L'analisi

Semplificazione delle procedure fiscali, serve un salto di qualità: ecco le proposte

Interventi come la fattura elettronica, svolti con l’intento di semplificare le procedure amministrative e burocratiche, celano invece complessità legate a norme e processi vetusti: vediamo quali accorgimenti si dovrebbero adottare per migliorare

Pubblicato il 15 Ott 2020

Salvatore De Benedictis

dottore commercialista

fattura

La fattura elettronica ha rappresentato una vera rivoluzione, ma solo a metà. Lo stesso vale per altre azioni intraprese nel settore fiscale, volte a semplificare le procedure, ma realmente capaci di farlo solo in parte. Innegabile infatti che la nostra economia ha pagato (e paga tuttora) un prezzo esagerato per i vantaggi che sono stati annunciati con l’introduzione della fattura elettronica. Ed è di tutta evidenza che sino al momento in cui non si chiuderà il ciclo digitale della fatturazione con i pagamenti elettronici, il percorso sarà come un tratto di autostrada in mezzo ad una giungla di interruzioni e di deviazioni.

Del resto, senza un’attenta analisi delle conseguenze, la semplificazione è solo uno slogan. Ci sono tanti piccoli accorgimenti che, senza sconvolgere le regole già presenti, potrebbero ridurre il peso degli adempimenti, snellire le procedure e, se adottate dall’Agenzia delle Entrate, potrebbero confermare la disponibilità già manifestata in varie occasioni dall’amministrazione finanziaria. Vediamo di cosa si tratta.

Il contesto

Infatti, l’esigenza di semplificazione è un argomento che torna in auge nel momento in cui il contesto economico, vessato e stressato da problemi anche esistenziali, si rende conto che non ha senso coltivare l’inutile. Ecco quindi che vi è una levata di scudi che porta in auge un problema irrisolto, anche perché quando è stato affrontato spesso si è sortito l’effetto opposto. Perché? Un aspetto che dovrebbe indurre tutti alla cautela è che il concetto di semplificazione è relativo, non assoluto. Per l’impresa è semplice tutto quello che non comporta adempimenti o oneri, per i professionisti è semplice ciò che non solo assicura il miglior risultato col minimo impegno ma possiede anche i requisiti della standardizzazione dei processi e del rispetto delle regole, per l’Agenzia delle Entrate è semplice tutto ciò che permette loro di verificare tempestivamente il corretto adempimento dei contribuenti. Questa è una delle principali ragioni per cui le proposte di semplificazione non possono essere unilaterali, ma devono scaturire da un progetto condiviso. Questo in linea di principio.

Ciò che è tuttavia necessario per un corretto approccio alle problematiche tributarie è il possesso di una ben precisa forma mentis: ogni scelta dovrebbe essere preceduta da una attenta analisi delle conseguenze e dovrebbe essere adottata solo al termine di un processo tendente a trovare la soluzione migliore col minimo sforzo. Per fa un esempio di ciò che è certamente non coerente con la esigenza di “semplificazione” è l’ultima proposta paradossalmente finalizzata alla “semplificazione”, che vorrebbe introdurre il sistema di “pura cassa” per i contribuenti di piccole dimensioni. La prima domanda da porsi è: chi trae vantaggio dalla c.d. semplificazione? I piccoli contribuenti sono raramente dotati di un sistema contabile in grado di monitorare in maniera puntuale gli incassi e i pagamenti, quindi avrebbero difficoltà a distanza di tempo a ricordare date e importi, spesso quando sono frazionati. Ma vi è di più. L’incasso e il pagamento, quando sono effettuati in contanti (e i piccoli hanno questa consuetudine) non hanno un riscontro certo ed obiettivo. Se Caio dice di avere incassato in contanti 100 Euro da Tizio in data 30 dicembre 2020 e Tizio dice di aver incassato da Caio 100 Euro in contanti il 2 gennaio, chi dei due ha ragione? Come si può accertare la verità se Caio e Tizio dicono cose diverse? Alla fine la proposta non risulta di semplice gestione per nessuno.

