La circolazione incontrollata di fake news potrebbe avere ripercussioni negative sulla sperimentazione efficace di un vaccino contro il Covid-19, che richiede una percentuale di immunizzazione tra il 50 e l’80% della popolazione disponibile a farsi vaccinare.
Scenario ad oggi difficilmente realizzabile se si considera il crescente flusso di disinformazione online orientato a manipolare, mediante la pubblicazione di notizie allarmanti, le convinzioni delle persone verso un atteggiamento dubbioso e titubante nei confronti dei vaccini.
Uno scenario che richiede il massimo sforzo da parte delle istituzioni e delle piattaforme online, volto alla diffusione di informazioni serie e precise in grado di fare da contraltare al preoccupante e incontrollato incremento della disinformazione destinata ad alterare la percezione collettiva dell’opinione pubblica anche in relazione a temi, come appunto quello dei vaccini, di rilevante interesse generale per la società che possono incidere sulle condizioni di salute degli individui e della collettività complessivamente considerata.
Vaccini anti-covid, i “sospetti” della rete e gli scenari catastrofistici
Il recente annuncio di Pfizer sullo stato di avanzamento dei test di sperimentazione del vaccino COVID-19 che potrebbe essere efficace al 90% sembra non suscitare aspettative positive e favorevoli a livello globale da parte della generalità delle persone sempre più sospettose nei confronti dei vaccini, come risulta dallo studio condotto da Wellcome Trust che ha analizzato le risposte di oltre 140 mila persone provenienti da più di 140 paesi.
Nell’ambiente “social” proliferano post sui presunti effetti collaterali provocati da un possibile vaccino anti-Covid, condivisi da un numero significativo di utenti che dichiarano il proprio rifiuto di sottoporsi alla relativa cura, al punto da indurre il neo Presidente eletto Joe Biden a nominare una task force sul coronavirus.
È dunque emblematico, in tal senso, il dibattito attuale sugli effetti del vaccino anti-Covid alimentato, nonostante le continue rassicurazioni fornite dagli organismi competenti, da una crescente condivisione di scenari “catastrofistici” nella descrizione di reazioni pericolose provocate da una possibile campagna di vaccinazione sperimentale promossa in mancanza di adeguati standard di sicurezza e senza alcuna incidenza terapeutica dimostrabile con ragionevole certezza.
Social media, ansia collettiva, disinformazione: legami e conseguenze
Si profila il rischio di una crescente sfiducia delle persone in un clima generale di ansia collettiva da spasmodiche preoccupazioni e comportamenti irrazionali influenzati dal flusso di “bufale” veicolate online a causa della circolazione di contenuti falsi e fuorvianti spesso considerati fonti “autorevoli” di notizie, come primari mezzi di approvvigionamento quotidiano di informazione.
Un recente studio intitolato “Social media and vaccine hesitancy” (Wilson SL, Wiysonge C., BMJ Global Health 2020;5:e004206), sottolinea come i social network favoriscano la diffusione di campagne di disinformazione veicolate da bot automatici e troll (di prevalente provenienza russa) generatori di contenuti caratterizzati da un’accentuata propaganda anti-vaccinazione, da cui si evince una stretta correlazione tra la condivisione di notizie “virali” su tali temi e la diffidenza dell’opinione pubblica sulla sicurezza dei vaccini, prospettandosi così un possibile calo della copertura di immunizzazione sperimentale, una volta resi disponibili in commercio le dosi da iniettare, come una delle 10 principali minacce indicate dall’OMS in grado di mettere in pericolo la salute pubblica.
Sulla base dei dati statistici raccolti è stato infatti rilevato che il tasso medio di vaccinazione diminuisce del 12% ogni decennio a seguito di un corrispondente proporzionale incremento del livello della disinformazione.
Sofisticate strategie comunicative per la diffusione di notizie fuorvianti
A conferma della mole di disinformazione che circola al fine di manipolare le convinzioni delle persone verso un atteggiamento dubbioso verso i vaccini, anche l’analisi di First Draft che ha monitorato tutti i tweet e i post di Facebook e di Instagram contenenti, come tag, le parole chiave “vaccino” o “vaccinazione” (espresse in lingua inglese, spagnola e francese con un campione statistico di 41 paesi esaminati), concentrando l’attenzione sui contenuti maggiormente condivisi e commentati, riscontrando la frequente tendenza alla diffusione di notizie palesemente false che in alcuni casi “distorcevano la realtà” con l’intento di “innescare risposte emotive come paura o rabbia”.
La ricerca descrive l’esistenza di una sofisticata strategia comunicativa per specifici target di utenti al fine di pubblicare una serie di informazioni fuorvianti su come i vaccini non siano sicuri, prospettando anche pericolosi risvolti legati al loro uso come piano globale per monitorare le popolazioni mediante l’installazione di microchip sugli organismi umani sino a sollecitare via social appelli “anti-quarantena” come elogio di resistenza a restrizioni politiche illegittime in violazione delle libertà fondamentali oppure a sbandierare la fede religiosa come l’unico vero modo per fermare il virus.
Dall’inizio della pandemia di coronavirus, è in atto un preoccupante fenomeno di “deficit di dati” provocato da una progressiva contrazione di offerta di contenuti affidabili rispetto alla crescente richiesta del pubblico fruitore di notizie: in altre parole, sono alti i livelli di domanda di informazione su un argomento ma le notizie credibili sono scarse.
Tale criticità alimenta la circolazione di fake news nel tentativo di colmare il vuoto informativo esistente generando narrazioni false, incomplete e semplificate sulla complessità dei fatti pertinenti, veritieri e corretti narrati che soltanto efficaci meccanismi di “fact checking” sono in grado di smascherare.
La reazione dei colossi del web
Per tale ragione, i “Colossi del web” hanno avviato una recente collaborazione con i governi nazionali per combattere l’ondata di disinformazione online secondo un approccio di supporto sinergico che prevede la costituzione di gruppi di lavoro, aperti anche al contributo di personalità del mondo del giornalismo e della società civile, con il compito di vigilare sullo stato di diffusione di false affermazioni sui vaccini.
Ad esempio, il progetto sperimentale “Full Fact”, promosso con il supporto di enti pubblici, società tecnologiche e attivisti indipendenti provenienti da varie parti del mondo, è sostenuto, tra i tanti, anche da Facebook per organizzare programmi di controllo sulle informazioni che circolano online.
Per le medesime finalità, sempre Facebook ha vietato la sponsorizzazione degli annunci anti-vax che includevano disinformazione sui vaccini, nell’ambito di una campagna pubblicitaria predisposta a tutela della salute pubblica.
Anche YouTube ha avviato politiche concrete contro la disinformazione online, annunciando un divieto di pubblicazione di video recanti informazioni false sulle vaccinazioni “anti-Covid”, con l’impegno di rimuovere ogni notizia falsa o fuorviante sul tema.
Conclusioni
Occorre, quindi, prendere davvero sul serio la questione della disinformazione online mediante la definizione di una strategia generale efficace condivisa da rappresentanti istituzionali, vertici aziendali del settore high-tech, ricercatori e giornalisti mediante uno sforzo congiunto in grado di promuovere fonti di informazione autorevoli e rimuovere contenuti falsi o fuorvianti che potrebbero provocare danni alla salute in un momento storico, come quello attuale, in cui è decisivo generare un clima di fiducia da parte della popolazione nei confronti di notizie serie, complete e affidabili.