Il 2 dicembre 2020, la Commissione europea e l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, hanno delineato la roadmap per una nuova agenda UE-USA per il cambiamento globale. Il Piano definitivo potrebbe essere presentato nei primi sei mesi del 2021.
La domanda è: l’elezione di Joe Biden e della vicepresidente Kamala Harris alla Casa Bianca potrà contribuire concretamente alla roadmap delineata da Ursula von der Leyen e Josep Borrell e così “svecchiare” i rapporti transatlantici dopo diversi anni di profonde abrasioni da America First?
La risposta dovrà attendere. Una cosa intanto è certa. Nel contesto europeo, in particolare Francia, Germania (la Cina è il primo partner commerciale della Germania) e Italia rivestiranno ruoli cruciali nel sancire il successo tra scenari geopolitici guidati da concetti di “autonomia strategica” o piuttosto da principi di “sovranità e difesa europea”.
Facciamo il punto sulla strategia dell’Europa e sulle sfide per il prossimo futuro negli ambiti centrali della proposta di partenariato UE-USA ancora in fase di definizione: salute, commercio, difesa e sicurezza internazionale, tutela dell’ambiente e della biodiversità, democrazia e diritti umani, geopolitica, Cina, Russia, Iran e vicinato orientale, area Middle East and North Africa e il resto dell’Africa e, certo, governance tecnologica, intelligenza artificiale e sovranità digitale strategica. Tanti quanti i precedenti dossier della discordia rivelatisi durante i quattro anni di Donald Trump.
L’Agenda transatlantica per la cooperazione globale
“Con un cambio di amministrazione negli Stati Uniti, un’Europa più assertiva e la necessità di progettare un mondo post-coronavirus, abbiamo un’opportunità unica per progettare una nuova agenda transatlantica per la cooperazione globale”, afferma il documento.
E così enfatizza Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea “Stiamo prendendo l’iniziativa di progettare una nuova agenda transatlantica adatta al panorama globale di oggi. L’alleanza transatlantica si basa su valori e storia condivisi, ma anche interessi: costruire un mondo più forte, più pacifico e più prospero. Quando il partenariato transatlantico è forte, l’UE e gli Stati Uniti sono entrambi più forti. È tempo di ricollegarsi a una nuova agenda per la cooperazione transatlantica e globale per il mondo di oggi”.
Tre gli inviti e i principi guida delineati nell’agenda transatlantica:
Salute e ambiente
La finalità è promuovere i beni comuni globali. Salute e ambiente. La pandemia ha reso evidente quanto una risposta globale sulle misure di contenimento, di prevenzione e di cura possa essere determinante sia in termini di incolumità degli individui che di gestione del deficit di finanziamento e miglioramento delle possibilità collettive di successo.
E, dunque, in area salute, il focus si accende sulla predisposizione di un vero e proprio playbook pandemico, sul potenziamento dei canali di collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, sulla costruzione di reti logistiche resilienti, eque e complete per la distribuzione di vaccini e forniture mediche da destinare in tutto il mondo. L’invito si estende fino alla richiesta di adesione degli Stati Uniti al Piano Trade and Health Initiative nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Tutto da declinare e sviluppare ulteriormente nella cornice del prossimo vertice mondiale sulla salute del G20 che sarà co-ospitato dal primo ministro Conte e dalla presidente von der Leyen.
Quanto all’ambiente, il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità, vengono ritenute sfide decisive urgenti da affrontare con decisione e massima coordinazione. L’intento è giungere alla previsione di un’alleanza commerciale e tecnologica verde e sostenibile. Sul punto sono apparse incoraggianti le dichiarazioni rilasciate dal Presidente Biden quanto alla volontà di rendere gli USA nuovamente (dopo il ritiro del 4 novembre 2019 durante l’amministrazione Trump) parte dell’Accordo di Parigi, ovvero l’intesa, siglata ormai cinque anni fa da 195 Stati, che si pone l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2 gradi e perseguire tutti gli sforzi necessari per limitare l’aumento di temperatura a 1,5 gradi rispetto ai livelli pre-industriali.
Obiettivi pertanto chiaramente in linea anche con la visione espressa dalla Commissione per un futuro a impatto climatico zero entro il 2050 e Altrettando funzionali alle priorità emerse durante la campagna lanciata dalla Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni unite (UNFCCC) in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente, “Race to zero”.
