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Big Data: sfide difficili (ma non impossibili) per il Team Digitale

Scardinare i silos che trattengono le potenzialità dei dati per fare in modo che cittadini e pubbliche amministrazioni traggano vantaggio dai Big Data in termini economici e di qualità della vita non è una mission impossibile se l’Italia saprà mettere a sistema quanto di buono c’è e sfruttare i suoi talenti. Con la necessaria attenzione alla privacy

Pubblicato il 23 Feb 2017

Alessandra Talarico

privacy and big data

Dagli smartphone alle smart Tv, dalle carte di credito al Telepass, dalle email che inviamo alle foto che postiamo su un social network fino ai sensori montati sui lampioni delle nostre città e ai sistemi automatizzati di accensione dei riscaldamenti delle nostre case: da tutte queste sorgenti – e non solo – si va ad alimentare l’immenso mare dei Big Data. Una quantità di dati che cresce a ritmi record e dalla cui analisi sono attesi risultati mirabolanti in termini di miglioramento della qualità della vita, dell’aria che respiriamo, del traffico in città. E non parliamo certo di scenari futuristici: le implicazioni dei Big data sono già tra noi e consentono, ad esempio,  ad aziende private come Amazon (e a tantissimi altri) di suggerirci cosa acquistare sulla base del nostro pattern di navigazione e di quello di milioni di altri clienti che, come noi, hanno scelto di acquistare quel libro o quel microonde; o a Google di predire, sulla base dei dati della navigazione, i gusti di un utente per poi proporre  pubblicità di prodotti adatti al suo profilo consumer.

E mentre cresce l’aspettativa rispetto agli sviluppi di nuovi servizi innovativi per la mobilità, la sicurezza, il turismo, la riduzione dei consumi e dei costi basati sui Big Data, il Team Digitale di Diego Piacentini è al lavoro con l’obiettivo di far emergere il ‘sommerso’, inteso in questo caso, per dirla con le parole del Chief Data Officer del Team,  Raffaele Lillo, come quella “grande ricchezza che non riesce ad affiorare e a rendersi utile per i cittadini, le imprese e tutte le pubbliche amministrazioni, perché è parcellizzata, disseminata in luoghi diversi, imprigionata da regole e prassi che ne impediscono il movimento, la condivisione e l’utilizzo ottimale”.

Scardinare i silos entro i quali le pubbliche amministrazioni italiane tengono stipati i dati che derivano dal loro rapporto con i cittadini, in maniera tanto anacronistica quanto controproducente, è una delle mission del Team Digitale, nella convinzione che grazie a questo immenso giacimento di informazioni cittadini e aziende potranno avviare nuove attività sviluppando nuovi servizi e creare nuovo valore e occupazione, mentre le PA potranno offrire servizi migliori e individuare meglio i problemi della società e a elaborarne le soluzioni.

Un compito arduo, ma non certo impossibile se si parte da quello che già c’è – poco, ma qualcosa è stato già fatto dalle amministrazioni pubbliche – e se si sfrutteranno con intelligenza competenze e risorse di cui il nostro paese già dispone ma con le quali non si è finora fatto ‘sistema’

Last but not least, grazie ai dati, resi disponibili in maniera aperta e riutilizzabili, il cittadino potrà “conoscere l’azione dello Stato e giudicarne i risultati”, monitorando come vengono spese le tasse e il livello dei servizi offerti.

Non mancano le sfide, anche importanti: da un lato ci si deve confrontare col fatto che i dati sono eterogenei e non sono tutti ‘open’, appartengono spesso ad aziende private che con quelle informazioni fanno business e sono pertanto refrattari a cederne la proprietà. Ci sono poi da considerare con particolare attenzione anche le problematiche legate alla privacy. Sottolinea il presidente dell’Autorità Garante della Privacy, Antonello Soro che “La capacità di elaborare, anche in tempo reale, tramite algoritmi sempre più potenti un’ingente mole di dati consente di estrarre conoscenza e, in misura esponenziale, di effettuare valutazioni predittive sui comportamenti degli individui nonché, più in generale, di assumere decisioni per l’intera collettività”.

Occorre, insomma, non soltanto regolamentare, ma creare consapevolezza sul fatto che molto più spesso di quanto pensiamo potremmo essere ‘indotti’ a fare un acquisto o a prendere una decisione non tanto da una necessità oggettiva ma da un algoritmo creato e gestito da un’azienda o da un’entità privata che da quell’acquisto o da quella decisione ha da guadagnare in termini economici o di consenso.

Serve quindi, senz’altro,  una “vision condivisa”, con un’unica regia che riesca, sempre per dirla con le parole di Lillo, a “mettere a sistema le forze positive e i talenti che sono a disposizione” per fare emergere il potenziale ancora nascosto dei dati – pubblici e non. Ma è altrettanto necessario, dal punto di vista ‘umano’ aiutare chi non ne ha i mezzi a comprendere che quando un servizio o un prodotto sono gratuiti, il prezzo da pagare sono le informazioni che, troppo spesso inconsapevolmente, cediamo.

Quando si riuscirà a racchiudere in un unico schema tutto questo, con rigore scientifico e metodologico, il limite a quello che si potrà fare è solo quello dell’ingegno, dell’immaginazione e della creatività: qualità di cui l’Italia può far grande vanto, ma che troppo spesso non sono abbastanza valorizzate.

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