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PNRR, Fuggetta: “Come riscrivere il piano, per il rilancio del Paese”

Innovazione digitale, ricerca e capitale umano sono riconosciuti quali pilastri di qualunque piano di rilancio e di ripartenza delle economie dei paesi europei. Per portare obiettivi rilevanti nel medio-lungo periodo il PNRR dovrebbe dunque essere riscritto con un nuovo metodo e una nuova strategia. Ecco su quali basi

Pubblicato il 05 Feb 2021

Alfonso Fuggetta

professore di Elettronica, Informazione e Bioingegneria, Politecnico di Milano

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Opinion leader, esperti, forze politiche, osservatori e la stessa Unione europea hanno più volte ripetuto che l’investimento in innovazione digitale, ricerca e capitale umano deve essere uno dei pilastri di qualunque piano di rilancio e di ripartenza delle economie dei paesi europei.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è quindi vitale per il rilancio e lo sviluppo del nostro Paese, ma deve essere sostanzialmente riscritto per renderlo realmente in grado di portare un impatto concreto e utile sul breve e sul medio-lungo periodo. Quali obiettivi, politiche e azioni deve quindi prevedere?

I tre elementi per una strategia efficace

In generale, una strategia efficace è costituita da tre elementi:

  • la diagnosi della situazione e la definizione di obiettivi (“Diagnosi”);
  • l’identificazione degli indirizzi, delle politiche e delle policy necessarie per indirizzare i problemi e le sfide rilevate (“Politiche di intervento”);
  • l’articolazione di un programma di interventi che precisi attività, risorse economiche, organizzative e di competenze necessarie, scadenze, criteri di valutazione, risultati da raggiungere (“Piano di azione”).

Vorrei provare ad abbozzare, nei limiti dello spazio disponibile in questa sede, uno schema di massima di una strategia su tre temi che penso centrali per il PNRR: innovazione della Amministrazioni Pubbliche, innovazione delle imprese, ricerca. Ne ho scritto in un recente lavoro (“Il Paese Innovatore”) e provo qui a riassumerne alcuni tratti essenziali.

Innovazione delle Amministrazioni Pubbliche

Diagnosi: le amministrazioni del Paese sono spesso frenate e incapaci di offrire quei servizi e quel sostegno di cui la società civile e l’economia hanno bisogno. I procedimenti sono spesso compartimentalizzati e riflettono una organizzazione a silos. Dobbiamo far sparire la burocrazia fine a sé stessa (i certificati, per esempio) e introdurre servizi realmente utili ai cittadini nei campi chiave della sanità, del lavoro, dell’istruzione, degli investimenti, della gestione della spesa pubblica. Le parole chiave devono essere disappearing burocracy e citizen-valued services.

Politiche di intervento

Negli anni scorsi, l’enfasi dell’azione di governo è stata centrata (sia a livello centrale che locale) sullo sviluppo e sulla fornitura di servizi di front-end (portali, app, sistemi di pagamento, identità digitale).

Dobbiamo invece affrontare con decisione il tema del ripensamento dei processi e delle organizzazioni rendendo possibile la comunicazione diretta tra amministrazioni e, dal punto di vista informatico, la piena interoperabilità dei back-end, il consolidamento delle basi di dati del paese, la razionalizzazione del parco applicativi, premessa quest’ultima indispensabile anche per il passaggio al cloud e l’ottimizzazione dei centri di calcolo e dei sistemi di elaborazione delle amministrazioni. Il pubblico dovrà sempre più concentrarsi sulla gestione degli asset strategici del Paese (base di dati e sistemi di back-end), lasciando spazio ai privati per quanto riguarda l’erogazione dei servizi di front-end.

Piano di azione

È vitale definire un modello di interoperabilità tra amministrazioni, sia a livello orizzontale (per esempio tra ministeri e enti centrali) che verticale (tra Stato, regioni e enti locali). Ciò deve articolarsi su una governance politica forte e su un modello tecnico-operativo organico che colmi le lacune e i ritardi che ci hanno piagato negli ultimi anni. Questo modello deve permettere la relazione diretta tra soggetti pubblici e l’apertura e l’interazione con i soggetti privati che possono sviluppare servizi di front-end per cittadini e imprese.