L’importante iniziativa globale nata per incoraggiare il contenimento e la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e per dare uno slancio al passaggio verso un’economia decarbonizzata; ciò anche in vista della discussione prevista per la prossima COP26, dove il traguardo nella carbon neutrality sarà dominante.
Iste ipse per quanto attiene alle istanze di difesa della biodiversità faunistica e floristica al centro della Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità – COP15 – che si terrà a Kunming, in Cina.
Focali anche le previsioni in termini di stanziamenti finanziari congiunti e l’introduzione di un prossimo Trattato globale sulla plastica e di un auspicabile Accordo sulla designazione di Aree marine protette nell’Oceano Antartico, che rappresenterebbe uno dei più grandi atti di protezione della natura nella storia.
“In qualità di principali centri finanziari e regolatori, l’UE e gli Stati Uniti sono nella posizione migliore per sviluppare un quadro normativo a sostegno degli investimenti privati nelle tecnologie verdi”, ha affermato la Commissione, citando la sua recente proposta per una tassonomia della finanza sostenibile.
Commercio e tecnologia
L’obiettivo è quello di coordinare le priorità strategiche tra UE e gli USA in vista del perseguimento di interessi comuni. Definire un’agenda tecnologica congiunta UE-USA. Sfruttare la rapidità dello sviluppo tecnologico per orientare e affrontare le sfide poste dai sistemi rivali di governance digitale. Sono incluse le tematiche relative all’intelligenza artificiale, alla sicurezza e alla sovranità digitale; dalle infrastrutture critiche, 5G, 6G, agli asset di cybersecurity, fino alla governance dei dati e al ruolo delle piattaforme online.
È immediato in tal senso il richiamo ai quadri normativi europei sul digitale in procinto di introduzione e che si rivolgono ai “grandi gatekeeper online”:
- Digital Service Act – DSA (il provvedimento che fisserà nuovi obblighi e responsabilità per gli intermediari digitali ed in particolare per le piattaforme on line, quanto ai contenuti che esse ospitano ovunque si trovino in UE),
- Digital Markets Act – DMA (il provvedimento sui mercati digitali e le regole della concorrenza che affronta il potere economico delle grandi piattaforme online)
- Data Governance Act – DGA (il provvedimento per la governance dei dati che mira a incoraggiare la condivisione e il riutilizzo dei dati tra i settori, proteggendo nel contempo gli interessi economici dell’Europa e la privacy dei suoi cittadini). Le cui proposte dopo la presentazione della Commissione saranno successivamente discusse in seno al Consiglio e al Parlamento europeo nel corso del 2021.
Misure aventi tutte un impatto trasformativo rilevante sui grandi campioni tecnologici statunitensi e sui loro modelli di business. Google, Amazon, Facebook e Apple, certo, ma anche WeChat e altre super-app asiatiche. Un fronte, dunque, anti-gatekeeper (ma non antistatunitense?) che intende porsi in chiave sinergica con il ruolo rivestito dalle autorità europee di regolamentazione antitrust rivelatesi per lo più infruttuose nell’affrontare i problemi sistemici generati dal potere privato dei dati. Ciò nel contesto di uno scenario coerente anche con le linee d’azione tenute negli USA dove il governo federale e i singoli Stati non accennano a diminuire la pressione sui Big Tech: da ultimo, dopo Google, Facebook è chiamato ora a rispondere alle accuse mosse dalla FTC e da 45 pubblici ministeri in due cause antitrust incentrate sull’acquisizione da parte del social di Instagram e WhatsApp e sulle regole che governano gli sviluppatori di software esterni (Facebook ha annunciato nel 2012 l’acquisizione di Instagram per 1 miliardo di dollari e, due anni dopo, ha annunciato l’ acquisizione di WhatsApp per 19 miliardi di dollari).
Nel frattempo c’è già chi si chiede se i nuovi requisiti per le piattaforme online previsti dai quadri regolatori europei DSA, DMA e DGA preannunciati, quali le dimensioni dell’impresa, la base di utenti o la quota di mercato, sarebbero coerenti con gli obblighi dell’Europa previsti dall’accordo generale sugli scambi di servizi (GATS) dell’OMC volti alla creazione di un sistema di regole che stimoli il commercio di servizi attraverso una progressiva liberalizzazione internazionale dell’accesso ai mercati. Lo scenario dibattimentale sul punto si preannuncia, quindi, piuttosto animato.
