Lo scorso 10 settembre, l’Avvocato Generale Maciej Spuznar ha presentato le proprie conclusioni nel caso VG Bilt – Kunst contro Stiftung Preußischer Kulturbesitz (SPK), rispettivamente un soggetto esercente una biblioteca digitale tedesca on-line e una società che gestisce i diritti d’autore nel settore delle arti visive (Causa C-392/19). La seconda ha convenuto il giudizio la VG – Bilt Kunst affinché il giudice dichiari che la clausola da questa imposta a SPK, con l’obbligo di inserimento di misure tecnologiche di protezione nei confronti dei licenziatari dei diritti per le opere poste a disposizione del pubblico tramite framing, è contraria alle regole comunitarie, non trattandosi di un atto di comunicazione al pubblico che necessiti l’autorizzazione del titolare dei diritti.
Ci troviamo quindi di fronte a un’ulteriore prossima decisione della ECJ che riguarda il tema dei collegamenti ipertestuali, quali il linking, il framing e l’embedding, questa volta riferita all’ipotesi in cui l’accesso ai contenuti protetti, messi a disposizione del pubblico tramite i suddetti collegamenti, avvenga con la rimozione, da parte della collecting distributrice dei contenuti, delle misure tecnologiche di protezione (MTP) sugli stessi apposte dal titolare dei diritti.
Il contenuto delle conclusioni dell’Avvocato Generale
Il contenuto delle conclusioni dell’Avvocato Generale forniscono alla Corte di Giustizia indicazioni utili al fine di rispondere alla domanda pregiudiziale rivolta al giudice comunitario da parte della Corte Federale di Giustizia tedesca, così articolata: “se l’incorporazione, mediante framing, di un’opera disponibile su un sito internet liberamente accessibile con il consenso del titolare dei diritti su un sito internet di un terzo costituisca una comunicazione al pubblico dell’opera, ai sensi dell’art. 3, par. 1, della Direttiva 2001/29/EC, qualora ciò avvenga aggirando le misure tecnologiche di protezione contro il framing che il titolare dei diritti ha adottato o fatto adottare”.
La questione che l’Avvocato Generale pone ai giudici di Strasburgo, pur riferita a una fattispecie peculiare, quella della possibile rimozione delle MTP per il caso di contenuti posti a disposizione del pubblico tramite collegamenti ipertestuali da parte del titolare dei diritti, non risulta affatto nuova e merita un excursus sui precedenti, recenti e passati, in materia[1].
Le precedenti sentenze della Corte Ue
Infatti, la materia del c.d. “linking” nelle sue diverse forme è stata oggetto di numerose pronunce della Corte di Giustizia succedutesi negli anni. Già in data 13 febbraio 2014, il tribunale comunitario si è pronunciato con sentenza nella causa C-466/12, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte dallo Svea Hovrätt (tribunale svedese), nel procedimento avviato dai Nils Svensson, Sten Sjögren, Madelaine Sahlman, Pia Gadd nei confronti della media company Retriever Sverige AB. I primi avevano svolto una domanda di risarcimento del danno da essi subìto per effetto dell’inserimento sul sito Internet di Retriever Sverige di collegamenti ipertestuali “cliccabili”, che rinviavano ad alcuni articoli di cui i medesimi soggetti erano titolari del relativo diritto d’autore. In questo caso, la domanda di pronuncia pregiudiziale verteva sull’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29/CE, in base al quale “gli Stati membri riconoscono agli autori il diritto esclusivo di autorizzare o vietare qualsiasi comunicazione al pubblico, su filo o senza filo, delle loro opere, compresa la messa a disposizione del pubblico delle loro opere in maniera tale che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente”.
In merito alle prime tre questioni pregiudiziali poste alla Corte di Giustizia dal giudice svedese del rinvio, esaminate congiuntamente dalla Corte stessa, esse miravano ad accertare se il sopra citato articolo 3, par. 1, della Direttiva 2001/29 dovesse essere interpretato nel senso che costituisce un atto di comunicazione al pubblico, come previsto da tale disposizione, la fornitura per il tramite di un sito Internet di collegamenti ipertestuali verso opere protette disponibili su un altro sito Internet, fermo restando che le opere di cui trattasi sono liberamente accessibili su questo altro sito e sono state poste a disposizione del pubblico dal titolare dei diritti o con il suo consenso. Con la quarta questione il giudice del rinvio ha chiesto alla Corte se il medesimo articolo 3, par. 1, dovesse essere interpretato nel senso che osti a che uno Stato membro possa stabilire una tutela maggiore per i titolari del diritto d’autore, prevedendo che la nozione di comunicazione al pubblico comprenda più forme di atti di messa a disposizione del pubblico delle opere protette di quante non ne siano stabilite in tale articolo.
