi e processi implicati nell’odierna dinamica globale rendono difficile prevedere l’entità e la durata della crisi, tanto che si profilano molti scenari possibili, come si vede dai risultati di una survey condotta da Brookings Institution (Sheiner L, Yilla K., 4-5-2020, The ABCs of the post-COVID economy, ma si veda anche Smith C., 25-5-2020, Just one in 10 fund managers expect V-shaped recovery for US economy, Financial Times) (Fig. 1).

Figura 1

 

Solo 1 su 10 degli intervistati manager americani di fondi si esprime per una ripresa a forma di V, che sta significare Victory, ovvero un rimbalzo post-Covid rapido e sostanziale. Gli altri investitori sono divisi su varie forme geometriche (U,W,L) e la maggior parte pensa ad una ripresa più piatta e lenta della caduta (denominata Nike-swoosh).

Il corso del post-Coronavirus è quindi non esattamente prevedibile, come si evince anche dalle risposte date da leading economists al quesito circa le loro aspettative (Are we heading into another Depression?, 25-6-2020, Financial Times). Zoellick, ex presidente della Banca Mondiale, non prevede una decade di depressione, bensì una confusa frammentazione del commercio e dei conflitti a livello internazionale.

Le ragioni di questa tesi sono nel fatto che le depressioni come quelle del passato hanno “metastatizzato” la perdita di fiducia nelle democrazie, quindi alimentato il trionfo di ideologie basate sull’odio e la forza attrattiva dei demagoghi, mentre la caduta del commercio internazionale e della finanza hanno portato a deflagrazioni belliche di portata globale. Oggi, invece, dal suo Osservatorio vede segnali di fiducia nei consumatori, nelle società e nel mondo degli affari, il che fa ben sperare, date le sfide con cui occorre misurarsi: trasformazioni energetiche e ambientali, rivoluzione digitale in atto.

Molto più ottimista è Mike Wilson, Chief Economist di Morgan Stanley, secondo il quale siamo sulla buona strada di una V-recovery, una ripresa immediata e rapida, grazie alle misure monetarie e fiscali delle Banche Centrali. Per quanto riguarda gli USA, l’evoluzione non dovrebbe essere dissimile da quella del post-2008. Il mindset del finanziere, come spesso accade, guarda al passato e proietta nel futuro senza dare molta attenzione alle cause specifiche della crisi e quindi alle politiche idonee per su di esse e non sugli effetti.

Domanda stagnante e disuguaglianze

Tutt’altra visione è espressa da Mariana Mazzucato, che mette al centro delle sue riflessioni due meccanismi propulsivi, senza i quali la ripresa è da ritenere molto improbabile: domanda globale stagnante e disuguaglianze. Data la natura della crisi, senza un piano globale di rilancio entrambi questi fattori peggioreranno, producendo effetti sempre più negativi. Di qui deriva chiaramente la necessità di politiche strategiche in grado di dare impulsi al processo di transizione tecno-economico, intervenendo parallelamente sugli squilibri sistemici consolidatisi negli ultimi decenni.

Il Chief Global Economist di Unicredit, Erik Nielsen, è invece attento agli indicatori macroeconomici (variazioni del PIL) e quindi ipotizza che siamo in presenza della più grave recessione in tempo di pace degli ultimi 100 anni, data la caduta del PIL del 15-30% rispetto agli inizi di anno e nonostante le imponenti misure messe in atto nei vari Paesi.

Se per gli Usa e l’Europa gli scenari non sono per niente rassicuranti, a parere di Tinh Nguyen, economista della Banca d’Affari Natixis, si profila un orizzonte non depressivo, grazie agli stimoli monetari e fiscali, oltre che alle ottime performance ottenute dai Paesi nel controllo dello shock pandemico.

Il futuro economico ed occupazionale sembra più fosco in Occidente che in Oriente, mentre nel Continente latino-americano si profila un lungo e forse terribile periodo di depressione, come negli anni ’30, secondo Andrés Velasco, Dean of the School of Public Policy alla London School of Economics.

