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Bonus bancomat 2020, come avere il credito d’imposta. Ma attenti alle sanzioni

Un utile approfondimento su come fruire del bonus bancomat 2020, il credito di imposta al 30% per chi accetta pagamenti con carte, senza trascurare l’aspetto sanzionatorio della misura: il rischio in caso di errori è di venir multati

Pubblicato il 24 Set 2020

Barbara Maria Barreca

Dottore commercialista e Valutatore di impatto Sociale

Luca Benotto

Dottore Commercialista

bonus bancomat 2020

È operativo e utilizzabile dagli esercenti il bonus bancomat 2020, grazie alla modalità del codice tributo. Pari com’è noto a un credito d’imposta del 30 per cento su queste stesse commissioni. Pur nella temporanea assenza dei provvedimenti attuativi che definiscono nel dettaglio le modalità di fruizione del bonus POS, si può quindi già vedere come fruirne per gli aventi diritto (esercenti fino a 400 mila di reddito annuo). Tuttavia, è importante anche puntualizzare che cosa si rischia nel caso di errori: non mancano infatti gli aspetti sanzionatori.

Bonus bancomat 2020: chi può fruirne

Per capire questi temi, bisogna in primis chiarire che l’agevolazione del bonus bancomat 2020 interessa tutti i soggetti che esercitano attività d’impresa, arte o professioni che, nell’anno d’imposta precedente abbiano maturato ricavi e compensi non superiori ad euro 400mila.

Ricordiamo anche che, se per tutti i soggetti citati vale l’obbligo di accettare pagamenti elettronici, le sanzioni originariamente previste dall’art. 23 del citato “Decreto Fiscale” sono state abrogate dalla legge di bilancio 2020, ragion per cui ad oggi questo resta un obbligo generalizzato, ma non sanzionato. Si è invece abbassata a 1.999,99 euro dal primo luglio la soglia per il divieto di pagamenti in contanti, con le sue sanzioni invece davvero importanti (da 2.000 a 50.000 euro). Va anche detto però che la diffusione dei pagamenti elettronici (soprattutto con strumenti “contactless”) è aumentata in maniera significativa; riteniamo quindi che, indipendentemente da sanzioni la cui applicazione è spesso difficile, sarà il mercato a spingere verso una più diffusa digitalizzazione dei pagamenti e conseguentemente ad una maggior diffusione di POS, fisici e non, tra gli esercenti.

Ambito oggettivo: su cosa vale il credito d’imposta per acquisti pos

Il credito d’imposta si calcola sulle commissioni addebitate per transazioni effettuate mediante:

  • carte di credito, di debito o prepagate emesse da operatori finanziari soggetti alle comunicazioni all’anagrafe tributaria (in teoria, tutti i soggetti operanti in Italia);
  • altri strumenti di pagamento elettronici tracciabili.

Ovviamente l’ultimo punto è quello più interessante. Il provvedimento che regola l’obbligo previsto dalla norma (comma 5) di comunicazione da parte degli operatori finanziari delle commissioni addebitate agli esercenti ci dice che sono obbligati “i prestatori di servizi di pagamento autorizzati che svolgono la propria attività nel territorio nazionale e che, mediante un contratto di convenzionamento, consentono l’accettazione dei pagamenti elettronici effettuati in relazione a cessioni di beni e prestazioni di servizi rese nei confronti dei consumatori finali, anche prevedendo la messa a disposizione degli esercenti di sistemi atti a consentire tale accettazione”. Ciò chiaramente include non solo i fornitori esteri di POS portatili tipicamente abbinati a smartphone o device mobili, ma anche chi permette di accettare pagamenti da carte senza disporre di POS fisici (Paypal, Satispay e molti altri).

Determinazione del credito d’imposta per i negozianti

Il credito d’imposta è pari al 30% delle commissioni addebitate nel corso del mese precedente su pagamenti ricevuti da soggetti che operano in qualità di consumatori finali. Nel caso di clienti persone fisiche, imprenditori o professionisti, sarà necessario (e non banale) escludere le commissioni applicate su transazioni su cui viene emessa fattura con partita IVA (perché il fatto identificherebbe univocamente l’operazione come attinente all’ambito professionale). I prestatori di servizi di pagamento obbligati alla comunicazione devono in effetti trasmettere il “Totale commissioni su operazioni di pagamento riferibili a consumatori finali”; come però possano farlo nel caso di utilizzo promiscuo del conto corrente da parte della persona fisica titolare di partita IVA è quantomeno dubbio.

