Forte spinta alla digitalizzazione, all’equità sociale e web tax sono tre degli elementi centrali nel semestre di presidenza, portoghese, del Consiglio Ue.
Ma questi tre pilastri possono andare di pari passo nell’Unione Europea?
Rispetto al semestre tedesco, la nuova presidenza delinea un nuovo corso, maggiormente incentrato sui diritti dei cittadini anche nei rapporti con la tecnologia, che però pone non pochi problemi, in primis nei rapporti con gli Usa.
Presidenza portoghese nel Consiglio Ue, i capisaldi
Il motto con cui si apre il semestre di presidenza del Consiglio dell’Unione Europea del Portogallo è questo: “È tempo di una ripresa equa, verde e digitale”.
Tre le priorità contenute nell’ampio documento programmatico:
- la promozione del rilancio economico spinto da transizione green e digitale,
- l’implementazione dello European Green Deal per ridurre le emissioni e l’impatto ambientale e
- portare a compimento il pilastro sociale dell’Unione Europea come elemento chiave per garantire una transizione verde e digitale e inclusiva.
Nel frattempo, a Davos si è discusso della digital tax che diversi stati europei hanno introdotto in modo autonomo rispetto all’Unione Europea. Angela Merkel e Ursula Von der Leyen provano a spalleggiarsi su questo tema, mentre il dialogo con gli Stati Uniti si fa sempre più complicato.
Leadership europea in innovazione digitale: i tre interventi
Osservando con maggiore dettaglio le proposte sul digitale della presidenza portoghese emerge una forte spinta del concetto di “European leadership in digital innovation”. Per poter raggiungere questo obiettivo sono previsti tre interventi fondamentali che ricorrono nel documento del semestre europeo presentato dal Portogallo.
Sviluppo universale delle competenze digitali
In primo luogo, verrà promosso uno sviluppo universale delle competenze digitali in modo che i lavoratori possano adattarsi ai nuovi processi del lavoro, includendo nella strategia anche le aree dell’e-commerce, pagamenti e della tassazione.
Creazione dell’identità digitale europea
Il secondo pilatro è rappresentato dalla “creazione dell’identità digitale europea (European digital identity)” che sarà al centro di due forum internazionali che si terranno a Lisbona e a Porto (Digital Day previsto per il mese di marzo). Fondamentale in questo caso il concetto espresso nel documento portoghese che riguarda direttamente le pubbliche amministrazioni e il loro rapporto con i cittadini. L’obiettivo è quello di promuovere migliori accesso e condivisione di dati e informazioni di qualità per semplificare la vita dei cittadini, attraverso una pubblica amministrazione più agile e più vicina alle esigenze della popolazione e delle imprese e l’ammodernamento della governance locale con lo sviluppo ulteriore delle smart city.
Piattaforma europea d’interscambio dei dati
Il terzo impegno per l’Unione Europea esposto dal Portogallo è relativo all’interscambio di dati con i partner internazionali. Il sistema prefigurato prevede la creazione strategica di una piattaforma europea di interscambio dei dati basata su cavi sottomarini (EllaLink cable). I collegamenti principali sono destinati all’Africa e al Sud America.
Il nuovo corso portoghese: più diritti, meno industria
Dall’analisi del documento e dai tre pilastri emerge un’impostazione piuttosto diversa rispetto al precedente semestre europeo sotto la guida tedesca. In particolare, il documento è molto più concentrato verso i diritti del singolo individuo cittadino e molto meno sul tema dello sviluppo industriale e della ricerca finalizzata al rafforzamento del mercato interno. Anche il passaggio che riguarda più da vicino la strategia dedicata all’Intelligenza Artificiale si focalizza sulla necessità di rendere questa tecnologia a misura del cittadino europeo e rivolta al rafforzamento di una società democratica, aperta e sostenibile.
Allo stesso tempo, la parte dedicata ai rapporti “digitali” verso l’esterno è rivolta ai paesi dell’Africa e del Sud America. Non vengono quindi citati né gli Stati Uniti né la Gran Bretagna con la quale i rapporti, nonostante la Brexit, devono per forza di cose rimanere piuttosto stretti. Lo sguardo volge piuttosto alle ex-colonie portoghesi e, soprattutto, a due attori da anni al centro di politiche di cooperazione piuttosto marginali nel progetto dell’Unione Europea.
Web tax e rapporti con gli Usa
Questo peraltro potrebbe portare alla conseguenza di un irrigidimento delle relazioni con l’alleato atlantico laddove nel documento programmatico viene anche citata la seguente formula: “The Presidency will address the challenges of European taxation, including the model for taxation of the digital economy, under the principles of fairness and tax efficiency. […] The Presidency will seek to create the conditions for reaching a political agreement on the revision of the rules on disclosure of information concerning tax on revenues for certain companies and branches.”.
Si preannuncia quindi una rinnovata spinta per la digital tax? Questa sembra la direzione intrapresa anche da Von der Leyden e Merkel al forum annuale di Davos. Durante l’ultima riunione di Davos la web tax è stato uno dei temi che rimarcano le distanze diplomatiche tra Usa e Europa. Entrambe le leader hanno sottolineano l’intenzione e l’importanza di portare avanti un nuovo schema fiscale che vada a riequilibrare lo status quo, troppo favorevole alle bug tech americane. La cancelliera ha infatti evidenziato che serve andare avanti nella discussione con l’Ocse su “una tassa sul digitale” e il capo dell’esecutivo europeo ha richiamato alla necessità di “contenere l’immenso potere delle Big Tech”.
Digital tax, accordo OCSE in stallo: adesso puntare sulla soluzione Ue
Le iniziative autonome degli Stati Ue
Nel frattempo, diverse nazioni europee, in assenza di un coordinamento centralizzato, hanno portato avanti iniziative autonome. Tra queste l’Italia dove è entrata in vigore da gennaio 2020 una digital tax che si applica sui ricavi derivanti da alcuni servizi digitali. L’aliquota è pari al 3%, e si applica a tutte le imprese che, singolarmente o a livello di gruppo, nel corso di un anno solare realizzano congiuntamente ricavi pari ad almeno 750 milioni di euro e ricavi derivanti da servizi digitali realizzati in Italia almeno pari a 5,5 milioni di euro.
È molto probabile che la spinta verso questa direzione andrà intensificandosi nei prossimi mesi. Non solo, questa volta, perché diverse organizzazioni internazionali come l’OCSE ne invocano l’introduzione, ma anche perché sembra una delle soluzioni più auspicate dalla governance europea. La strategia portoghese da questo punto di vista sembra orientata a finanziare i diversi programmi attraverso una maggiore e puntuale tassazione degli operatori internazionali, fino ad oggi sottoposti a regimi favorevoli. Potrebbe, quindi, essere questo il punto di arrivo per una web tax condivisa da tutti i paesi europei?