Emerge, dunque, un quadro generale pieno di zone oscure in molte parti del mondo ed i costi economico-sociali saranno alti, prolungati nel tempo ed imprevedibili, a meno di interventi strategici, mirati sulle vulnerabilità sistemiche. Con questa espressione intendiamo riferirci a caratteristiche strutturali, mostrate dall’evoluzione dei sistemi economico-sociali negli ultimi decenni e che sono state messe allo scoperto dall’evento pandemico.

Il tema (esplosivo) delle disuguaglianze

Uno dei fenomeni più rilevanti, espressione di meccanismi più profondi, è costituito dall’aumento delle disuguaglianze, che crescono con la crescita dei mercati e si ampliano ulteriormente in conseguenza delle crisi, disarticolando gli strati della popolazione meno dotati di risorse materiali e immateriali (Amstrong R,. 8-6-2020, Rising markets and inequality grow from the same root, Financial Times). Accade così che negli USA è rilevabile una disconnessione tra l’“esuberanza” del settore finanziario e lo “scompiglio” politico-istituzionale, mentre la classe media è sottoposta a fortissime pressioni verso il basso dalla crisi e dai mutamenti strutturali: sotto, il grafico della Federal Reserve (Fig. 2) mostra come il 90% della ricchezza finanziaria sia in mano al 10%.

Figura 2

Fonte: Federal Reserve, 2020

Un fenomeno analogo emerge a livello mondiale, dal momento che il 10% della popolazione mondiale ha l’82% della ricchezza (Credit Suisse, 2019, Global Wealth Report: 3, 13), ad indicare un’elevata asimmetria, anche se nei primi anni del nuovo secolo si registra un trend decrescente sia tra Paesi, in seguito allo sviluppo di quelli emergenti, sia all’interno di essi (Fig. 3)

Figura 3

Fonte: Credit Suisse, 2019

Il livello di disuguaglianza rimane comunque elevato ed ha effetti macroeconomici che non favoriscono il superamento delle crisi, anzi generano processi distorsivi nell’uso delle risorse, se si pensa che negli USA, dagli anni ’80 in poi, la forte crescita delle disuguaglianze ha portato eccesso di risparmio (saving glut) da parte delle classi più ricche e non un aumento degli investimenti, mentre le fasce di popolazione meno ricche hanno dovuto accrescere l’indebitamento, come si è visto con la crisi del 2008 (Mian et al., 2020, The Saving Glut of the Rich and the Rise in Household Debt, NBER Working Paper No. 26941, Issued in April 2020).

Digital divide e povertà

Per questa via non è arbitrario ipotizzare che, laddove permangano marcati squilibri distributivi, il cosiddetto “dividendo” sperequato di una crescita debole produce un circolo vizioso fatto di minori investimenti e flussi di capitali sul mercato del debito nazionale e internazionale. Le perduranti asimmetrie, sia all’interno delle economie che tra di esse, rischiano pertanto di rendere più pesante il lascito di shock, specialmente quando si tratta di shock di natura sanitaria, che incidono fortemente sugli strati della popolazione meno protetti.

I segni sono già ampiamente visibili negli Stati Uniti, dove milioni di americani corrono il rischio di non poter più usufruire di acqua corrente, il cui costo è salito dell’80% negli ultimi 10 anni (Lakhani N., 23-6-2020, Revealed: millions of Americans can’t afford water as bills rise 80% in a decade, The Guardian, dove si analizza cosa accade in 12 città USA). La pandemia ha portato alla luce anche altri non immaginabili inconvenienti: una ricerca USA ha rivelato che la maggior parte delle persone delle 62 delle Contee distribuite nei vari Stati, non ha l’ampiezza di banda necessaria per un download veloce da Internet.

Secondo un altro studio, circa 22 milioni di americani non hanno ancora internet (Holpach A., 13-4 2020 US’s digital divide ‘is going to kill people’ as Covidĺ19 exposes inequalities, The Guardian). Digital divide e disuguaglianze amplificano, quindi, a dismisura gli effetti della pandemia, rischiando addirittura di “killing people”.