Nelle proprie argomentazioni, la Corte ha sostenuto che, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, il fatto di fornire collegamenti ipertestuali verso opere tutelate deve essere qualificato come “messa a disposizione” e, di conseguenza, “come «atto di comunicazione, nel senso della disposizione [della Direttiva Infosoc] sopra citata”. Secondo la Corte, inoltre, ai fini dell’applicazione della medesima norma nel senso di richiedere l’autorizzazione del titolare del D.A., occorre che la comunicazione sia rivolta a un pubblico “nuovo”, ossia a un pubblico che gli autori non abbiano considerato al momento in cui hanno autorizzato la comunicazione iniziale al pubblico della loro opera. La Corte di Giustizia, in merito alle prime tre questioni, ha statuito che l’articolo 3, par. 1, della Direttiva 2001/29/CE deve essere interpretato nel senso che non costituisce un atto di comunicazione al pubblico, ai sensi di tale disposizione, la messa a disposizione su un sito Internet di collegamenti ipertestuali verso opere liberamente disponibili su un altro sito Internet. Con riferimento alla quarta questione, la Corte ha poi affermato che l’articolo 3, par. 1, della direttiva 2001/29 deve essere interpretato nel senso che è contrario alle norme comunitarie il fatto che uno Stato membro possa stabilire una maggiore tutela dei titolari del diritto d’autore, includendo nella nozione di comunicazione al pubblico più forme di messa a disposizione di quelle disposte da tale norma.
Un analogo ragionamento è stato seguito dalla Corte di Giustizia con la sentenza depositata in data 21 ottobre 2014 nel caso C-348/13 fra BestWater International GmbH e i sigg. Michael Mebes e Stefan Potsch, anch’essa vertente sulla interpretazione pregiudiziale dell’articolo 3, paragrafo 1, della Direttiva 2001/29/CE. In sintesi, tale provvedimento pone tre concomitanti condizioni affinché il linking a un sito web di terzi possa essere considerato lecito:
- il link deve condurre alla visione dell’intera pagina web di provenienza del contenuto protetto;
- il link al contenuto protetto non deve essere diretto ad un “pubblico nuovo” rispetto a quello cui era inizialmente rivolto;
- il contenuto protetto deve essere fornito con le stesse modalità attraverso le quali si è verificato il suo sfruttamento originario.
Anche in questo caso, l’attività di linking presuppone che il sito web che viene messo a disposizione del pubblico sia legittimo e non conduca allo sfruttamento abusivo delle opere di terzi.
In conformità a queste indicazioni ma con ulteriori rilevanti riflessioni, si è espressa la successiva sentenza della Corte di Giustizia resa nel caso GS Media / Sanoma (C-160/15 – Decisione dell’8 settembre 2016) in cui il tribunale comunitario ha statuito che “consapevolezza della violazione” e “scopo di lucro” sono fattori decisivi per stabilire se vi sia violazione o meno dei diritti d’autore nel caso del linking. Ha detto in proposito la Corte: “Qualora il collocamento di collegamenti ipertestuali sia effettuato a fini lucrativi, è legittimo aspettarsi che l’autore di tale collocamento realizzi le verifiche necessarie per garantire che l’opera di cui trattasi non sia pubblicata illegittimamente sul sito cui rimandano detti collegamenti ipertestuali”.
A completamento della panoramica circa le decisioni della Corte di Giustizia in tema di linking, sovviene la sentenza da essa resa il 7 agosto 2018 nella causa C-161/17, (Land Nordheim Westfalen c. Dirk Renckoff) con la quale il tribunale comunitario ha statuito che la pubblicazione di una fotografia resa disponibile on-line su un sito web da parte dell’autore, ove essa sia oggetto di collegamento ipertestuale “cliccabile” da parte di un terzo che la ponga a disposizione del pubblico attraverso un altro sito web, seppure il collegamento originario non fosse protetto da misure tecnologiche di protezione, rientra nei diritti esclusivi di comunicazione al pubblico e, come tale, essendo diretto a un “pubblico nuovo” deve essere considerata illecita.
