La morte della bambina di Palermo lo scorso 21 gennaio 2021, in seguito alla sua partecipazione ad una sfida di resistenza diffusa attraverso i social media è una storia piuttosto nota e che ha impressionato moltissimi, tanto da costringere ad una reazione pubblica anche il Garante della privacy.
La bambina si è lasciata soffocare da un legaccio intorno al collo: non è stata in grado di controllare la pericolosità dell’azione con l’inevitabile epilogo mortale.
Di challenge in challenge
Non è la prima volta che nei social media si diffondono delle mode che assumono la forma di sfide – dette challenge – molto pericolose e che più spesso di quanto si vorrebbe si trasformano in tragedie, coinvolgendo giovanissimi e adolescenti. Nel 2017 protagonista è stata Blue Whale, una sfida, piuttosto controversa nelle sue caratteristiche, che richiedeva l’escalation di attività masochistiche dove all’ultimo posto c’era il proprio suicidio.
Il 2018 è stata la volta della Bird Box Challenge, ispirata ad un film Netflix con Sandra Bullock, dove le persone dovevano completare delle attività comuni e quotidiane – come andare in giro per strada – restando completamente bendate con le relative conseguenze.
Nel 2019 ha circolato dentro TikTok la Skull Breaker Challenge, dove tre ragazzini saltavano in sequenza, ma uno dei tre veniva sbilanciato dagli altri due cadendo rovinosamente a terra con la testa indietro, con un esito facilmente immaginabile. Nella prima metà del 2020 – ad inizio pandemia – è andata di moda la disgustosa Corona Virus Challenge che consisteva nel leccare la tazza del gabinetto di un bagno pubblico per verificare la possibilità di contrarre la malattia.
Non tutte le challenge sono pericolose
Come è facile vedere, le challenge sono un genere virale piuttosto istituzionalizzato: le persone coinvolte sono chiamate a svolgere delle attività per mettere alla prova le loro capacità ovvero resistenza fisica e coraggio, e renderle pubbliche tramite video condivisi nei social. Ovviamente non tutte le challenge sono pericolose o inutili: classico in questo senso la Ice Bucket Challenge, organizzata dall’ALS Association nel 2014 per sensibilizzare sulla sclerosi laterale amiotrofica, che grazie al coinvolgimento di celebrità in tutto il mondo è riuscita a raccogliere fondi importanti per la ricerca scientifica. Senza dubbio però per la loro origine casuale e per la componente di sfida e coraggio, sono molto di più le challenge pericolose fatte per futili motivi e proprio per questo piuttosto celebri tra i giovanissimi.
Giovanissimi e challenge: un’attrazione che precede i social
Ma perché la bambina di Palermo ha deciso di partecipare alla Blackout challenge – ennesima variazione di un’altra sfida pericolosa il Chocking Game – fino alle sue terribili conseguenze?
Che i giovanissimi siano attirati da sfide che mettano alla prova le proprie caratteristiche per acquisire notorietà all’interno della propria cerchia di amici non è una novità. Sia i film che la cronaca quotidiana sono pieni di azioni sconsiderate fatte da giovani e adolescenti per il brivido del superamento della sfida: dalla visita a case – presunte – stregate, a manovre pericolose fatte con il motorino o con le automobili.
L’archetipo cinematografico di tale comportamento è senza dubbio la Chicken Run, resa celebre dal film con James Dean “Gioventù bruciata”, dove guidatori spericolati lanciano delle auto a tutta velocità verso una scarpata per vedere chi sia l’ultimo a svoltare prima di cadere nel vuoto.
Challenge sui social: perché sono così seducenti
Con l’arrivo dei social però ci sono degli elementi relativamente nuovi che rendono sicuramente molto più pericolose. Quindi la domanda diventa: cosa rende così di successo le challenge per i ragazzi? Quali sono gli elementi che esercitano fascino verso queste attività rischiose e nella maggior parte dei casi estremamente pericolose?
Le scienze sociali studiano da tempo il comportamento degli adolescenti: da questa tradizione di ricerca è possibile trarre delle indicazioni piuttosto utili anche per educatori e genitori.
Intrattenimento
Un elemento di partenza che cattura l’attenzione verso le challenge è la componente di intrattenimento. Le challenge si presentano come dei brevi video virali che raccolgono moltissime visualizzazioni. Prima di lasciarsi coinvolgere, i ragazzi hanno visto questi video, li hanno condivisi, li hanno cercati nei motori di ricerca di piattaforme come YouTube o TikTok, sono dei modi di passare il tempo e aprire delle discussioni con i propri amici su pericoli, coraggio, e altri elementi che rendono tali video virali.