Modalità di utilizzo: il codice tributo

Con l’approvazione del codice tributo relativo, l’agevolazione è già oggi pienamente operativa per le commissioni pagate nei mesi di luglio ed agosto. Il credito sarà utilizzabile a decorrere dal mese successivo a quello di sostenimento della spesa mediante modello F24, indicando il credito nella sezione “Erario” (o a debito nel caso di restituzione di agevolazione) utilizzando il  codice tributo 6919; andranno anche valorizzati il mese e l’anno di maturazione del bonus (che coincide con il momento di effettivo addebito della commissione) nei formati “00MM” e “AAAA”.

Gli importi devono essere determinati sulla base di apposite comunicazioni trasmesse in via telematica, di solito via PEC, o scaricate dai servizi web delle banche o dei prestatori di servizi di pagamento (es. NEXI, Sumup, Satispay, etc.) che riportano gli stessi dati che il prestatore di servizi di pagamento trasmette periodicamente all’Agenzia delle Entrate. È quindi importante che gli esercenti e i loro commercialisti utilizzino tali documenti per il calcolo del credito spettante e non la normale reportistica contabile. Vista l’eterogeneità delle modalità di trasmissione, sarebbe anche auspicabile che fosse direttamente l’Agenzia a rendere disponibili agli esercenti i dati del credito d’imposta maturato, in un’ottica di collaborazione tra fisco e contribuente che sfrutti le opportunità fornite dalla digitalizzazione.

L’importo del credito maturato ed utilizzato dovrà essere indicato nella dichiarazione dei redditi (presumibilmente in una apposita sezione del quadro RU che è dedicata ai vari crediti d’imposta) relativa al periodo d’imposta di maturazione ed eventualmente in quelle successive fino al completo utilizzo. Il credito d’imposta non costituisce imponibile ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP e non concorre al calcolo degli interessi passivi deducibili né alla determinazione totale dei ricavi dell’impresa.

Non va trascurata una potenziale criticità: gli operatori distinguono le operazioni verso i consumatori finali da quelle verso soggetti IVA sulla base della tipologia di carta di pagamento utilizzata. Ma nulla impedisce, soprattutto nel caso di singolo professionista o imprenditore individuale, che spese inerenti la sfera professionale siano pagate con strumenti di pagamento (carte, app, etc.) non considerati “professionali” dall’ente emittente. In simili casi ci si ritroverà con un report che includerà tra le commissioni pagate su operazioni verso consumatori finali anche operazioni fatturate a soggetti IVA che non possono beneficiare del credito d’imposta. Da professionista contabile non posso che rilevare come l’esclusione di tali operazioni comporterebbe un’attività di riconciliazione contabile molto laboriosa ed economicamente ingiustificabile visti i modestissimi importi in ballo. Va detto che lo stesso problema varrebbe per l’eventuale accertatore fiscale che dovrebbe perdere ore e ore di lavoro per escludere pochissimi euro di credito d’imposta non spettante.

Sanzioni per errato utilizzo bonus bancomat 2020

In assenza di disciplina specifica, riteniamo in caso di errato utilizzo del credito si applichi la normativa generale (DLgs 471/1997, art. 13, commi 4 e 5), che prevede:

  • in caso di credito “non spettante” (credito esistente ma utilizzo in misura superiore a quello spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste) la sanzione è pari al 30% dell’importo del credito erroneamente utilizzato.
  • in caso di credito “non esistente” la sanzione applicabile è tra 100% e il 200% del credito utilizzato. In questo caso non è ammessa la definizione agevolata della violazione mediante il c.d. “ravvedimento operoso”.

L’obbligo di indicazione in quadro RU del credito maturato in dichiarazione dei redditi può, in caso di violazione, costituire motivo di applicazione delle ulteriori sanzioni per dichiarazione infedele (90%-180%).

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