Ma non è tutto. L’idea sostenuta dalla Presidente Von der Leyn e Borrell è infatti quella di giungere ad un accordo transatlantico sull’intelligenza artificiale per definire un piano allineato a standard globali e valori comuni che possa favorire la convergenza normativa facilitando in tal modo il libero flusso di dati. Premesse anche queste piuttosto “grintose” se lette alla luce della seconda pronuncia di invalidità dello “scudo per la privacy” ad opera della Corte di gi
Un’azione globale verso un mondo più sicuro, più prospero e più democratico
L’intento è favorire lo sviluppo di soluzioni che rispettino i valori comuni di equità, dignità umana, principi democratici, libera concorrenza, pur nel contesto di approcci diversificati. Dalla risoluzione dei perduranti problemi nel contesto del commercio bilaterale tra UE e USA in termini di dazi e tassazione dei servizi digitali (l’UE aveva già investito in un accordo sulla tassazione digitale presso l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ma come noto Trump in estate abbandonò i negoziati), alla volontà comune di competere con l’iniziativa Belt & Road cinese.
Nella sua proposta, l’UE ha affermato che un primo passo in tal senso sarebbe finalizzare la nomina di un nuovo direttore generale dell’OMC ed “esplorare come ripristinare la funzione essenziale di risoluzione delle controversie riformando l’organo di appello”.
Altro fronte essenziale, inoltre, è quello del potenziamento dei meccanismi di cooperazione transatlantica e le sinergie di difesa e sicurezza internazionale.
E, quindi, implementare nel contesto del piano europeo Strategic Compass: Developing strategic principles, le linee conduttrici per una risposta rapida e sinergica in caso di crisi di sicurezza: non poco se si considera che le esortazioni di Bruxelles rivolte a Washington arrivano mentre l’UE e la NATO sperano di tenere un vertice all’inizio del 2021 a Bruxelles con Biden presente.
Accelerare, inoltre, l’attuazione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile come una questione di assoluta priorità.
Sostenere la promozione e la migliore tutela dei diritti dei lavoratori incentivando l’adesione a livello mondiale alle convenzioni pertinenti ai sensi del Organizzazione internazionale del Lavoro.
Condividere l’interesse strategico e pianificare le linee di azione per un’architettura geopolitica di sicurezza inclusiva tanto nelle aree del Medio Oriente, Libia e Iran, Afghanistan, quanto nel Nord Africa e nella regione del Sahel come del Mediterraneo e dell’America Latina. Incoraggiare la cooperazione transatlantica in Russia: Ucraina, Bielorussia e l’area dei Balcani occidentali, cruciale nel dialogo (mediato dall’Europa) tra Belgrado e Pristina.
A tal riguardo, non è un caso che Josep Borrell, a maggior ragione dopo la dichiarazione congiunta di Francia, Germania e Regno Unito – con la quale si esprime forte preoccupazione per la legge approvata dal Parlamento di Teheran che – se implementata – espanderebbe il programma nucleare dell’Iran con misure incompatibili con il JCPOA (un rapporto confidenziale dell’Aiea riportato dall’agenzia Reuters, sottolinea come l’Iran avrebbe in programma l’installazione di altri tre cluster di centrifughe avanzate IR-2m, nell’impianto di arricchimento di Natanz) – abbia già sottolineato la necessità per gli Stati Uniti di rientrare nel JCPOA, l’accordo sul nucleare iraniano e, per l’Iran, di ripristinare il pieno rispetto delle responsabilità nucleari come previsto dal JCPOA.
“Dobbiamo trovare un modo per gli Stati Uniti di rientrare nell’accordo nucleare iraniano e affinché l’Iran torni in piena conformità. L’accordo nucleare è ancora valutato come una pietra miliare della diplomazia di successo … Ne siamo orgogliosi come il più grande successo della nostra capacità diplomatica ” sottoliea Borrell.
Auspici che però non sembrano convincere il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif intervenuto al Med2020. Gli Stati Uniti, tuona il ministro iraniano, “si sono ritirati” dall’accordo Jcpoa e hanno imposto sanzioni pesanti dichiarando una guerra economica contro l’Iran, commettendo così un crimine contro l’umanità perché colpisce tutti i cittadini” e, anche nei confronti dell’UE, ribadisce “gli europei non sono stati in grado di fare la propria parte dell’accordo. E non possono dire il contrario perché non vediamo compagnie europee in Iran, nessun Paese europeo compra il petrolio iraniano, persino le banche si rifiutano di trasferire soldi in Iran”. Tanto mentre intervistato dal New York Times, Biden sembrava aprire la strada, seppur con un certo scetticismo, al dialogo “se l’Iran tornasse a rispettare rigorosamente l’accordo nucleare, gli Stati Uniti si unirebbero all’accordo come punto di partenza per i negoziati successivi”.