È essenziale procedere ad una razionalizzazione e consolidamento del parco applicativi e delle basi di dati del Paese, azione propedeutica al consolidamento in cloud degli applicativi e alla riduzione della spesa pubblica improduttiva.

È vitale definire policy di procurement per servizi critici come il cloud e lo sviluppo e gestione dei sistemi informatici che, nel rispetto del mercato e dei principi di trasparenza e legalità, eviti da un lato di replicare nel pubblico quanto già il mercato è in grado di offrire e, dall’altro, garantisca che le strutture pubbliche possano dotarsi in tempi rapidi e certi degli strumenti necessari per svolgere i propri compiti istituzionali.

Ciò richiede da un lato un modello di governance che superi il frazionamento e i limiti sperimentati in questi anni e, dall’altro, un approccio iterativo (oggi si usa dire agile) che avvii questi processi di innovazione a partire da alcuni casi strategici come, per esempio, l’integrazione delle informazioni e dei servizi sanitari e la cancellazione sistematica dei processi di richiesta e produzione di certificati.

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Innovazione delle imprese

La diagnosi: le imprese italiane hanno saputo in molti casi inserirsi nella competizione internazionale e crescere nonostante le crisi che si sono succedute e i tanti limiti del sistema Paese. Questo sviluppo ha due forti limiti: è disomogeneo e non coinvolge in modo organico e diffuso tutte le realtà del Paese, specialmente dal punto di vista territoriale; deve essere ulteriormente promosso, rilanciato e anzi rinnovato nel tempo per tenere conto delle crescenti sfide che le imprese e il Paese nel suo complesso si trovano ad affrontare.

La dimensione mediamente piccola delle imprese non aiuta. Al tempo stesso, abbiamo assistito alla moltiplicazione disorganica di tante iniziative di sostegno ai processi di innovazione (parchi scientifici, cluster, digital innovation hub, competence center, centri di innovazione, strutture di raccordo) che spesso non hanno una reale capacità di intervento sui processi di innovazione delle imprese né un modello di intervento e economico di funzionamento sostenibile nel tempo. Infine, le politiche pubbliche di incentivazione sono spesso lente, discontinue e incapaci di cogliere le reali esigenze delle imprese.

Politiche di intervento

È vitale spingere sulla selezione, qualificazione e potenziamento delle strutture che sono realmente in grado di offrire un contributo ai loro processi di innovazione, grazie e in parallelo ad una semplificazione e razionalizzazione della pletora di strumenti pubblici di finanziamento e supporto ai processi di innovazione e di crescita delle imprese.

Piano di azione

Sul fronte dello sviluppo di impresa, devono essere incentivati la nascita, la patrimonializzazione e l’investimento nella crescita dimensionale delle imprese. È importante che strumenti come quelli previsti da EneaTech e CDP vadano a potenziare e non a sostituire l’azione degli attori del mercato (venture capital e private equity), condividendone il rischio nei casi maggiormente sfidanti e per questo motivo promettenti. Inoltre, è vitale spingere le imprese ad investire ed innovare attraverso strumenti di supporto che incidano in modo immediato e concreto sul loro conto economico (e non solo sul flusso di cassa come i prestiti agevolati). Da questo punto di vista, meccanismi come “l’euro match” (un euro di contributo pubblico a fronte di un euro di investimento privato) e i crediti di imposta (di ampia e non marginale applicazione) rispondono pienamente a questi bisogni. Essi devono essere premianti e rafforzati nel momento in cui l’impresa che usufruisce di questi strumenti affida contratti a università, centri di ricerca e innovazione pubblici e privati, startup innovative, portando da un lato ad un rafforzamento di quegli attori del mondo dell’offerta che sono realmente in grado di offrire un contributo concreto e fattivo e, dall’altro, spingendo le imprese ad aprirsi a competenze e contributi esterni (la vera open innovation). Questi strumenti devono essere resi strutturali e permanenti, così da offrire un contesto consolidato e certo che permetta alle imprese di investire in modo ragionato sul medio-lungo periodo.

