lavoro pubblico

Tecnico informatico della PA italiana, nessuno vuole farlo: ecco perché e come rimediare

Essere dipendente della PA oggi garantisce ancora un “posto fisso” ma, per alcune categorie in ambito tecnico-informatico lo stipendio resta su livelli non proprio attraenti. Occorre riflettere sulla necessità di adeguare le politiche di gestione del personale alle condizioni di contorno

Pubblicato il 06 Ott 2020

Marius Bogdan Spinu

Dirigente - Area per l'Innovazione e Gestione dei Sistemi Informativi ed Informatici - Università degli studi di Firenze

amministratore di sistema

Si parla molto di una necessità di ammodernamento della PA italiana, di una necessità ormai urgente di cambiamento e riorganizzazione in un’ottica più efficace e funzionale a garantire servizi più evoluti e vicini alle esigenze del cittadino.

Ma l’evoluzione della pubblica amministrazione non può prescindere, a mio avviso, da una riflessione sulle politiche di gestione del personale, in particolare in ambito tecnico informatico.

Innovazione della PA, dalla teoria alla messa in produzione

Prendo spunto da un articolo di giugno, nel quale il Presidente FPA, Carlo Mochi Sismondi, propone “cinque temi che sono altrettante sfide per una PA che sia in grado di generare giustizia sociale e sviluppo sostenibile”. I 5 temi sono: le persone, la semplificazione, la discrezionalità e la lotta alla “burocrazia difensiva”, la trasformazione digitale e il governo con la rete.

In qualche modo questi temi hanno avuto negli ultimi anni anche una proiezione operativa. In alcuni settori, per esempio l’innovazione tecnologica e digitale è stato avviato un percorso interessante che secondo me dovrebbe essere ulteriormente perseguito e rafforzato. Le iniziative dell’AGID hanno portato a intravedere una strada impostata anche a livello operativo per tutta la PA. Mi riferisco in particolare al piano triennale per la PA che, con la rete dei Responsabili per la Transizione al Digitale, avrebbe potuto portare risultati apprezzabili in tempi accettabili. Peccato che le iniziative dell’AGID sono in netto contrasto con il taglio della spesa ICT introdotto dal MEF nell’ultima legge di bilancio, la rete degli RTD è abbastanza trascurata ultimamente e quindi la trasformazione digitale della PA è significativamente rallentata. Ribadisco che, in modo incomprensibile e alla faccia delle priorità del digitale, il settore ICT è l’unico che vede non una limitazione ma un taglio della spesa corrente per il triennio 2020-2022.

La semplificazione si raggiunge anche attraverso analisi di processo, reingegnerizzazione e dematerializzazione (di cui si parla da molti anni senza risultati rilevanti). Peccato (di nuovo) che la “giungla normativa” sembra costruita per limitare e condizionare le iniziative di chiunque decida la promozione del cambiamento e, nonostante diverse proposte interessanti, non ci sono interventi operativi in vista. Non sono un esperto e non saprei scegliere la proposta più idonea tra quella del Rapporto Colao, quella della Confindustria, qualcun’altra, ma questa scelta va fatta prima possibile e va avviato il processo di “messa in produzione”.

La formazione del personale

Ho lasciato in fondo, perché secondo me merita particolare attenzione, l’argomento relativo al personale. Sono del parere che la creazione di un percorso formativo dedicato alla pubblica amministrazione sia una scelta corretta che permetterebbe di avere personale preparato non solo nell’ambito specialistico specifico ma anche nell’ambito normativo e operativo. Certo, tale impostazione ha senso se si intende investire nella PA.

