criminalità online

Spaccio nel dark web, Governo all’attacco con decreto: ecco le nuove misure

Nel consiglio dei Ministri del 5 ottobre, il Governo ha licenziato un testo che estende il meccanismo dell’oscuramento, già utilizzato per il contrasto alla pedopornografia online, a quei siti utilizzati per la commissione di reati in materia di stupefacenti. Ma le procedure potrebbero essere obsolete per il dark web

Pubblicato il 12 Ott 2020

Marco Cartisano

Studio Polimeni.legal

dark pattern

Le ultime misure varate dal Governo per la “sicurezza delle città, l’immigrazione e la protezione internazionale” contengono, fra le altre, una norma specificatamente concepita per contrastare il fenomeno della cessione delle sostanze stupefacenti e psicotrope attraverso il “dark web”.

Il fenomeno ha raggiunto livelli preoccupanti e le Forze di Polizia monitorano costantemente la rete, sia a fini preventivi che repressivi, mediante agenti sotto copertura, attesa la difficoltà di individuare i responsabili dello spaccio attraverso le usuali “coordinate” forensi ossia l’indirizzo IP o il numero di utenza telefonica.

Piazze di spaccio virtuali: quanto è esteso il fenomeno

Per comprendere meglio l’estensione delle piazze di spaccio virtuali basterebbe citare una ricerca del 2016 di Daniel Moore & Thomas Rid (ricercatori del King’s College di Londra) secondo cui tra 2723 siti attivi del deep web monitorati in cinque settimane, ben 1547 trattavano materiale illegale fra cui droga, armi, pornografia minorile, dati hackerati e così via: si può tranquillamente sostenere che si tratta di una vera e propria terra di nessuno.

Gli fa eco una ricerca del prof. Dr Michael McGuire dell’Università del Surrey (UK) secondo cui dal 2016 c’è stato un aumento del 20% dei siti illegali del deep web.

Ed ancora nel 2017 un’operazione della Procura della Repubblica di Lecco ha portato all’arresto di cinque presunti narcotrafficanti italiani che operavano attraverso il dark web, aprendo veri e propri market della droga in cui i pagamenti avvenivano attraverso i bitcoin e la sostanza spedita ai consumatori occultata in oggetti di uso comune quali cellulari, hard disk e statuette.

In quel frangente la Polizia ha potuto solo oscurare il sito web italiandarknet.io che forniva le istruzioni per accedere ai black market mediante il programma TOR, sviluppato alle origini dalla Marina USA ed utilizzato per la navigazione totalmente anonima che, pur consentendo una diffusissima illegalità, permette anche di dar voce ai dissidenti dei paesi che bloccano e controllano la rete.

Il nuovo decreto legge

Va precisato che il Decreto Legge rubricato «Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifica agli articoli 131-bis e 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento e di contrasto all’utilizzo distorto del web (decreto-legge)» non è stato ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, tuttavia il Governo, nel consiglio dei Ministri del 5 ottobre scorso ha licenziato un testo che, fra gli altri, «estende il meccanismo dell’oscuramento, già utilizzato per il contrasto alla pedopornografia online, a quei siti che, sulla base di elementi oggettivi, devono ritenersi utilizzati per la commissione di reati in materia di stupefacenti.»

In assenza di un articolato normativo ufficiale, dalla lettura della bozza si evince che effettivamente si è scelto di utilizzare la procedura operativa simile quella che impone agli ISP di oscurare (o meglio rendere inaccessibili) i siti dal contenuto pedopornografico segnalati dal CNCPO ovvero il Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia sulla rete Internet (l’art. 14 ter L. 269/1998 modificato dalla L. 38/2006 stabilisce che «i fornitori di connettività alla rete Internet, al fine di impedire l’accesso ai siti segnalati dal Centro, sono obbligati ad utilizzare gli strumenti di filtraggio e le relative soluzioni tecnologiche» secondo determinati standard stabilito con decreto del Ministero delle Comunicazioni sentite le associazioni maggiormente rappresentative dei fornitori di connettività alla rete Internet).

Gli standard operativi individuati

Nel caso di specie l’organo individuato è il Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni secondo gli standard operativi già individuati per il contrasto alla pedopornografia on line.

Già ma quali sono gli standard?

Il Decreto Legge all’art. 10 richiama espressamente il D.M. 8 gennaio 2007 del Ministero delle Comunicazioni che prevede che l’inibizione possa essere fatta attraverso a livello minimo (inibizione nome di dominio) o in base all’indirizzo IP del server fornito da Centro.

Gli ISP hanno l’obbligo di dotarsi strumenti informatici indipendenti dalle caratteristiche hardware e software dell’utente e che abbiano le seguenti funzionalità:

  • garantire l’impossibilità di accedere e di apportare modifiche non autorizzate all’elenco dei siti inibiti;
  • permettere l’inibizione dei siti segnalati indipendentemente dalla codifica dei caratteri utilizzata;
  • escludere che i fornitori di connettività alla rete Internet siano autorizzati, ai fini del presente decreto e salvo i casi espressamente previsti dalle leggi vigenti, al trattamento dei dati relativi agli accessi effettuati dai singoli utenti.

Va detto che l’ISP è responsabile della porzione di rete amministrata ed ha sei ore di tempo per inibire l’accesso al sito, fatti salvi i provvedimenti dell’autorità giudiziaria (per esempio il sequestro).

Procedure inadeguate per il deep/dark web?

Dal punto di vista operativo, la Polizia delle Comunicazioni, su richiesta di un’articolazione del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, forma la black list che viene costantemente trasmessa agli ISP i quali hanno 7 giorni di tempo per adeguarsi, pena una sanzione amministrativa da 50.000 a 250.000 euro.

Va detto, in ogni caso, che la procedura sopra descritta appare obsoleta (13 anni fa) nella misura in cui è strutturata per oscurare i siti del cosiddetto “surface web” ossia quella parte di rete che tutti utilizziamo indicizzata dai più importanti motori di ricerca.

Ma se ci spostiamo sul deep web (legale ma riservato) o sul più inquietante dark web (mercato illegale) le cose potrebbero essere più complicate, atteso che non esistono indirizzi IP o DNS da bannare, il che potrebbe rendere la misura annunciata più una dichiarazione di intenti che un’effettiva arma di contrasto al traffico di stupefacenti sul web.

In ogni caso resta da capire quale sarà la scelta tecnica più idonea e le tempistiche per la sua l’effettiva implementazione.

Fonti:

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