Il quadro potrebbe non essere molto differente in Europa, se in Inghilterra il virus, oltre alle conseguenze immediate, sta accelerando il ritmo di sostituzione irreversibile del lavoro umano, come abbiamo indicato all’inizio (Cooper Y., , 17-6-2020, Coronavirus is a looming crisis for British workers. We need fast action to secure jobs, The Guardian). D’altronde la storia insegna che sempre i super-ricchi escono bene da una crisi globale, così come può accadere oggi perché beneficiano delle politiche fiscali e monetarie compiacenti, grazie a alla combinazione virtuosa di digitalizzazione, globalizzazione, e investimenti finanziari (Rigby R., 15-6-2020, The super-rich have a history of doing well out of a global crisis, Financial Times).

A questo punto è doveroso affrontare un interrogativo di fondo: come mai, a fronte di un potenziale tecnico-scientifico senza precedenti nell’evoluzione umana sulla terra, non sono risolti problemi fondamentali della società, quali la prevenzione contro le pandemie, la povertà, la formazione per superare digital divide e gap conoscitivi ad ogni livello?

Panopticon, uno scenario futuro

Una risposta interessante al quesito è fornita Rotman (17-6-2020, Why technology didn’t save us from Covid-19, MIT Technology Review), che riflette sulla poderosa macchina innovativa USA. Non è solo una questione di diminuzione degli investimenti pubblici in Ricerca e Sviluppo: è soprattutto un problema dovuto al modello mentale sbagliato con cui si affronta l’innovazione, affidata prevalentemente ai privati, mentre lo Stato “non ha sviluppato la capacità di sviluppare tecnologie critiche per la sicurezza nazionale, economica e sanitaria, investendo strategicamente in esse” (Erica Fuchs, in Rotman, 2020).

In effetti sia gli Usa (Gur I.,17-6-2020, How The Us lost its way on innovation, MIT Technology Review) che l’Europa sono apparsi del tutto impreparati rispetto all’evento pandemico, che era ampiamente previsto, come abbiamo mostrato in un precedente contributo.

Una delle radici dei problemi odierni è da ricercare nel fatto che la dinamica tecnologica, prevalentemente affidata a privati, è orientata ad obiettivi specifici e ambiziosi di breve termine, che producono comunque effetti di lungo termine seguendo una sorta di imperativo come questo: “se è possibile automatizzare le attività più pericolose, è un dovere farlo” (Hayasaki E., 17-6-2020, Could covid-19 accelerate the robot takeover of human jobs serve and replace, MIT Technology Review).

Ma chi si occupa delle componenti sistemiche in cui le singole innovazioni sono inserite? Facciamo un esempio. Ad Austin (Texas) e in altre città americane robot sanitari svolgono molte attività tradizionalmente svolte da infermieri, tranne la somministrazione diretta di medicine ai pazienti, impegnandosi come “mechanical waiter” nelle funzioni più rischiose (disinfezione, approvvigionamento nei reparti infettivi). Gli esperti di “robot sociali”, che li hanno progettati e realizzati, hanno compiuto egregiamente il loro dovere, dando un apporto significativo nelle corsie degli ospedali texani.

Tracing app e il nodo dei dati

Ma chi doveva pensare a tutti gli altri dispositivi necessari, quali effettuare test, curare i malati con i ventilatori (quindi produrli), proteggere gli operatori, fornire assistenza sanitaria diffusa? Tornano alla ribalta le riflessioni di esperti di innovazioni, riportate in Rotman (2020): gli Usa, ma anche quasi tutti gli altri Paesi – tranne Taiwan, Corea del Sud, Giappone e Israele, aggiungiamo noi – non hanno la capacità di elaborare strategie adattative incentrate su obiettivi di sistema, connessi a interessi pubblici, che siano definiti con relativa chiarezza, grazie all’individuazione di priorità essenziali per il futuro, quali sono certamente le condizioni sanitarie della popolazione, la salute del pianeta, il risparmio energetico. In mancanza di tutto questo può accadere che i Techno-Giants, che abbiamo già trattato in un altro contributo, svolgano attività di interesse pubblico, assicurando – come nel caso di Amazon – la consegna a domicilio di un’enorme varietà di beni in tempi di lockdown, anche se emergono non irrilevanti problemi in termini di potere di mercato e di influenza sui modelli e le tipologie di consumo.

