Perché le amministrazioni italiane fanno fatica ad innovare o innovano troppo lentamente? Perché i cittadini ed imprese hanno sempre la sensazione che le amministrazioni abbiano ancora molta strada da fare per rispondere ai bisogni della società civile e alle sfide che il Paese si trova ad affrontare?
Domande da porsi, nel giorno in cui l‘Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano presenta il proprio rapporto 2020, con lo stato di avanzamento.
Un tema sul quale spesso si è dibattuto è quello della governance, cioè delle strutture e dei processi che coordinano i processi di gestione, modernizzazione e digitalizzazione delle nostre amministrazioni. In realtà, negli scorsi anni sono stati introdotti molteplici cambiamenti sul fronte istituzionale, procedurale e normativo, tuttavia essi non paiono aver introdotto cambiamenti efficaci e sostanziali.
Quindi che fare? Dobbiamo intervenire in modo organico a diversi livelli.
Livello di Governo
È pleonastico dire che servono innanzi tutto chiarezza di indirizzo e forte sostegno e investimento da parte del Governo e delle forze politiche. Con l’introduzione del Ministero per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione (MID) si è creato un punto di accumulazione e di riferimento per i processi di innovazione digitale. In realtà, il MID non è l’unica struttura che ha a che fare con la digitalizzazione. Altri dicasteri si occupano di tematiche affini o collegate con ciò che fa il MID (si pensi al tema dei pagamenti e del ruolo del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per esempio).
Se è vero che nello svolgimento del proprio compito istituzionale ciascun ministero deve occuparsi delle tematiche del digitale, è utile e necessario che l’attuale architettura istituzionale venga completata, prevedendo un comitato interministeriale (come il CIPE) che coordini e allinei gli interventi in tema di ricerca, innovazione e digitalizzazione del Paese. Il comitato potrebbe includere, in prima battuta, Ministero dell’Innovazione, Ministero dello Sviluppo Economico, Funzione Pubblica, Ministero dell’Economia e delle Finanze e Ministero dell’Università e della Ricerca.
Livello del consenso istituzionale
L’innovazione delle amministrazioni non può prescindere da un coordinamento e allineamento tra le diverse articolazioni dello Stato e delle amministrazioni locali, nella chiarezza dei ruoli e delle funzioni di ciascuno livello istituzionale. Al livello centrale deve spettare la definizione dei processi, delle architetture e degli standard per abilitare la piena integrazione dei diversi livelli istituzionali ed amministrativi: un disegno d’assieme che permetta a ciascuna struttura di gestire appieno la propria autonomia operativa in un quadro di coerenza e sinergia complessiva. In questo senso, è estremamente importante valutare se l’attuale assetto e le modalità di funzionamento di organi come la Conferenza Stato-Regioni siano ancora adeguate e compatibili con le velocità e le dinamiche che il Paese deve gestire (come drammaticamente dimostrato dall’emergenza coronavirus).
Livello della standardizzazione e della progettazione strategica
Negli anni scorsi sono stati introdotti molti cambiamenti nell’organizzazione delle strutture a servizio del processo di governance dell’innovazione delle amministrazioni. È stata introdotta l’Agenzia per l’Italia Digitale che peraltro non è mai pienamente decollata, sia per problemi di carattere giuridico e amministrativo, sia per limiti organizzativi e di struttura che si sono palesati nello svolgimento delle sue attività. Peraltro, è essenziale avere un luogo dove gli indirizzi politico-strategici definiti al livello politico siano tradotti in programmi concreti e linee di intervento operative.
È quindi vitale che questa funzione di regia tecnica e di progettazione sia autorevolmente presidiata per evitare la diaspora che troppo spesso abbiamo visto dispiegarsi in questi anni.
Livello operativo-esecutivo
L’innovazione deve essere svolta da ciascuna amministrazione utilizzando al meglio i servizi e i prodotti offerti dal mercato. Peraltro, esistono molte strutture pubbliche che offrono servizi informatici e di consulenza alle amministrazioni pubbliche stesse: a livello centrale SOGEI e PagoPa, per fare due esempi; a livello locale le tante società in-house create da regioni e amministrazioni locali.
È vitale razionalizzare quanto esiste, eliminando doppioni e soprattutto evitando, come invece è successo anche nel recente passato, di creare nuove strutture che hanno ulteriormente complicato il quadro complessivo.
Serve una visione strategica condivisa
Per dare senso e direzione ad un qualunque assetto di governance è vitale avere una chiara visione strategica condivisa. Senza di essa, è inevitabile che si creino e rafforzino conflitti o, anche, immobilismo e conservazione. Da questo punto di vista, è vitale interpretare correttamente il senso della parola “digitalizzazione”.
Scrivo ne “Il Paese innovatore” (Egea, 2020):
“Dovremmo premiare non le amministrazioni che «digitalizzano» un procedimento, quanto quelle che lo fanno scomparire dalla vista del cittadino o dell’impresa. In generale, dobbiamo parlare di una disappearing burocracy, un’amministrazione che scompare e si rende visibile e vicina solo quando esiste un reale bisogno da soddisfare, come nel caso di sanità, scuola, lavoro. Allora sì che le amministrazioni devono essere presenti per «servire» il cittadino e risolverne i problemi (non quelli delle amministrazioni!). La sfida è quella della creazione di citizen-valued services, servizi che sono di valore per il cittadino”.
Continuiamo a discutere di SPID, IO, app e portali (il front-end) e non c’è una strategia e un programma operativo per affrontare il tema di fondo: la reingegnerizzazione dei processi e dei back-end dei sistemi informativi delle amministrazioni. È un tema ostico dal punto di vista tecnico, amministrativo, politico e di change management, che non porta benefici immediati e visibili e quindi poco vendibile dal punto di vista politico.
Ma è lo snodo che sta alla base dei problemi che viviamo e, in assenza di una svolta su questi temi, ogni altro sforzo di cui si parla è se va bene poco utile e, spesso, controproducente. Inoltre, manca una chiara visione di quale debba essere il rapporto tra pubblico e privato, con una crescente e malcelata voglia del pubblico di sostituirsi alle attività e alle funzioni che sono invece tipiche del mercato. In realtà, il pubblico dovrebbe occuparsi più dei back-end e della gestione degli asset strategici del Paese (per esempio le banche di dati critiche), lasciando laddove possibile lo sviluppo dei servizi finali (i front-end) al mercato.
Ripartiamo da questi punti e da queste proposte. Quanto meno, è urgente capire come le forze politiche vogliono affrontare queste tematiche da troppo tempo sul tappeto.