La rivoluzione incompiuta della fattura elettronica

L’Agenzia delle Entrate ha avuto il merito di promuovere, contro tutto e contro tutti, la fatturazione elettronica: per agevolare il legislatore e le imprese nel “guado” dall’analogico al digitale ha organizzato il Forum Italiano sulla Fatturazione Elettronica, nel quale sono state e sono costantemente dibattute le problematiche e individuate le criticità e formulate le proposte di soluzione. È stata in quella sede che abbiamo pensato alla importanza di attribuire un hash a ciascuna fattura elettronica ricevuta dal sistema di interscambio, in modo da attribuire certezza e univocità a tutti di documenti in formato xml che transitano dal Sistema di interscambio.

Dobbiamo prendere atto che le complicazioni spesso non sono sempre il frutto di un errore, ma anche la conseguenza di pressioni lobbistiche, di interessi di parte, che subiscono una catarsi purificatrice quando sono sostenute dall’alibi della esigenza di creare opportunità di business, di “dare lavoro a tutti”. A nostra memoria possiamo citare tantissimi provvedimenti normativi, magari in valore assoluto giustificabili, con titoli che sembrano già da soli rassicuranti e risolutivi dei problemi sottostanti, ma che poi sono stati progettati ed attuati con un effetto ghigliottina, e ed appaiono come se fossero stati adottati con l’intento di complicare la vita a tanti malcapitati: privacy, antiriciclaggio, sicurezza sul lavoro, conservazione sostituiva, eh si, anche fatturazione elettronica. Vediamo perché.

La predisposizione e la gestione della fattura elettronica ha comportato la esigenza di modificare i gestionali delle aziende e dei professionisti. Ma a pensarci bene la modifica non è stata così tragica da poter incidere in maniera significativa nelle procedure software che producevano la stampa analogica delle fatture: la fattura elettronica ha standardizzato l’output e razionalizzato il formato. Eppure le imprese si sono viste addebitare costi sia una tantum, e questo è comprensibile perché la esigenza di aver modificato i programmi è innegabile, ma anche costi “a consumo” che, in qualche ipotesi, sono fuori da ogni logica, essendo parametrati al numero delle fatture emesse e registrate. Se a questo aggiungiamo l’obbligo di conservazione delle fatture elettroniche, i costi appaiono effettivamente sproporzionati agli effettivi vantaggi, ove sfruttati.

Cosa serve per il salto di qualità

Non avere realizzato il progetto integrato dei cicli aziendali, dall’ordine, alla contabilizzazione, al pagamento, ha creato – soprattutto nelle imprese medio-piccole, un aggravio di costi dovuto alla esigenza di raccordare il modesto percorso digitale avviato con la fatturazione elettronica con i restanti processi, che sono spesso digitali nella forma ma non nella sostanza. Un esempio? I pagamenti elettronici. Non c’è dubbio che siano effettuati mediante dispositivi informatici, ma poi occorre accedere all’home banking per estrarre i movimenti bancari in formato excel, procedere all’import nei gestionali e comunque doverli integrare con dati mancanti (partita IVA della controparte finanziaria, estremi della fattura, descrizione della operazione) o comunque non ricavabili in maniera strutturata dai dati acquisiti: è evidente come siamo ancora lontani dalla sufficienza, uno spreco enorme. Questo nella migliore delle ipotesi, perché molto spesso dall’home banking si stampano gli estratti conto bancari e si procede alla immissione manuale dei dati in contabilità.

