Non è scontato, anzi è rivoluzionario che il DEF, documento di economia e finanza 2014, presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi e dal Ministro dell’Economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, deliberato dal Consiglio dei Ministri dell’8 aprile, dedichi nella sezione III del programma Nazionale di riforma 12 pagine al Piano nazionale banda larga e banda ultralarga. Mai accaduto in passato. Ciò che dicono quelle pagine è che le infrastrutture immateriali a banda larga e soprattutto a banda ultralarga devono essere garantite a tutti i cittadini, pertanto la mano pubblica, sussidiaria all’intervento del mercato, è imprescindibile. Si tratta di 12 pagine in cui il Piano Nazionale Banda larga in fase di completamento e il Piano Strategico Banda Ultralarga avviato da circa un anno, sono descritti minuziosamente, quali principali misure per ridurre gli squilibri nazionali.
Tramite il DEF, quindi, il Presidente del Consiglio ha fatto quella scelta che ci aspettavamo, ci ha sorpresi impegnandosi al raggiungimento degli obiettivi europei al 2020 di garantire al 100 per cento dei cittadini servizi di connettività ad almeno 30 mbps e incentivando al contempo la sottoscrizione di servizi oltre i 100 Mbps per la metà della popolazione.
Lo strumento con cui l’Italia raggiungerà questi ambiziosi obiettivi è quello già autorizzato dalla Commissione europea nel dicembre 2012. Un regime di aiuto, compatibile dunque con gli orientamenti comunitari relativi all’applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato in relazione allo sviluppo rapido di reti a banda larga, così come modificati nel 2012, che utilizza i fondi pubblici in maniera oculata per ovviare a carenze del mercato e a raggiungere obiettivi di interesse europeo comune. Una misura giudicata quindi complementare e non sostitutiva degli investimenti provenienti dagli operatori di mercato, eliminando così il rischio che la misura di aiuto soppianti gli investimenti privati, snaturi gli incentivi agli investimenti commerciali e, in ultima analisi, falsi la concorrenza.
Come dimostrano i dati della consultazione pubblica del Ministero dello sviluppo economico, nonché il rapporto di dicembre ’13, del Commissario straordinario all’Agenda digitale – Francesco Caio, senza questi piani pubblici l’Italia continuerebbe a registrare le peggiori performance europee in tema di infrastrutture immateriali, palesando un’offerta di servizi di connettività concentrata solo sulle prime duecento città e condannando gli altri territori al nuovo, ancor più discriminante digital divide della banda ultralarga.
Anche la Commissione Trasporti e Poste e Telecomunicazione, il 16 aprile scorso ha dato parere favorevole al DEF osservando, fra le altre cose, l’opportunità di evidenziare al Governo la priorità di sostenere adeguatamente la piena attuazione dei Piano nazionali della banda larga e della banda ultralarga ed operare per il conseguimento degli obiettivi previsti dall’Agenda digitale europea.
Insomma, sembra che tutti gli stakeholders pubblici siano decisi a raggiungere gli obiettivi comunitari sulle infrastrutture immateriali e il Piano è chiaro, manca solo un dettaglio: le risorse! I fondi europei 2014-2020 (FESR e FEASR) sono insufficienti allo scopo: servirebbero 2,5 miliardi di euro pubblici circa per il solo obiettivo del 100% dei cittadini a 30 mbps, ma l’accordo di partenariato ne individua meno della metà, frammentandoli in 20 Programmi Operativi Regionali, di cui le regioni del SUD ne beneficiano per il 70 per cento. Mentre, il fondo sviluppo e coesione pare ad oggi, ancora incerto, e secondo il Dossier del Servizio Studi della Camera dei Deputati n.95 del 1 dicembre 2013[1] sarà difficile prevedere stanziamenti così ingenti prima del 2017.
[1] fornisce le Schede di lettura dell’A.C. 1865 – “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)” relativamente al comma 5, si legge che, la norma in oggetto dispone l’iscrizione in bilancio di tali nella misura dell’80 per cento (43.848 milioni), subordinando l’utilizzo della restante quota di 10.962 milioni ad una verifica di metà periodo. Ma che “dei 43.848 milioni di euro, il comma 5 ne dispone l’immediata iscrizione nel bilancio 2014-2016 nella misura di 50 milioni nel 2014, di 500 milioni nel 2015 e di 1 miliardo nel 2016. Per gli anni successivi, la quota residua, pari a 42.298 milioni, sarà ripartita in quote annuali secondo le determinazione della tabella E delle singole leggi di stabilità.”