Mai avremmo immaginato che la realtà fosse peggiore di quanto già avevamo denunciato la scorsa settimana, costringendoci a ritornare sul tema: un crescendo di testimonianze, accuse e ammissioni sta dimostrando che il sistema di tracciamento automatico dell’app Immuni è ora penalizzato dal caos, a volte persino volontario, della sanità territoriale.
Asl e Regioni lungi dal promuovere l’uso di Immuni, lo boicottano a volte in vario modo.
Gli indizi del boicottaggio di Immuni
Gli indizi? Tanti e fanno ben più di una prova.
- Il più grave: la Regione Veneto ha ammesso di non avere ancora attiva la piattaforma per la gestione dei codici Immuni. Ergo i positivi che in Veneto hanno immuni non possono caricare i propri codici temporanei per consentire l’allerta dei contatti stretti tramite notifica app. Motivo? Ritardo di attivazione e “presto” sarà risolto, avremo la piattaforma in Veneto. Ma resta molto grave: non solo perché in regione è stata inutilizzata l’arma automatica del tracking contro il virus, ma anche (soprattutto) perché nessuno ha avvisato i cittadini. Ignari si sono fidati, hanno fatto il loro dovere civico (ricordato dal premier Giuseppe Conte di recente), salvo poi scoprire – dopo il possibile shock della scoperta della positività al virus – che quell’app installata era inutile, nel loro caso. Un altro shock, della loro fiducia nelle istituzioni, probabilmente. Proprio ciò che non possiamo permetterci in questa fase. Il ministero della Salute sapeva, invece? Sia che lo sapeva (e non ha avvisato) sia che non lo sapeva è grave.
- Diversi articoli (Giornale, Fatto Quotidiano) riportano confessioni di dirigenti sanitari che dicono di non credere all’app. Non la promuovono e quindi, probabilmente, nemmeno dicono agli operatori sanitari di chiedere agli utenti positivi se l’hanno installata. Il caso più grave a riguardo è del dirigente dell’Ats di Milano, una delle aree più colpite dal virus.
- L’accusa è poi certificata dal sottosegretario alla Salute Sandra Zampa, che ha parlato a La7 di “delitto politico” contro l’app, imputandolo a leader del centrodestra, governatori anche di sinistra.
- Infine i numeri, che già da settimane indicavano agli esperti qualcosa di storto. Siamo a ben 8,6 milioni di download, ma solo 567 utenti positivi dotati di app. Anche se il boom dei download è delle ultime settimane (a settembre eravamo sui 6 milioni), qualcosa non torna. Certo di sono molti più positivi con app, ma non lo dicono alle asl o non gli viene permesso di dirlo per i motivi di cui sopra.
I mali di Immuni sono quelli del sistema sanitario frammentato
Adesso è però il momento di mettere tutta questa vicenda nella giusta prospettiva. Così apparirà nella sua, ancora maggiore gravità.
Immuni è in fondo solo la ciliegina sulla torta delle tre T, come dicono diverse fonti (tra cui il famoso studio meta-review del Lancet di settembre e il ministro della Sanità inglese, dove l’app, arrivata in ritardo, ha avuto un successo immediato maggiore del nostro).
Ad oggi questo sistema ha maturato 10mila notifiche. Il sistema del tracking manuale, quello attivo ad esempio per i contagi nelle scuole, nei ristoranti e altri luoghi pubblici, ha importanza e numeri maggiori (nota Lancet).
La disorganizzazione, spesso di colore “politico”, e la mancata collaborazione tra le parti istituzionali – persino in una pandemia! – è destinata a pesare su tutte le T in causa. Anche su quelle più importanti.
Prova ne sia la mancanza di certezze e uniformità decisionale sulla gestione del testing e tamponi, come denunciato da più parti.
In conclusione
Tutto questo certo pesa sull’efficacia di Immuni. Ma ancora di più, e ancora più gravemente, pesa sull’intera nostra capacità di vincere la battaglia con il virus.
Ci rende meno organizzati e quindi meno efficaci. Ci rende inoltre più divisi, più polarizzati e sfiduciati nei confronti delle istituzioni. In un momento in cui la fiducia nelle fonti istituzionali è minima, per diversi motivi socio-culturali, le stesse istituzioni polarizzandosi frappongono tra loro opinioni opposte. Opposte verità. Analogamente a quelle che già dividono la popolazione su caratteristiche e genesi del coronavirus. Quando la post verità entra anche nel discorso istituzionale è il punto di non ritorno (come lucidamente raccontato nel libro di Anna Maria Lorusso).
Il coronavirus è una sfida per le nostre democrazie. Ne mette in luce le vulnerabilità, esacerbandole. Tra l’altro portando in Italia all’intempestivo teatrino politico intorno a soluzioni di destra o di sinistra, statali o regionali.
Non è bastata l’emergenza – salvo forse solo nelle prime settimane di marzo, in cui il Paese era sotto shock – per superare le divisioni. Adesso che i ricoveri tornano a salire, non ci possiamo permettere boicottaggi per partito preso.
In emergenza, la soluzione può essere un maggiore accentramento, maggiore dirigismo centrale che limiti discrezionalità territoriali (forse anche “politicizzate”) su tamponi, tracking (qui incluso Immuni).
Ma è un rimedio, appunto, d’emergenza. I mali profondi del tessuto sociale si curano nel tempo, ricucendo divisioni, formando la politica al pensiero del bene comune, riducendo le tensioni sociali – incluse le disparità economiche – che alimentano le polarizzazioni. La polarizzazione politica è conseguenza, prima di essere ulteriore causa, di polarizzazione sociale.
Nei momenti di crisi e di diseguaglianze aumentano le divisioni tra parti sociali, che tendono quindi a estremizzare il proprio voto, spesso favorendo partiti populisti (qui una raccolta di studi in merito; interessante anche How can we save Capitalism di LSE e il recente saggio del MIT).
Chissà se la crisi sanitaria, oltre a esasperare i problemi di una democrazia come la nostra, non l’aiuterà anche a maturare anticorpi più forti alla polarizzazione, al populismo.