Le risorse per l’innovazione con il PNRR non mancano, tuttavia per spingere l’Italia 4.0 ci sono alcune priorità da affrontare. Tra queste la definizione dei soggetti che andranno a sostenere le imprese nei processi di sviluppo industriale e avanzamento tecnologico, ma è indispensabile anche puntare sulla formazione e su infrastrutture digitali adeguate.
Aspettando le mosse di Mario Draghi, che, com’è ovvio che sia, interverrà sull’attuale testo del documento, è bene approfondire le misure previste nell’ambito dell’innovazione e quali sono gli aspetti più problematici della situazione.
Transizione 4.0, i fondi a disposizione
Per la digitalizzazione, l’innovazione e la competitività del sistema produttivo vengono previsti nel periodo 2021-2026, comprendendo anche le risorse europee e la programmazione di bilancio, 37,6 miliardi di euro, che ne fanno la seconda componente per rilevanza nel Recovery Plan, dopo quella che comprende i provvedimenti per infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore (41,9 miliardi) e di poco superiore rispetto agli interventi per l’efficienza energetica e la riqualificazione degli edifici (37,4).
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Lo strumento a cui si intende ricorrere principalmente è ben conosciuto: si tratta del credito d’imposta, a beneficio di spese in beni strumentali (materiali e immateriali 4.0), investimenti in R&S e processi di innovazione orientati alla sostenibilità ambientale e all’evoluzione digitale.
Gli obiettivi strategici
Si persegue, quindi, un approccio largamente ispirato alla neutralità tecnologica e tarato su un orizzonte pluriennale, così da aiutare la pianificazione aziendale e sostenere la domanda di investimenti in beni strumentali nell’ottica della trasformazione digitale, dell’efficienza energetica, dell’adozione di soluzioni innovative e del sostegno alla produttività. Alle misure basate su un metodo orizzontale e automatico, si affiancano, seppure con una dotazione molto più ridotta, politiche industriali di settore, allo scopo di promuovere il posizionamento italiano nelle catene del valore internazionali più avanzate e di supportare le filiere del Made in Italy. Queste ultime risultano particolarmente significative per il tessuto italiano di piccole e medie imprese, che rappresentano quasi il 70% del valore aggiunto dell’industria della tradizione italiana e l’80% della forza lavoro.
Le piccole e medie imprese, quelle del manifatturiero in particolare, sono anche le aziende che più scontano il divario di intensità digitale che, per il sistema produttivo italiano, viene stimato in investimenti inferiori rispetto alla media europea nell’ordine del 2% del prodotto interno lordo. Un’attenzione specifica viene rivolta alla filiera della microelettronica, un settore che rientra altresì tra le iniziative bandiera della Commissione europea, e che è ad oggetto anche di uno degli accordi per l’innovazione recentemente autorizzati, quello riguardante il progetto Saturn (Smart mAnufacTURiNg), presentato da STMicroelectronics e da altre aziende e che verrà realizzato negli stabilimenti siciliani.
La definizione dei ruoli
In un contesto in cui i digital innovation hub e i competence center, contemplati dal piano Impresa 4.0, hanno conosciuto un avvio lento e stentano a decollare, la previsione di dare vita a ecosistemi dell’innovazione, ispirati al modello tedesco tante volte citato dei “Fraunhofer”, e a venti campioni territoriali di ricerca e sviluppo legati alle specializzazioni locali di produzione e ricerca espone al pericolo di creare un’architettura poco efficiente ed efficace e contraddittoria, nella quale molteplici attori svolgono funzioni in buona parte sovrapponibili e difficilmente discernibili con esattezza anche da parte degli addetti ai lavori. Ai soggetti già citati, dovremmo aggiungere anche le “case delle tecnologie emergenti” (5 nuovi progetti sono stati finanziati dal MiSE nel mese di dicembre), oltre alle istituzioni tradizionali della formazione, ricerca e innovazione.
Al contrario, le attività di orientamento e formazione per le imprese, di trasferimento tecnologico e di sostegno nell’implementazione di processi di innovazione, ricerca industriale sperimentale e trasformazione digitale richiedono la composizione di un sistema coerente e razionale, robusto e riconoscibile, evitando la duplicazione o l’estemporaneità delle iniziative, se l’obiettivo è dare forma a un’infrastruttura che colleghi ricerca e impresa, formazione e produzione, innovazione e territori, come appunto per la Fraunhofer-Gesellschaft in Germania, i Catapult nel Regno Unito, i Poles de Croissance in Francia. Anche in questo campo, non mancano in Italia esperienze significative da cui prendere esempio. Allo stesso tempo, vanno rafforzati i canali del coinvolgimento degli investitori privati (non si dimentichi che i Fraunhofer, per citarli nuovamente, si basano per il 70% su finanziamenti privati), a partire dalle grandi imprese, dall’industria del venture capital e dall’ecosistema allargato dell’innovazione.
L’importanza di competenze e infrastrutture
Sono almeno altri due, in conclusione, i fattori da ritenere prioritari per l’agenda di una politica efficace di promozione dell’industria 4.0. Innanzitutto, è necessario formare competenze adeguate, sia dal lato dei lavoratori che da quello delle funzioni manageriali. L’offerta di programmi di formazione avanzata in materie scientifiche, tecniche e digitali, il finanziamento di dottorati industriali, l’attività strutturale di upskilling e reskilling risultano fondamentali, in particolare nelle piccole e medie imprese, per interrompere la spirale intorno a cui si va attorcigliando il mercato del lavoro italiano, che fa seguire domanda di basse competenze a offerta di basse competenze.
In ultimo, è senz’altro ostico favorire una digitalizzazione pervasiva del tessuto produttivo in assenza di infrastrutture digitali e livelli di connettività adeguati. Da questo punto di vista, lo sviluppo della rete 5G e di modelli Fiber to the premises, con l’obiettivo di garantire alle imprese una connettività di almeno 100Mbps, appaiono irrinunciabili per le sfide di competitività dell’industria italiana.
Conclusione
Al piano della politica economica sono rivolte le maggiori aspettative nei confronti di Mario Draghi, che per decenni ha maneggiato le leve più delicate del sistema economico e monetario a vari livelli e che si troverà a guidare un Paese malato di crescita e dalle prospettive incerte nella fuoriuscita dalla crisi Covid-19. Nel percorso di ripresa, l’Italia avrà uno strumento fondamentale nelle risorse previste dal Recovery Plan, che pure andranno accompagnate da profonde riforme abilitanti, da meccanismi di implementazione efficaci, da un sistema di monitoraggio costante e da un senso spiccato delle priorità.