Immaginiamo per un attimo cosa accadrebbe se i pagamenti fossero tutti elettronici, se per ogni pagamento fosse necessario inserire gli estremi che poi serviranno per la contabilizzazione (quindi numero e data fattura, partita IVA o codice fiscale del beneficiario, etc.) e se queste informazioni fossero disponibili presso il Sistema di Interscambio, in modo da poter essere trattati dai software applicativi in maniera semplice e standard. Quanto tempo risparmierebbero gli addetti alla contabilità? Penso che una fetta tra il 10% e il 20% del tempo occupato dagli impiegati amministrativi o dagli studi che si occupano di contabilità viene per l’appunto dedicato alla immissione manuale e alle spunte, tempo che potrebbe essere dedicato ad analisi e a consulenze che ovviamente porterebbero enorme giovamento all’economia. Tutto questo a costo zero. Ovviamente i vantaggi maggiori si realizzerebbero qualora i pagamenti fossero tutti elettronici, ma è innegabile che se valutiamo il rapporto costi/benefici ci troveremmo in presenza di una delle rivoluzioni più importanti degli ultimi anni, e la semplificazione porterebbe a far diventare conveniente ciò che oggi pensa di imporre normativamente.

La conservazione  delle fatture elettroniche: un onere inutile

Un altro aspetto che lascia esterrefatti è assistere come anche per gli interventi che possono essere realizzati con un “colpo di penna” non si sia colta l’occasione per introdurre economie, procedurali ed economiche. Si è detto sopra che il Sistema di Interscambio invia all’emittente della fattura elettronica un “esito” nel quale tra l’altro è contenuto l’hash[1] del documento informatico ricevuto. Ovviamente l’hash è anche “conservato” dal SDI che l’ha generato. Mi chiedo: che bisogno c’è di imporre l’obbligo di conservazione a norma delle consente in maniera certa ed univoca la verifica di correttezza, autenticità e immodificabilità dei dati contenuti nelle fatture elettroniche ? In caso di verifica sarebbe sufficiente che l’Agenzia mettesse a disposizione del contribuente l’elenco degli hash corrispondenti alle fatture elettroniche emesse e ricevute in un dato periodo e transitate dal SDI, ed il contribuente potrebbe tranquillamente esibire i corrispondenti xml. L’Agenzia delle Entrate potrebbe anche introdurre un servizio per cui i gestionali a cui è affidata la gestione delle fatture elettroniche possano in qualunque momento verificare se esiste un disallineamento tra i dati delle fatture memorizzati presso il SDI e i dati contenuti nei gestionali.

Ovviamente i contribuenti dovrebbero prestare attenzione a custodire gelosamente le fatture elettroniche, ma questa è una regola generale sulla quale si fonda l’ordinamento giuridico Italiano: se oggi un contribuente non esibisce un libro giornale, ne subisce le conseguenze. Amen. Costo? Zero. Vantaggi? Il risparmio dei costi per la generazione annuale dei pacchetti di conservazione che rappresenta un evidente bis in idem a livello logico e sostanziale e che rappresenta un Babau per gli utenti e i professionisti meno innovativi.

La conservazione dei documenti informatici

La possibilità di tenere e conservare libri e registri in maniera digitale risale a più di quindici anni fa. Si è iniziato col la emanazione del decreto 23 gennaio 2004, che disciplinava gli effetti fiscali, e poi si è proceduto con l’inserimento dell’art.2215-bis del codice civile, che ha chiuso il cerchio estendendo la validità dei documenti informatici anche in ambito civilistico. La emanazione del Codice della Amministrazione Digitale – C.A.D. – nel 2005 e tutte le successiva produzione normativa ci ha dato un contesto certamente moderno ed esemplare per la pubblica amministrazione, ma ha avuto un drammatico effetto negativo nel settore privato. Si è parlato di conservazione a norma, di responsabile della conservazione, di manuale della conservazione, di nomenclature e appellativi, sconosciute ai più, che hanno sortito solo l’effetto di far gongolare chi ne ha tratto il suo pane quotidiano, e di tenere a debita distanza le imprese private e, in generale, tutti coloro che avrebbero beneficiato dei maggiori vantaggi dal loro utilizzo.