Un discorso analogo può essere svolto a proposito di Google, leader incontrastato nelle ricerche su Internet, che è in grado di orientare processi decisionali individuali e collettivi. Un recente contributo, (Ilves I., 15-6-2020, Why are Google and Apple dictating how European democracies fight coronavirus?, The Guardian) ha posto il problema delle app di tracciamento nell’evento epidemico. Un accordo tra Google ed Amazon in merito ad una API (Application Program Interface) tende di fatto ad imporre ai Paesi precise modalità di impiego delle APP, in sostanza vincolando le possibilità dei Governi di prendere decisioni autonome in materia sanitaria.

Le autorità lituane sono state le uniche a contestare le disposizioni dei due Giganti del web. La questione è di grande rilevanza: alle asimmetrie tecno-economiche e di potere, di cui essi beneficiano ampiamente, potrebbero aggiungersi – in seguito alla pandemia – ulteriori meccanismi di sperequazione socio-economica e politica, insieme a strumenti di monitoraggio pervasivo delle vite personali, tanto che qualche osservatore parla di digital panopticon con finalità benevoli (Bell G., 1-4-2020, The Benevolent Panopticon, MIT Technology Review), mentre Tim Berners-Lee, fondatore di Internet sta lavorando ad un nuovo modello di Internet, convinto del contrario.

Cambiamenti climatici e capitalismo

Infine, si sta rafforzando la voce di coloro che sostengono una incompatibilità di fondo tra capitalismo e lotta ai cambiamenti climatici (vedi World Economic Forum) e che almeno serva una sua forte riforma per salvare il pianeta (se ne è appena parlato al Ted, con Al Gore tra gli altri); su questa linea podcast recenti di noti osservatori di ricerca (qui e qui). Perché di fondo il capitalismo è basato su crescita dei profitti, con l’utilizzo delle risorse naturali; e ora il pil non misura le sue conseguenze deteriori (diseguaglianze, inquinamento, distruzione di risorse naturali) né i servizi di public good (istruzione, cultura).

Il lockdown offre una possibilità di ripensare i propri valori anche su questo fronte. Si noti per ora le differenze tra chi vorrebbe un approccio più radicale di cambiamento – dove l’ambientalismo è un tassello di un mondo dove valgono diversi e più equi principi socio-economici – e chi spinge l’accento di più sul ruolo dell tecnologie (rinnovabili, soprattutto) per la lotta ai cambiamenti climatici.

Il mondo prima e dopo il coronavirus: come restare umani disubbidendo al sistema

In conclusione

Tutto questo, insieme alle problematiche prima trattate, dovrebbe forse indurre a ripensare le fondamenta delle società in cui viviamo, come alcuni autori e centri di ricerca hanno iniziato a fare: Reimagining the Capitalism e Reinventing Capitalism in the Age of big data sono libri a partire dai quali si può iniziare a riflettere.

NOTE

[1] Un eventuale incontro, anche in circostanze più solenni, tra Trump e Boris Johnson entrerebbe subito nella leggenda.

[2] Sorprende constatare che Elon Musk sia fondatore di una società per l’AGI, dopo le sue prese di posizioni contro il pericolo di sviluppare un’intelligenze superumana.

[3] IFTTT (If This, Then That services) è una piattaforma dove sono creati Applets, basati su statement condizionali, ingredienti essenziali di tutti gli applicativi. (Martin J.A., Finnegan M., 31-1-2019, What is IFTTT? How to use If This, Then That services, Computerworld.

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