Il pubblico deve altresì operare per qualificare l’offerta di servizi di innovazione, non tramite finanziamenti alla creazione di nuove strutture, ma attraverso processi di certificazione e valutazione delle realtà più competitive, come già in parte accade con i centri MISE per il trasferimento tecnologico Industria 4.0 e la selezione delle reti degli European Digital Innovation Hub (vedi la rete InnovAction che abbiamo creato con Fondazione Links, Fondazione Bruno Kessler, Cefriel e Campania New Steel).

Ricerca

La diagnosi: la ricerca è il processo attraverso il quale si crea nuova conoscenza. La vera ricerca è di base. Come hanno sottolineato diversi grandi ricercatori del passato, “non esiste la ricerca/scienza applicata, ma solo l’applicazione della ricerca/scienza” (cioè l’innovazione). È per questo motivo che non è facile trovare risorse economiche che siano in grado di sostenerla in assenza di ritorni economici immediati o comunque pianificabili.

La ricerca italiana ha raggiunto risultati tutt’altro che disprezzabili, ma è piagata da alcuni problemi di fondo:

  • la dimensione media delle imprese è bassa e questo inevitabilmente riduce la loro capacità di investimento in ricerca.
  • L’investimento pubblico in ricerca è spesso discontinuo ed estemporaneo.
  • È mancata una politica universitaria stabile nel tempo che fosse in grado di garantire piena competizione tra gli atenei e una reale autonomia amministrativa.

Politiche d’intervento

È vitale innanzi tutto che il pubblico preveda un modello di finanziamento della ricerca chiaro e strutturale. Inoltre, è essenziale premiare gli investimenti delle imprese in veri progetti di ricerca e non solo in attività di innovazione volti ad avere un impatto diretto sul mercato. Infine, è urgente dare un assetto moderno e stabile al mondo della ricerca e dell’università che valorizzi autonomia e competitività.

Piano di azione

Devono essere definiti programmi di finanziamento alla ricerca che operino tramite bandi aperti e competitivi (dal punto di vista dei processi di attribuzione dei fondi) a tre livelli:

  • risorse per singoli ricercatori (sul modello dei grant ERC);
  • risorse per le strutture di ricerca (vedi bandi PRIN e PNR);
  • risorse per programmi di ricerca congiunta tra università, centri di ricerca e industria.

In quest’ultimo caso è utile prevedere bandi per progetti pre-competitivi di medio periodo (3-5 anni) per i quali ha effettivamente senso prevedere la collaborazione di una molteplicità di attori pubblici e privati (a differenza di quanto invece caratterizza i processi di innovazione/applicazione). È inoltre vitale potenziare le infrastrutture e le piattaforme sperimentali che permettano di espandere e rafforzare la capacità di ricerca delle strutture di qualità esistenti: per esempio, laboratori sperimentali e di prova delle università o sistemi di supercalcolo a supporto dei programmi di ricerca.

È infine vitale garantire autonomia agli atenei con meccanismi di piena competizione e valutazione da parte del mercato (e non di organismi autoreferenziali). L’aumento degli investimenti pubblici sul settore universitario deve essere preceduto ed accompagnato da un profondo e permanente processo di capacity planning della capacità formativa e di ricerca degli atenei per indirizzare investimenti laddove maggiori sono i bisogni e le carenze delle strutture esistenti.

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Conclusioni

Non è certo possibile in poche righe scrivere un piano completo e dettagliato all’altezza dei bisogni e delle sfide che stiamo vivendo.

Ma quanto ho qui abbozzato vuole innanzi tutto indicare alcuni cambi di impostazione e di metodo indispensabili e vitali per mettere in campo azioni che siano realmente in grado di avere un impatto di medio-lungo periodo sui processi di crescita e rilancio del Paese.

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