Il concetto è più o meno quello che si è indicato sopra, quando si è parlato di conservazione delle fatture elettroniche. Per fare un esempio pratico, parliamo del pacchetto di archiviazione, che deve essere generato in conformità ai provvedimenti emessi in attuazione dell’articolo 71 del CAD. Che senso ha organizzare un sistema di conservazione quando devo conservare pochi documenti informatici, quali, per esempio, il libro giornale e i libri IVA? Se ad un documento informatico, per esempio in formato pdf/a, applico la marca temporale, non ne ho assicurato la immodificabilità, oltre ad avere attribuire la data certa opponibile ai terzi? Se appongo la firma digitale, non ho anche conferito la autenticità (oltre che la immodificabilità)? Cui prodest che per conservare quattro documenti mi viene imposto un “sistema di conservazione” con tanto di responsabile e di manuale? In ambito civilistico e tributario veniamo fuori da un periodo storico in cui i libri e registri erano (e sono ancora) stampati su fogli di carta, soggetti alle “aggressioni” del tempo. Qualcuno si è mai posto in passato il problema di assicurare che vi fosse un responsabile della conservazione? I documenti informatici, se assoggettati a marca temporale e a firma digitale ancora meglio, offrono tutte le certezze e le garanzie umanamente possibili, perché andare oltre? Ma anche se ci trovassimo di fronte ad un libro giornale in formato PDF, cosa avrebbe questo documento informatico in meno rispetto ad un blocco di fogli A4 prodotti con una stampante laser ? probabilmente il file PDF sarebbe più sicuro del corrispondente documento analogico, perché quanto meno garantirebbe la stabilità nel tempo dei dati contenuti.

Cosa potremmo semplificare? Sarebbe sufficiente affermare il principio di diritto che i documenti informatici o esistono e sono leggibili e assicurano le caratteristiche di autenticità ed immodificabilità, oppure in caso contrario gli organi deputati ai controlli verificheranno in che misura ciò che è stato prodotto possa garantire la credibilità sostanziale dell’impianto contabile ed amministrativo esaminato. Tutto questo dovrebbe essere accompagnato dalla rassicurazione che la Pubblica Amministrazione si limita al ruolo di presidio degli interessi generali dello Stato, in cui le imprese (latu sensu) non devono essere viste come presunti colpevoli nei confronti dei quali la diffidenza è d’obbligo, ma come entità che devono meritare la fiducia e l’apprezzamento sociale per il ruolo che rivestono nella struttura portante del Paese. Quale sarebbe il costo? Nessuno, solo ammettere che si è esagerato con la produzione normativa e “deregolamentare” un sistema creato per finalità diverse. E cercare di convincere il legislatore che non deve essere la logica del profitto di alcune lobby a guidare la sua penna. Quali sarebbero i vantaggi? La digitalizzazione prenderebbe finalmente il volo e con l’aiuto dei professionisti che assistono le imprese recupereremo il terreno perduto. Le stampanti andrebbero in pensione, la tasca e l’ambiente ne ricaverebbero enormi benefici.

L’abolizione dei libri e registri

Sin dai primi anni della mia attività mi sono chiesto perché non fosse stato predisposto un piano dei conti unico per tutte le imprese. Acquisendo esperienza mi sono reso conto che ciò era impossibile, perché ogni impresa ha le sue caratteristiche che richiedono l’utilizzo di distinzioni, specifiche, analisi, dettagli che, in un paese di poeti e di naviganti come l’Italia, trova la sua massima espressione. Quindi abbiamo assistito al proliferare un piano dei conti per ciascuna azienda, con enormi difficoltà di gestione contabile e con disagi nel passaggio dei dati contabili ai dichiarativi fiscali e al bilancio. Ma oggi siamo maturi e competenti per aver tutti appreso che:

  • per ambiti medio piccoli, un piano dei conti standard potrebbe essere una soluzione accettabile;
  • in presenza di esigenze particolari, si potrebbe “indirizzare” in modo tabellare ciascun sottoconto del mio piano dei conti specifico a quello standard, ovviamente solo con un criterio di “molti a uno” o di “uno ad uno”.

