Quest’anno l’Italia è andata in ferie sapendo che, al ritorno, settembre sarà un mese decisivo sotto molti aspetti. Nel primo mese di vero “new normal” (salvo indesiderati ritorni del virus) resisterà l’entusiasmo per lo smart working? E a che punto sarà l’avanzata degli acquisti digitali di beni e servizi? Concentriamoci in particolare su questo ultimo punto, approfondendo in particolare la situazione legata alla platform economy, che ha avuto un boom durante la pandemia.
L’avanzata della platform economy
Nella tragedia del coronavirus e nelle enormi difficoltà poste dal lockdown, un piccolo momento di evasione è stato fornito dalla rivincita del “panariello”. Il cestino che, soprattutto nelle città del Sud Italia, viene calato dai balconi per raccogliere la spesa quotidiana senza muoversi di casa si è trasformato: da nostalgico simbolo di tradizione è improvvisamente diventato “device”, quasi futuristico, perfetto per fare transazioni evitando contatti umani pericolosi nel momento della pandemia. Una semplice nota di colore, che però riproduce (in scala microscopica) i meccanismi dello scatto in avanti della platform economy.
I marketplace che mettono in contatto digitalmente la domanda e l’offerta – business to business (B2B) e business to consumer (B2C) – di beni e servizi minimizzando o eliminando intermediari e intermediazioni sono diventati essenziali. Basta un flash per spiegarlo: con negozi e ristoranti chiusi e i cittadini costretti in casa, per le città sono rimasti a circolare i corrieri di Amazon e servizi analoghi, o i rider di Deliveroo, Glovo e Uber Eats: alfieri della platform economy. Questa immagine non fotografa, naturalmente, una popolarità improvvisa, quanto il coronamento di un processo che è in movimento ormai da qualche anno. Chi acquista, praticamente qualunque cosa, si sta abituando a farlo su piattaforme che permettono di farlo valutando i prodotti in autonomia, sulla base di “evidenze” (naturalmente variamente declinate a seconda del settore).
Detto così, sembra quasi banale. Ma la realtà è che il modello di business sotteso alla platform economy digitale e disintermediata si è rivelato molto spesso disruptive: presuppone una ristrutturazione di processi, di priorità, di attori e di costi che ha variamente generato resistenze e dubbi – a volte in buona fede, a volte no. Il fatto che questo modello si sia dimostrato non solo vincente, ma anche socialmente utile in un momento di estrema difficoltà, segna una vittoria che è ancora più importante da un punto di vista culturale che non di performance economico-finanziaria.
Il caso: Assolombarda e il progetto Platform Economy
Non molti sanno che, fin dal 2018, Assolombarda ha costituito un “Progetto Platform Economy” con uno steering committee dedicato. L’obiettivo è quello di riunire imprese unite da questo modello di business – dalle istituzioni, come il Comune di Milano e la Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi, a grandi realtà come Amazon e Flixbus e realtà più piccole – per discutere insieme problemi specifici e ragionare, uniti e in maniera costruttiva, con il legislatore per integrare meglio questo settore nell’economia del Paese. Coordinatore del committee è Mattia Macellari, Presidente di Assolombarda Servizi e Direttore Commerciale di C.A.T.A. Informatica. Alla domanda se l’attuale congiuntura funzionerà da ulteriore “volano” per l’affermazione della platform economy, risponde confermando le considerazioni di cui sopra, spiegando che per gestire la continuità operativa durante il lockdown le aziende hanno dovuto accelerare l’adozione di un strategia digitale.
Quello che può davvero accelerare, probabilmente, è la capacità di coinvolgere la politica in questo discorso. In fondo, anche la PA è stata investita come mai prima d’ora dall’urgenza di digitalizzare. A livello normativo, quale potrebbe essere l’aggiornamento allo “status” della platform economy che si potrebbe discutere con le istituzioni? Sono state individuate tre aree di intervento prioritarie, che diventeranno oggetto di una proposta dettagliata. Primo: attivare una piattaforma di riflessione comune tra istituzioni e aziende che possa tradurre in una regolamentazione che guardi al futuro tutte le sfide e le proposte suddette. Secondo: sviluppare concretamente la proposta del diritto a innovare e di farlo in collaborazione con le aziende e le start up che affrontano ogni giorno i vincoli legati all’incertezza regolatoria. Terzo: trovare delle modalità (es. bandi o sgravi fiscali) per incentivare operazioni di Open Innovation e Corporate Venture Capital volte alla platformizzazione delle aziende.