Giusto per dare un’idea di come funziona il sistema, Il CCNL – Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro (quello che non riesco mai a capire perché deve essere rinnovato sempre in ritardo quasi a dimostrazione di un generale disinteresse all’argomento) prevede quattro categorie di lavoratori: A, B, C e D. Tutte si dividono in posizioni economiche. Per la categoria C, C1 è livello base (di ingresso) e poi la C2, C3 e così via sono posizioni economiche con stipendio più alto. Le due più rilevanti per numero di personale sono la C e la D. Tra le due c’è una differenza di stipendio (D è la più alta ma un C di livello alta guadagna di più di un D1) e sono diversi i vincoli per l’acceso. Ad un concorso per D possono partecipare solo i laureati.

Dedicherei alcune righe alla situazione particolare del personale tecnico informatico della PA ma ho il forte sospetto che situazioni simili possano manifestarsi anche in altri ambiti e professionalità.

Ecco alcune riflessioni:

  • Essere dipendente della PA oggi garantisce ancora un “posto fisso” – non mi vengono in mente casi di licenziamento – ed una certa disponibilità di tempo che ti può garantire di dedicare, giustamente, tempo alla vita personale e alla famiglia. Il carico di lavoro invece è decisamente alto e la carenza di personale lo rende a volte sicuramente impegnativo se non addirittura esagerato. Il periodo di lockdown e quello successivo è stato particolarmente intenso per il personale del settore ICT.
  • Lo stipendio tabellare annuo lordo da CCNL per la posizione C1 negli enti locali è di 21.881 euro e per un D1 è di 23.808 euro. In Italia lo stipendio di partenza per uno sviluppatore parte da circa 35.000 euro e in Europa occidentale si può andare oltre ai 55.000 euro. Un tecnico informatico interessato allo stipendio quindi sarà invogliato ad immigrare e se dovesse rimanere in Italia sicuramente non si interessa alla Pubblica Amministrazione.
  • Anche nell’informatica ci sono ormai delle divisioni ben definite, un sistemista è diverso da un o sviluppatore e anche chi sviluppa si è specializzato in linguaggi e tecnologie diverse. Sul mercato italiano c’è una significativa richiesta di sviluppatori (in particolare Java) e spesso gli studenti si laureano con un contratto di lavoro in tasca. Gli esperti in alcuni settori come la cybersecurity o il big data sono rari, molto ben pagati, ricercati sul mercato quindi difficilmente la PA sarà di loro interesse. Eppure, la sicurezza informatica della PA è fondamentale. Puntualizzo che anche i tecnici con (molta) esperienza entrano partendo normalmente dalla posizione base (C1 o D1).
  • L’ultimo report DESI – Digital Economy and Society Index – ci piazza all’ultimo posto in Europa per le competenze digitali, questo fatto incide anche nella valutazione del lavoro effettuato dai tecnici ICT nella PA e non è raro che il decisore delle strategie aziendali non percepisca il valore aggiunto che il gruppo ICT può dare alla propria struttura
  • I concorsi per il personale ICT non sono stati fatti in molti casi per molti anni. Succede anche che al momento in cui sono vengano fatti concorsi per la categoria C i vincitori siano laureati e quindi dopo poco tempo si rendono conto che il ruolo non è adeguato alle loro competenze e allo stesso tempo lasciarlo è una decisione particolarmente coraggiosa e sofferta.
  • Sempre nell’ambito dei concorsi, non è raro che ad una selezione di 20 posti per la categoria D si iscrivano intorno a 150, si presentino meno di 100 e dei 30 che rimangono in graduatoria una decina decidano di non accettare il posto. Non è raro altresì che alla selezione partecipino dipendenti di altre PA o che nelle varie graduatorie ci siano le stesse persone e che quindi anche dopo la conclusione della procedura concorsuale l’amministrazione non riesca ad assumere i tecnici necessari.

Conclusioni

Concluderei evidenziando la necessità di una ulteriore riflessione sulle strategie di evoluzione della Pubblica Amministrazione e di una probabile necessità di adeguare le politiche di gestione del personale alle condizioni di contorno. Sicuramente, in una situazione in cui Italia già produce troppo pochi laureati in informatica, la percentuale di quelli che si sentono attratti dalla PA è in significativa diminuzione.

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