consapevolezza digitale

Bambini e social, la svolta parta da scuola e genitori

Tragedie come la morte di una bambina ci spingono a pensare che contro i rischi del digitale servano misure drastiche (il divieto di usare lo smartphone), o a proporre rimedi vaghi (sviluppo del senso critico nei giovani). In realtà il lavoro più importante si fa a scuola, su genitori e docenti prima che sui ragazzi

Pubblicato il 26 Gen 2021

Alessandro Curioni

Fondatore di DI.GI Academy, specializzato in Information Security & Cybersecurity - Data Protection

tiktok

Una tragedia dopo l’altra, TikTok è finito anche in Italia nel mirino delle polemiche e delle autorità, come tutti sappiamo, in seguito alla morte di una bambina di dieci anni. Come sempre i commenti non sono mancati. Alcuni decisamente sopra le righe o inattuabili come quello di proibire lo smartphone al di sotto dei dieci anni, altri che richiamano a interventi legislativi, che sarebbero utili, ma solo su scala globale, altri ancora di buon senso, ma un po’ vaghi come l’invito a stimolare lo sviluppo di un senso critico nei giovani o impegnarsi in un lavoro educativo e culturale.

Cultura digitale e autolesionismo tecnologico

Ecco, quando si parla di cultura digitale il primo pensiero si rivolge a qualcosa di sostanzialmente fumoso, eppure il tema continua a ricorrere in dibattiti, articoli, discorsi di esperti, politici, giornalisti. In ambito data protection e cybersecurity è diventato un vero e proprio mantra l’affermazione secondo cui il fattore umano è l’anello debole della catena e non si può prescindere dalla sensibilizzazione degli utenti. Tuttavia, per uscire dalla “fumosità” è necessario dare risposta alla vera domanda che riguarda il come si crea una cultura in materia. Prima di passare alla “pratica” qualche premessa è necessaria.

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In generale sembra che la maggior parte delle persone sia mediamente afflitta da quello che potremmo definire una sorta di bias cognitivo che si esplicita in due conseguenze. La prima attiene la nostra incapacità di percepire il pericolo rappresentato da minacce situate al di là di un monitor. In gran parte ciò deriva dal nostro essere “biologicamente inadatti” all’ambiente digitale, un luogo in cui la nostra esperienza sensibile (mediata da vista, olfatto, tatto, udito è gusto) è mutilata in quattro casi su cinque e, nel restante (la vista) manca della profondità necessaria (in quanti sanno che dietro una pagina web si celano migliaia di righe di codice?).

La seconda conseguenza è legata a una grave difficoltà di astrazione. Molto semplicemente non riusciamo a riutilizzare il nostro vissuto nel mondo reale per assumere il corretto comportamento in quello digitale. Chiarisco con un caso emblematico che attiene al rapporto genitori e figli. Sentire un padre che mi chiede come comportarsi quando il figlio è vittima di cyber bullismo, oppure una madre in ansia alla ricerca di consigli perché teme che la figlia possa essere adescata sui social mi fa sorgere una domanda. Possibile che nella loro gioventù queste persone non abbiano mai avuto a che fare con un bullo oppure non siano state avvicinate ai giardinetti da uno “strano personaggio”? Questo vale anche per i divertimenti “pericolosi o diseducativi”, come se i cinquantenni di oggi non abbiamo mai sperperato soldi ai videogame arcade oppure non siano rimasti delle nottate incollati a un PC giocando a “Doom”.

Il “combinato disposto” di queste due condizioni sta determinando l’impossibilità di affrontare in modo “naturale” i rischi della società dell’informazione e favorisce la pratica di forme di autolesionismo tecnologico impensabili. Diventa quindi essenziale riprendere il sacco in cima e questo significa prima educare e poi istruire con una strategia, termine molto usato, ma soprattutto abusato di questi tempi, perché nessuno sembra comprendere che pensare strategicamente significa “fare” e non semplicemente “dire”. Ecco alcune cose che si possono fare.

Il ruolo degli educatori e della scuola

Gli educatori con cui più o meno tutti si confrontano sono due: genitori e insegnanti il cui punto di incontro è la scuola, quindi si tratta del luogo ideale per un’operazione di sensibilizzazione su vasta a partire proprio dagli educatori. Per quanti non lo sapessero esiste un Programma Operativo Nazionale (PON) del Miur finanziato da fondi strutturali europei a cui le scuole posso fare ricorso per finanziare le proprie iniziative. Nel caso si tratterebbe di predisporre un piano di awareness destinato in prima battuta a insegnanti e genitori. Ci sono alcune buone ragioni per dare a loro priorità. In primo luogo, sappiamo per certo che ne hanno bisogno; in secondo quando sarà il turno dei giovani, questi si troveranno a vivere in un ambiente culturalmente preparato, ricevendo informazioni magari leggermente diverse, ma fondate su principi condivisi.

Il ruolo dell’animatore digitale nelle scuole

Inutile dire che questa attività formativa deve essere ciclicamente riproposta per mantenere l’aggiornamento delle competenze. Inoltre si dovrebbe rimettere mano al ruolo dell’animatore digitale (sulla base del Piano Nazionale Scuola digitale, adottato dal 27 ottobre 2015, ogni scuola dovrebbe averne uno) che dovrebbe essere qualificato come “insegnante digitale”, quindi non essere un docente “che insegna anche altro”, ma dedicarsi soltanto alle tematiche connaturate al suo incarico. A seconda della numerosità degli studenti del plesso scolastico potrebbero essere presenti più insegnanti digitali. La loro crescita professionale dovrebbe essere sostenuta attraverso il “bonus insegnanti”, magari incrementato per lo specifico ruolo. Creato questo ambiente si dovrebbe mettere mano al tema dell’educazione digitale, prevista nei piani di studio, ma di fatto relegata ai margini. Nel caso è richiesto un intervento diretto da parte ministeriale attraverso cui si introduca l’obbligatorietà di almeno un’ora di educazione digitale settimanale a partire dal primo anno scuola, comprensiva di cybersecurity e data protection.

In questo modo si permetterebbe agli studenti di crescere con un’educazione digitale che sarebbe tarata anno dopo anno sulla base dell’evoluzione psicologica del minore e tenendo conto dei cambiamenti nelle tecnologie e nei modi in cui vengono utilizzate. L’insegnante digitale potrebbe altresì disporre del budget messo a disposizione, sempre dal piano Piano Nazionale Scuola digitale del 2015, per realizzare iniziative specifiche in materia. In definitiva non si può nemmeno dire che non esistono i mezzi almeno per mettere in moto la macchina, piuttosto quello che manca, come si dice oggi, la governance e, volendo pensar male, anche la volontà.

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