Ci voleva l’arrivo dei fondi straordinari dall’Europa e la scrittura del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per utilizzarli, perché si riaprisse il tema di pubbliche amministrazioni italiane, centrali e locali, che non riescono a spendere bene? No, lo sapevamo da prima. Ma pragmaticamente diciamo: evviva!
Il governo ha avvertito il problema, ha delineato – nelle Bozze circolate del Piano – una governance del Piano stesso che sembrava – scriviamo “sembrava”, stante i chiarimenti che sembrano emergere – bypassare le amministrazioni pubbliche e investire del compito strutture extra-corporee, straordinarie. In moltissimi abbiamo fatto un salto sulla sedia: penso al Forum Disuguaglianze Diversità, di cui faccio parte, assieme al ForumPA e a Movimenta; penso all’articolo che ho scritto con Mario Monti; penso alle posizioni assunte da Sabino Cassese e da tanti altri.
E abbiamo detto: non solo non funzionerà mai, visto fra l’altro che due terzi del Piano (come oggi provvisoriamente circolato) va attuato da amministrazioni territoriali; ma proprio la governance del Piano è l’occasione per avviare quell’azione pragmatica di rigenerazione delle amministrazioni pubbliche che proprio ForumDD, ForumPA e Movimenta hanno delineato.
I quattro assi della rigenerazione della PA
Le gambe della rigenerazione sono quattro. Ricordiamole.
- Primo, partire da missioni strategiche chiare e da risultati attesi ancor più chiari in termini di qualità di vita e lavoro e impresa che siano misurabili e verificabili, e che dunque motivino: motivino i dipendenti pubblici a lavorare per uno scopo, e ritrovare un ruolo e un riconoscimento, e motivino cittadini, lavoratori e imprenditori a stare sul pezzo, a pretendere ciò che è stato annunciato, a contribuire a farlo accadere.
- Secondo, con queste missioni e con questi risultati chiari, avendo deciso anche quali territori e quali amministrazioni centrali e locali sono coinvolte, si può finalmente verificare quante e quali competenze manchino, di tipo disciplinare-tecnico (e con requisiti sull’uso e sulla comprensione critica della tecnologia digitale) e organizzativo, e su queste basi tradurre il rinnovamento generazionale in atto nel reclutamento di una leva innovativa di giovani, attraverso bandi rapidi (non oltre 6 mesi) e innovativi, come cento esperienze mostrano possibile; e poi si possono, si devono, accompagnare assunte e assunti nell’entrata in servizio, mobilitando le dipendenti e i dipendenti anziani più adatti a questa funzione.
- Terzo, bisogna tornare a formare il personale, certo alle opportunità e ai rischi del digitale – lo leggiamo anche nel Piano del governo – ma anche al nuovo modo di amministrare che è oggi necessario, con più discrezionalità – in coerenza con il più saggio degli atti del governo in carica, abolire il danno erariale per danni colposi che derivino da azione (non da inazione) – e con una capacità di interazione, dialogo e governo del confronto pubblico con le parti.
- Quarto, appunto, una ben più intensa partecipazione ai processi decisionali della società civile e delle rappresentanze del lavoro e dell’impresa: sia nella fase ascendente, quando si scelgono le strategie – ciò che è mancato del tutto, finora, nella preparazione del Piano, chiediamo tutti in questi giorni che si rimedi con urgenza – sia nella fase discendente, nel disegnare i bandi, nel monitorare e sbloccare gli ostacoli all’attuazione.
Piano Ripresa e Resilienza: un’occasione che non possiamo perdere
Non possiamo permetterci con il bilancio ordinario, non possiamo permetterci con questo Piano, di buttare soldi, di fare buche e poi riempirle. E l’occasione è d’oro. Ho fatto tanta amministrazione per quasi diciotto anni, e la prima cosa che chiedono tutti, che chiedevano tutti coloro con cui ho lavorato, qualunque livello fossero, è quale fosse mai la missione, l’obiettivo per cui impegnarsi, metterci testa, restare ore extra non remunerate, portarsi a casa preoccupazioni e lavoro, rischiare di essere indagati dalla Corte dei conti perché, al fine di raggiungere un risultato, norme e regole erano state “interpretate”. L’Europa ci chiede di rendere chiari nel Piano i “risultati attesi”, di fissare target semestrali e ci chiederà “prova” di tali esiti per pagarci. Evviva. È ciò che la grande squadra con cui lavorai nel Dipartimento Politiche di Sviluppo, a due riprese, fra 1998 e 2005, ha sempre perseguito, riuscendo, solo così, a portare l’Italia a metà classifica – bei ricordi – nell’uso dei fondi comunitari. Ma, assai più importante, conoscere – e prima ancora dibattere – i risultati attesi è ciò che chiede il paese intero. Che chiedono i milioni di persone che stanno ridisegnando un itinerario di vita e vogliono capire quali “certezze” lo Stato è in grado di offrire. Non “aiuti”. Ma certezze nei servizi fondamentali, nel trasferimento di tecnologia, in salute, scuola, mobilità e casa. Stabilire tali risultati attesi è dunque l’alfa e l’omega del Piano. Su questo occorre battersi.