Conclusioni
“Con le nostre proposte di cooperazione rivolte alla futura amministrazione Biden, stiamo inviando messaggi forti ai nostri amici e alleati statunitensi. Guardiamo avanti, non indietro. Ringiovaniamo la nostra relazione. Costruiamo una partnership che offra prosperità, stabilità, pace e sicurezza ai cittadini nei nostri continenti e in tutto il mondo. Non c’è tempo per aspettare: mettiamoci al lavoro”, sottolinea Josep Borrell.
Risponde Joe Biden che su Twitter ci tiene a rendere noto che “L’America è tornata” e che “è pronta a guidare il mondo e a non a isolarsi da esso”.
Se con Biden è infatti piuttosto probabile che l’asse Roma-Berlino potrebbe riemergere con vigore, forte della comunanza di interessi su fronti caldi e delicati come Libia (dove incidono interessi energetici ben noti e problematiche militari e migratorie piuttosto ignorate dagli USA) e Cina, altrettanto è prevedibile come proprio la Cina, oltre alla questione Iran e nucleare, rivestiranno il fulcro culminante attorno al quale ridisegnare il destino dell’alleanza atlantica da adesso al 2030.
A tale riguardo Biden ha già espresso la sua chiara visione sulla Cina in un’intervista al New York Times: “I want to make sure we’re going to fight like hell by investing in America first”.
E sulle pagine del Sole24Ore Marta Dassù, direttore di Aspenia e membro del gruppo di esperti che supporterà il segretario generale della Nato nella “riflessione strategica” sul futuro comune, rilascia una bella intervista che riassume i punti critici che l’Europa dovrà dimostrare di saper gestire con lungimiranza e lucidità: “La sostanza della politica estera americana non cambierà radicalmente. Resterà la tendenza a un ripiegamento sui problemi interni: l’epoca della pax americana è conclusa. Di certo muteranno i toni. E verranno rivalutate le alleanze. Ma, per quanto riguarda l’Europa, chiunque arrivi a Washington, l’aspettativa sarà sempre quella che gli europei si prendano maggiori responsabilità, per esempio contribuendo maggiormente alle spese della Nato. Ogni Paese europeo che aderisce al patto atlantico ha preso l’impegno di fare salire, entro il 2024, il budget per la sicurezza e la difesa al 2% del Pil. Questo vale per tutti. Italia inclusa. Noi siamo all’1,43%, quindi ancora lontani, come anche la Spagna e la Germania, da quell’obiettivo. Inoltre, Trump o Biden, resterà invariata la linea americana sulle implicazioni delle nuove infrastrutture tecnologiche con cui la Cina può aumentare la sua penetrazione nei Paesi alleati degli Stati Uniti. Il no sul 5G con dotazione cinese è e rimarrà un no»
E anche in merito al nucleare non mancano copiose perplessità. Prime fra tutte quelle già menzionate del ministro esteri iraniano Zarif.
Zarif è in buona compagnia: “Qualsiasi sforzo per ricongiungersi all’accordo con l’Iran e costruire su di esso sarà attentamente esaminato al Congresso e tra i critici interni”, riferisce Ariane Tabatabai , un membro del Medio Oriente per l’Alliance for Securing Democracy presso il German Marshall Fund.
Per l’Europa si preannuncia dunque una strada in salita, senza dubbio, irta e scivolosa. Insidiosa quanto all’incidenza delle sue stesse geometrie interne esposte alle velleità di chi cerca di dividere nel nome del populismo e del sovranismo.
Borrell rivendica la leadership dell’Ue nella promozione dei diritti umani nel mondo e auspica un’allenza di valori con gli USA: sostiene la previsione di un nuovo regime di sanzioni contro chi viola le libertà fondamentali.
Tuttavia, anche in democrazia, come mi ricorda lo scrittore Erri de Luca, i diritti continuano ad essere una “questione di contrattazione, dipendono dai rapporti di forza. Si restringono e si dilatano a seconda dei periodi.” E mai come in questo momento storico la democrazia retrocede con essi rivelando il suo riflesso oligarchico.