Identità
Il secondo elemento che contribuisce a rendere sconsideratamente interessanti le challenge è il loro essere strumenti per la definizione della propria identità. Giovanissimi e adolescenti si trovano in un periodo della loro vita in cui la loro identità sta costruendosi: stanno imparando su di sé e sul proprio corpo gusti, interessi, passioni. Il modo più immediato per testare la propria identità è quella di verificarne i limiti, e le challenge hanno un fascino proprio in questo: quello di rappresentare una sfida.
Appartenenza
Il terzo è la pressione subita nel proprio gruppo dei pari. Ovvero una challenge diventa attrattiva quando è stata già fatta nella propria rete di amici oppure se per un certo periodo diventa il principale argomento di discussione della propria rete di contatti. Non è semplicemente un problema di emulazione – se lo ha fatto il mio amichetto lo voglio fare pure io – è una questione di appartenenza: se qualcuno nel gruppo lo ha già fatto, allora anche io lo devo fare per dimostrare di essere parte del gruppo. Oppure: il mio gruppo ne parla tanto perciò io devo essere il primo a farlo.
Accessibilità
Il quarto elemento è l’accessibilità della challenge: quanto più è facile mettere in pratica la sfida, tanto più sembrerà un modo accessibile per attuare gli elementi precedentemente elencati. Situazioni facili da emulare e facilmente riproducibili fanno si che testare il proprio coraggio davanti agli amici venga percepito come un modo semplice per mostrare di che pasta si è fatti.
Persistenza
Un quinto elemento è la persistenza della challenge. La dimensione della ripresa video non è circostanziale, ma è fondamentale: non solo è una testimonianza della propria bravata, ma tramite il video si entra a far parte simbolicamente di una community mondiale di persone che hanno partecipato alla challenge, magari sperando che il proprio clip diventi virale alla stregua di tanti altri già con tantissime visualizzazioni sui social.
Moda
Un sesto elemento è la trendiness della challenge, ovvero il suo essere di moda. Una forza che assumono le sfide su internet – e che le rendono sostanzialmente diverse dalle prove adolescenziali in epoca pre-social – è il loro essere il principale argomento di discussione del periodo, vuol dire avere consapevolezza di cosa è di moda in un certo momento e qual è il tema chiave dei social. Dalle poche ricerche fatte sulle challenge fra adolescenti, questa componente è molto importante: infatti si viene considerati degli sfigati se ci si cimenta in challenge che ormai sono fuori moda. Un video in cui si è protagonisti di una challenge ormai considerata come vecchia o passata è considerato un video imbarazzante, ovvero nel gergo social-teen “cringe”.
Come “disinnescare” gli elementi alla base del meccanismo di emulazione
Come si vede una challenge pericolosa per avere delle conseguenze nefaste sulle vite dei ragazzi ha bisogno della concomitanza di una serie di elementi che devono tutti cooperare per far si che si inneschi il meccanismo dell’emulazione. Questo è un vantaggio per un educatore – genitore o docente – perché si può intervenire per disinnescare uno o più elementi.
La componente della sfida
Per esempio, la componente di sfida può essere orientata su altri format che non siano le challenge, per esempio i videogiochi o lo sport. Dalle poche evidenze empiriche che esistono su questi fenomeni, sembrerebbe che appassionati di videogiochi – i gamer – e i ragazzi che praticano sport, non abbiano interesse a partecipare alle challenge pericolose fini a sé stesse, dato che già testano i propri limiti fisici e mentali in altri ambiti come le quest e le competizioni sportive.
La pressione del gruppo
La pressione del gruppo dei pari rispetto alla challenge può essere disinnescata discutendo apertamente con i ragazzi di queste challenge e contestualizzandole in un contesto di critica di riflessione attrezzata, senza atteggiamenti censori fini a sé stessi, dato che dove c’è un tabù c’è un desiderio.
Persistenza e trendiness
Le piattaforme possono intervenire sugli elementi come persistenza e trendiness, rendendo difficilmente accessibili i video di queste bravate che spesso sono facilmente identificabili dalla presenza di uno specifico hashtag.
Conclusioni
Insomma, esistono diversi modi per evitare che la viralità di una challenge diventi fonte di tragedie che vedano coinvolti ragazzi e adolescenti.
Quello che è importante capire è che le challenge sono un fenomeno complesso che non può essere affrontato con atteggiamenti tranchant del tipo chiudere i social per i giovanissimi. Inoltre, la complessità delle challenge è la loro fragilità: essendo composte di molti elementi diversi è possibile intervenire per bloccare o limitare uno di essi, a patto di conoscerli.
La verità è che lo spazio educativo del XXI secolo è diventato più grande: dal rassicurante cortile sotto casa si è passati ai social media, che sono globali e locali allo stesso tempo. Essere educatori in questo contesto vuol dire confrontarsi con problemi nuovi su cui non siamo attrezzati e per cui non abbiamo risposte certe.
Possiamo però contare su un alleato importante: la voglia di vivere dei nostri ragazzi.