Su queste basi vengono le quattro gambe della rigenerazione delle Pa che ho prima richiamato. Per quanto mi riguarda prima ancora che dallo studio – anche se le mie antiche ricerche in Bankitalia sul governo societario mi hanno certo aiutato – quelle idee vengono dai diciotto anni di esperienza. Da successi e insuccessi, da ferite e progressi.
Parole d’ordine: confronto, dialogo, formazione
Pensiamo ai bandi di gara o alle altre procedure per assegnare incarichi. Bisogna che l’amministratore pubblico, competente, esca dalla sua stanza e si confronti con le persone delle organizzazioni di cittadinanza e del lavoro. Non per sentirsi dire cosa deve mettere nel bando, ma per sentire e raccogliere saperi. Non funziona se il funzionario o dirigente si chiude in una stanza per scrivere un bando in isolamento, o una legge o un regolamento, convinto di anticipare tutte le possibilità e risolvere tutti i problemi. Quando invece devi scrivere norme aperte, indirizzi, che possano poi adattarsi alle circostanze. Che tu adatterai alle circostanze dialogando con la società. Per farlo devi essere formato a farlo, devi essere convinto che serva, devi fare riferimento ad esperienze dove ha funzionato. Formazione e buon reclutamento sono decisivi.
Certo, dialogare con la società ti fa anche arrivare “sberle”, ma meglio queste, in tempo, anziché commettere errori irreparabili. Nella mia esperienza ne arrivavano. Nei comitati di monitoraggio dei fondi, interpretati come vere agorà democratiche, non sommergendo le parti di carte incomprensibili – avviene così spesso – ma condividendo dati, diagnosi e obiettivi. Nelle arene dove raccogli reazioni su una bozza di bando. O in piazza – ricordo i miei direttori generali, a L’Aquila, quando da Ministro affrontammo l’obiettivo di sbloccare la ricostruzione – quando i cittadini ti fanno domande difficili. Ogni volta, lì per lì, sei a disagio, ti penti anche di quell’apertura. Ma dopo, subito dopo, i benefici per la macchina pubblica, per il tuo spirito, sono enormi. Capisci – ammetti – di avere appreso ciò che non sapevi.
Sbloccare la ricostruzione, prima di tutto del centro storico dell’Aquila, ma anche dei Comuni minori. Quello sì è un risultato atteso misurabile, che stava scritto, e oggi sta scritto, in numeri e grafici che ognuno può leggere. Furono quegli obiettivi chiari a spronare due straordinarie strutture pubbliche, alimentate da 300 assunzioni fresche, effettuate in sei mesi, selezionando 16mila candidati, dirette in modo egregio, a farle raggiungere gli obiettivi raggiunti.
Ragionare fuori dai silos
E oggi? Oggi, l’ho scritto, il Piano Ripresa e Resilienza ha l’occasione di farlo. Scorrendolo si trovano alcuni risultati attesi chiari: 450mila posti in asili nido, 150% di aumento di iscritti agli ITS, percentuali scandite di riduzione delle abitazioni a rischio alluvionale, riduzione (da definire) dei tempi per procedure nei servizi ai cittadini. Bene. Ma per gran parte degli interventi annunziati non ci sono ancora risultati attesi. Oppure, peggio, questi sono scambiati per le “realizzazioni”, l’esito materiale o immateriale della spesa. È così per i 20 miliardi messi su incentivi miticamente chiamati “4.0”, il cui risultato sarebbe il numero di imprese incentivate o il volume di investimenti fatti. E l’effetto sulla qualità e innovazione o organizzazione o propensione esportare delle imprese beneficiarie? E così via.
Ecco, concretamente cosa serve per avere un’alfa da cui partire. I risultati attesi dell’azione pubblica intrapresa. Il che assume una diagnosi dei problemi. Quale è la diagnosi? Quale il risultato a cui mirare? Su cui spronare i pubblici dipendenti?
E poi serve ragionare fuori dai silos settoriali. Perché il cambiamento, territorio per territorio richiede che in quei territori, in modo contemporaneo la scuola abbia, con tutta la comunità educante, un piano di contrasto alla povertà educativa, che il supporto socio-sanitario degli anziani migliori, che gli ascensori dei grandi condomini funzionino e ci sia anche una sala dove quei servizi abbiano un punto di riferimento, che gli spazi pubblici non siano inquinati o coperti di rifiuti e siano accoglienti, che la mobilità sia accessibile anche a chi male si muove. E per tutto ciò serve un peso forte, più forte, della programmazione strategica territoriale, E serve pensare le amministrazioni pubbliche come filiere: filiere che partono da Roma e dalle Regioni con indirizzi settoriali nazionali – su aree interne, su periferie, su aree sismiche, su foreste, su scuola, e così via – e cadono poi a terra nei luoghi trovando a opera dei Comuni, di loro partizioni, di loro alleanze, il punto di unificazione. E serve che i dipendenti pubblici ai due estremi di questa filiera abbiano le caratteristiche che ho detto e dialoghino. Non per mail.
Nulla di impossibile. Non servono nuove norme. Si può partire subito. Ma serve una forte volontà politica. E il coraggio che il paese chiede.