Le conclusioni dell’Avvocato Generale
Partendo dall’esame dei precedenti giurisprudenziali sopra citati, nelle proprie conclusioni l’Avvocato Generale Spuznar nella causa VG Bilt – Kunst contro Stiftung Preußischer Kulturbesitz, osserva che la terminologia utilizzata dalla Corte attraverso l’uso ripetuto della parola “transclusion” (transclusione), riferita alle diverse forme di collegamento ipertestuale, spesso conduce a dare una definizione indifferenziata dei termini “framing”, “in-line linking” e “embedding”. Secondo l’opinione dell’Avvocato Generale, mentre il “framing” rappresenta una modalità particolare di “linking” che “consente di dividere la schermata in più parti ognuna delle quali può presentare il contenuto di un altro sito internet”, l’”embedding” – che ove sia posto in essere attraverso software che rendano automatico viene definito “in-line linking”- si differenzia dal “framing” in quanto tale ultimo collegamento ipertestuale è capace di incorporare un elemento in una pagina internet a partire da un altro sito web, senza la necessità che l’utente debba cliccare sul link per ottenere tale collegamento. Su tali basi l’opinione di Spuznar, nelle conclusioni presentate alla Corte nel caso VG Bilt – Kunst contro SPK, si è orientata verso una distinzione fra “collegamenti cliccabili” e “collegamenti automatici” nell’ambito dell’hyperlinking, per giungere a sostenere che l’incorporazione (embedding) in una pagina internet di opere tutelate provenienti da altri siti web in cui le stesse siano pubblicate in modo liberamente accessibile al pubblico tramite collegamenti “cliccabili” attraverso l’impiego del “framing” non costituisce atto di comunicazione a pubblico che richieda l’autorizzazione del titolare dei diritti, il quale l’avrebbe implicitamente concessa al momento dell’iniziale messa a disposizione del pubblico delle stesse. Tale principio sarebbe applicabile, secondo Spuznar, anche per il caso in cui l’embedding avvenisse relativamente a collegamenti ipertestuali che eludano le misure tecnologiche di protezione applicate dal titolare dei diritti.
Al contrario – dice l’Avvocato Generale Spuznar – i c.d. collegamenti “automatici” o in-line linking, rientrerebbero fra gli atti di comunicazione al pubblico di cui all’Art. 3.1 della Direttiva Infosoc (2001/29/CE) e, conseguentemente, necessiterebbero dell’autorizzazione del titolare dei diritti per potere essere lecitamente attuati. Essi, infatti, darebbero luogo a una visualizzazione automatica su una pagina web, appena aperta, senza la necessità di “alcuna azione supplementare da parte dell’utente”.
A tale stregua, ha concluso l’Avvocato Generale, la distinzione fra collegamenti ipertestuali “cliccabili” e collegamenti “automatici” si riverbererebbe anche sulle misure tecnologiche di protezione apposte per prevenire la disseminazione delle opere, le quali sarebbero di per se stesse oggetto di tutela solo in quanto esse siano applicate agli atti di comunicazione al pubblico che richiedano l’autorizzazione del titolare dei diritti.
Sarà interessante vedere in che modo la Corte di Giustizia leggerà nel proprio giudicato le conclusioni di Maciej Spuznar sopra brevemente tratteggiate, in una decisione che ponga fine a questa interminabile rincorsa a regole precise in materia di collegamenti ipertestuali.
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- Risulta utile fornire una definizione dei termini tecnici “linking”, “framing” e “embedding” che stanno alla base degli atti di comunicazione al pubblico in esame.Il “linking” si basa sul funzionamento ipertestuale della rete. Esso è stato sviluppato all’interno del linguaggio digitale del sistema Hypertext Markup Language” (HTML) per consentire agli utenti di navigare da una pagina all’altra dello stesso sito o da una pagina di un sito a quella di un altro.Nell’opinione dell’Avvocato Generale si richiama la distinzione che sussiste tra “deep-linking” e “surface-linking”: egli ricorda che si rientrerà nel primo caso quando l’hypertext-link trasferisca l’utente direttamente a una determinata pagina, posta all’interno di un altro sito “web”, senza passare attraverso la home-page identificativa del titolare del sito stesso. Al contrario si ricadrà nel secondo caso qualora il “link” si limiti a condurre l’utente a un altro sito web consentendogli di entrare all’interno del sito stesso o nella sua pagina iniziale.In conseguenza il “deep-linking” impedisce l’identificazione del fornitore del contenuto offerto e può indurre il pubblico a ritenere che detto contenuto provenga direttamente da colui che ha creato il “link”. Nel caso invece del “surface-linking”, strumento che permette di raggiungere la pagina iniziale del sito web altrui, è possibile pervenire immediatamente all’identificazione del titolare dell’informazione fornita. L’”embedding”, infine, consiste nell’incorporamento di un contenuto all’interno di una pagina web anziché nel semplice collegamento alla fonte originale del supporto. ↑