Da emblema della libertà di parola ed efficace sistema di protezione a presidio dei movimenti politici di resistenza contro la censura dei regimi autoritari, Telegram è diventato, per le sue stesse medesime peculiarità, un terreno fertile per le organizzazioni estremiste che oggi hanno sempre più difficoltà a interagire sugli altri noti social network.
Ma è davvero tutta dei social la colpa della attuale pervasiva diffusione non solo di bufale, ma anche di contenuti manipolativi tendenti a favorire l’incitamento all’odio? E, se sì, come e perché è avvenuta questa mutazione? E quali strumenti adottare per evitare ulteriori derive?
In realtà, come emerge da un recente articolo di approfondimento pubblicato sul “New York Times” i social network non rappresentano il “male” da estirpare, senza il quale migliorerebbe la qualità informativa dell’ambiente digitale ma è altresì un dato di fatto che Telegram, notoriamente considerato uno “strumento per la democrazia”, fungendo da servizio di supporto per i movimenti di resistenza operanti, ad esempio, in Iran e Bielorussia, risulti invece sempre più spesso utilizzato per veicolare anche contenuti propagandistici estremisti.
L’evoluzione di Telegram, da strumento anticensura a rifugio degli eversivi
Sembrano lontani i tempi in cui l’app di messaggistica, finanziata quasi interamente dal fondatore Pavel Durov senza pubblicità e investitori esterni, rappresentava l’emblema della libertà di parola che persino la Russia (di cui Durov è cittadino, pur vivendo in esilio autoimposto), non era riuscito a limitare.
Grazie alla disponibilità di server distribuiti in tutto il mondo difficilmente controllabili dai governi, nella sua valenza tradizionale Telegram ha, infatti, incarnato una vera e propria minaccia per i leader autoritari che, come in Russia o Iran, hanno cercato di vietarlo per la condivisione di informazioni non censurabili protette da sistemi di comunicazione crittografata.
In Bielorussia, ad esempio, nel momento in cui il dittatore Lukashenko ha ordinato la chiusura di tutte le infrastrutture di comunicazione del paese, prendendo di mira anche i social media (come WhatsApp, Twitter e Facebook), Telegram ha rappresentato l’unica fonte di informazione anticensura, consentendo una costante circolazione di messaggi per organizzare i gruppi di protesta. Così come in Iran, ove l’utilizzo di Telegram è stato decisivo per diffondere proteste antigovernative nel 2017 e 2019, nonostante il tentativo del governo di censurarlo.
Negli ultimi tempi, invece, si sta registrando una progressiva emigrazione di gruppi eversivi proprio verso Telegram che, come sicuro rifugio, tende a diventare un preoccupante luogo di cospirazione online ove proliferano contenuti razzisti e insurrezionalisti violenti, a causa delle più stringenti politiche di rimozione dei contenuti adottate dai principali social network per combattere il fenomeno delle fake news, al punto da indurre l’FBI ad allertare le forze di polizia di tutto il mondo per il rischio di possibili attacchi armati da parte di gruppi estremisti e razzisti.
Telegram, disinformazione, estremismo
Già in piena pandemia, è stata scoperta, ad esempio, in Germania una campagna di disinformazione su larga scala organizzata da una rete di circa 650 gruppi Telegram attivi in tutto il paese con l’intento di diffondere informazioni errate sul COVID-19.
Così come in Ucraina è stata rilevata l’esistenza di numerosi canali Telegram ove circolava disinformazione politica nel paese al fine di destabilizzarne le dinamiche istituzionali.
Tale trend involutivo è in costante crescita, nonostante le rassicurazioni comunicate dal fondatore Durov per reprimere l’estremismo: sono circa 25 milioni i nuovi utenti registrati nell’ultimo mese su Telegram come probabile conseguenza dell’epurazione di massa decisa da Facebook e Twitter a seguito dell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio scorso. C’è stato persino un vero e proprio “endorsement” fatto dal figlio di Trump che ha annunciato la sua iscrizione a Telegram, esortando i suoi sostenitori a seguirlo con la motivazione di utilizzare uno strumento che “rappresenta la libertà di parola” rispetto alla censura perseguita dalle Big Tech culminata nella rimozione della presenza social del padre.
Telegram, quindi, proprio perché offre un servizio di comunicazione istantanea e privata, è ben diventato un rifugio sicuro per chi intende veicolare informazioni di propaganda con l’intento di pianificare rivolte e arruolare nuovi adepti in condizioni di maggiore facilità senza essere rintracciati.
Le caratteristiche che rendono Telegram uno strumento “anti-censura”
Addirittura, si prospetta persino una peggiore degenerazione della disinformazione alimentata dalle caratteristiche del sistema di messaggistica crittografica di Telegram.
Lo scambio di comunicazioni segrete, infatti, se da un lato assicura la tutela della privacy, dall’altro lato, però, potrebbe essere utilizzato per provocare rivolte violente con maggiori difficoltà di identificare i relativi responsabili, grazie alle potenzialità divulgative offerte dallo strumento in grado così di aggravare l’instabilità politica come fattore scatenante di proteste violente ben oltre l’esistenza di un semplice dissenso manifestato nell’ambito di civili critiche, ostacolando le indagini su eventuali reati pianificati nell’ambito di conversazioni nascoste.
Tutto ciò dimostra l’agevole mobilità del flusso comunicativo “nocivo” condiviso online che, anche in assenza delle note piattaforme sociali, riuscirebbe con estrema facilità a propagarsi in qualsiasi ambito dello spazio virtuale della Rete senza nessuna possibilità di controllo integrale sulle relative informazioni diffuse.
Conclusioni
In tale scenario, di fronte ai rischi di “cybersorveglianza” e alle interferenze elettorali online che alterano la regolare formazione dell’opinione pubblica, piuttosto che incentivare una costante campagna di “caccia alle streghe”, colpevolizzando le piattaforme sociali come “capri espiatori” per tutte le criticità riscontrabili in ambiente digitale, sarebbe invece opportuno utilizzare lo strumento del diritto e della politica, secondo un approccio di regolamentazione adeguato ai tempi attuali dell’innovazione tecnologica, in grado di superare l’attuale dogmatismo formalistico del pensiero giuridico, per introdurre norme efficaci in grado di contenere la concentrazione monopolistica del dominio tecnologico in capo a poche aziende, rafforzando al contempo la cultura digitale di base degli individui mediante programmi formativi di alfabetizzazione informatica all’avanguardia funzionali all’acquisizione di competenze moderne indispensabili per stimolare un livello adeguato di consapevolezza diffusa sulle insidie configurabili in ambiente digitale.
Il digitale può avere un ruolo decisivo per lo sviluppo generale del progresso sociale ed economico, a condizione che, di fronte a un imminente scenario di cambiamento epocale che proietta l’umanità in una direzione di non ritorno al passato, se si vuole evitare di cedere definitivamente l’egemonia “tecno-politica” ai “Colossi del web” come preminenti attori globali al vertice di un nuovo ordine mondiale, si superi l’attuale inconsistenza delle politiche pubbliche, immobilizzate da rigide prassi burocratiche ormai obsolete, rivitalizzando il funzionamento dei sistemi politico-istituzionali mediante l’elaborazione di visione futura in grado di realizzare concreti processi di trasformazione digitale.