Ma a che serve un piano di conti standard ? semplice, ad indirizzare tutti i dati in maniera univoca e certa ai dichiarativi fiscali e nel bilancio. In questo modo il problema sarebbe solo quello di parametrizzare il piano dei conti, e una volta che il dato è correttamente classificato, tutto andrebbe gestito in maniera automatica. Ecco che qui si apre un altro capitolo. La scarsa sensibilità del legislatore (e, ahimè, non solo) si è spinta al punto di non comprendere che i dichiarativi e i bilanci si iniziano a predisporre il primo giorno dell’anno di riferimento, non ad aprile dell’anno successivo: è solo generando l’esatta corrispondenza tra sottoconti e codici e i dichiarativi ed il bilancio che poi a fine anno si potranno tirare le somme e redigere agevolmente ciò che la Legge richiede. Ma per far questo è necessario che le regole non cambino in corso d’anno e siano stabilite in precedenza. Quindi, al primo gennaio 2021 dovrei avere già noti i modelli di bilancio e dichiarazione dell’anno d’imposta 2021.

Per non parlare poi dell’obbligo di tenuta dei “libri e registri”, “oggetti” assolutamente non standard la cui produzione richiede uno sforzo economico, ambientale e umano necessario per trasformare in analogico ciò che è digitale, che rappresenta l’esatta antitesi di ciò che viene predicato. I libri e i registri dovrebbero avere un tracciato record standard e predefinito, il database dovrebbe essere lo zoccolo duro su cui dovrebbero sfidarsi le case produttrici di software producendo innovazione in ambito di funzioni elaborative, di condivisione documentale, di reportistica, di layout, etc.etc.. Oggi invece la complicazione strutturale e di utilizzo del gestionale è una polizza assicurativa per la società di software che l’ha prodotto, posto che un eventuale travaso verso un altro software si trasformerebbe in un bagno di sangue.

Conclusione

Ho solo citato alcuni esempi di semplificazione a costo zero o quasi, che avrebbero poche controindicazioni e che darebbero un boost incredibile alla nostra economia. I rappresentanti della categoria dei Dottori Commercialisti, piuttosto che organizzare gli scioperi per il mancato differimento delle scadenze fiscali, dovrebbe incatenarsi davanti alla sede del Parlamento e chiedere prima delle “semplificazioni” la abolizione delle complicazioni procedurali e normative che ci legano al secolo scorso, e farsi parte attiva per la vera rivoluzione digitale, anticipando proposte e soluzioni, non opponendo resistenza, come è accaduto in occasione dell’avvio della fatturazione elettronica. Dovrebbero chiedere a gran voce il ripristino della centralità della contabilità generale e l’abbandono dei criteri di accertamento e di presunzioni, degli ISA e quanto altro, strumento preistorico, nato quando i mezzi di indagine e i database di cui oggi la Pubblica Amministrazione è in possesso erano solo fantascienza.

Tutto questo servirebbe a dare credibilità e rilancio ad un Paese che corre il rischio di perdere la sua supremazia nella innovazione, nell’hi tech, è popolato da menti fertili e produttive che hanno “partorito” il sistema di fatturazione elettronica che mezzo mondo sta cercando di copiare, ma che non riesce a fare il salto di qualità perché il suo establishment è convinto che l’efficienza si raggiunga con un sistema sanzionatorio da terzo mondo, piazzando un poliziotto dietro ogni cittadino, salvo poi dolersi di non poter raggiungere gli obiettivi perché non si sono poliziotti a sufficienza. Insomma, parlare di semplificazione … non è per niente semplice.

_

Note

  1. L’hash è un algoritmo matematico applicato ad un documento informatico che produce una sequenza di caratteri organizzata in maniera tale che 1) sia statisticamente impossibile che si possano generare due sequenze hash identiche per due documenti differenti, e 2)applicando la procedura per il calcolo dell’hash n volte allo stesso documento informatico si ottenga sempre la medesima sequenza di caratteri

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