IL PUNTO

Acquisti pubblici IT poco trasparenti, il tradimento dell’open gov

Rendere visibile l’apporto delle lobby, motivare l’utilizzo delle indicazioni degli stakeholder nel risultato finale, usare strumenti di collaboration e crowd sourcing: l’open government potenzia trasparenza ed efficacia degli acquisti Ict, ma sono poche le applicazioni nel procurement

Pubblicato il 27 Nov 2017

opengovernment

L’Open government è uno strumento che la pubblica amministrazione italiana si propone di utilizzare in misura sempre maggiore, al centro di uno specifico piano d’azione triennale 2016-2018 che registra passi avanti anche importanti, come il FOIA (freedom of information act). Il punto è che l’amministrazione trasparente, al momento, sembra toccare solo marginalmente, almeno nella prassi, un settore strategico come quello degli appalti pubblici. Un dato emblematico: su 34 azioni previste dal piano triennale Open Government, solo due riguardano specificamente il public procurement: il cruscotto gare Consip, e le piattaforme di partecipazione del ministero dei Trasporto sulle opere pubbliche. «In Italia non si fa open government. Alcune delle iniziative a livello centrale hanno una certa opacità, direi che siamo proprio all’opposto dell’open government» commenta Oscar Sovani, responsabile delle Agende regionali di semplificazione e digitalizzazione di Regione Lombardia, ente che all’Open Government ha appena dedicato la Giornata della Trasparenza 2017, nel corso della quale i riferimenti all’opacità nelle procedure degli appalti pubblici non sono certo mancate. E, come ha sintetizzato Martin Ohridski, Policy Officer Transparency & Lobbying Regulation della Commissione UE, «l’oscurità è il miglior amico della cospirazione». Viceversa, la «trasparenza è la chiave per un buon governo». Un punto su cui è d’accordo Luca Gastaldi, direttore Osservatorio Agenda Digitale del PoliMi, che però avverte: iniziamo a fare bene il processo di digitalizzazione, che è la cosa fondamentale. «Se poi, durante tale processo, riusciamo anche a rendere i dati trasparenti e pubblici e disponibili a tutti, bene. Daremo meno scuse a chi vuole usare i processi di procurement per la corruzione».

Partiamo dalle iniziative specifiche previste dal Piano nazionale sull’Open Government. Il Cruscotto Gare Consip ha l’obiettivo di rendere disponibili a tutti gli stakeholder di riferimento (PA, imprese e cittadini) informazioni chiare e aggiornate sullo stato di avanzamento delle procedure di gara. Presentando il numero e il valore delle procedure di gara bandite e aggiudicate da Consip e permettendo di tracciare lo stato dei lavori delle Commissioni di gara (dall’apertura dei lavori all’aggiudicazione della gara stessa). Raggiungibile dalla home page del sito Consip, fornisce una immediata rappresentazione grafica delle gare bandite e aggiudicate, i dati sulle procedure in corso, lo stato dei lavori dei lotti.

Il progetto sulle Opere Pubbliche 2.0 del ministero dei Trasporti, prevede una piattaforma dedicata alla valutazione degli investimenti nelle opere pubbliche, e un’altra per il dibattito sulle grandi opere da realizzare, in connessione con lo sviluppo della Banca dati Opencantieri, ampliata con i dati regionali attraverso flussi automatici di aggiornamento con cadenza settimanale. E’ stata realizzata l’infrastruttura per l’interoperabilità della banca dati con Opencantieri, è online sul sito del ministero l’area “Connettere l’Italia”, in fase di sviluppo, con le azioni messe in atto e i risultati ottenuti, e una specifica sezione dedicata al dibattito pubblico sulle opere di interesse nazionale.

Tutte le azioni e gli obiettivi del piano triennale sull’Open Government sono consultabili sul sito del governo dedicato (open.gov.it), che contiene tutti i documenti sul piano triennale e il dettaglio delle azioni avviate con lo stato di avanzamento.

In generale, osserva Sovani, i percorsi di trasparenza negli appalti devono prevedere diversi elementi. «L’apporto delle rappresentanze di interessi deve essere visibile. Il risultato finale, se non tiene conto delle indicazioni provenienti dai vari stakeholder, deve essere motivato da chi gestisce i processi». E ancora: «usiamo gli strumenti di collaboration, coinvolgiamo i cittadini in ottica crowdsourcing, perchè più occhi vedono meglio. Prendiamo esempio dalle imprese, che si aprono ai feedback dei cittadini, a processi di testing dal basso, e poi sono in grado di costruire interfacce e servizi che riscuotono successo perchè sono semplici da usare». Il mondo della PA, invece, «è distopico. Da una parte c’è una società sempre più digitalizzata, con uno sviluppo tecnologico esponenziale e un’innovazione sempre più spinta. Dall’altra, la PA si rinchiude in una gabbia di regole, di controlli, di procedure inutili e ridondanti e le informazioni e i dati non circolano, perchè si continua a lavorare a compartimenti stagni. Mancano le competenze nella PA: e allora dobbiamo prenderle dall’esterno, ma per farlo dobbiamo essere bravi committenti. Ha fatto bene Piacentini a crearsi il suo team. Peccato che non abbia poteri sanzionatori e di intervento sostitutivo, soprattutto sul livello centrale».

Dunque, ci vogliono competenze. E si torna a un tema che sempre più si impone come centrale per portare avanti tutti i processi di digitalizzazione, nella PA e non solo. Come procedere? «Quando si parla di digitalizzazione, la prima cosa da fare è un assessment skill», osserva Sovani, sottolineando che «le gare quadro Consip dimostrano che sul tema ict, prima bisogna definire i fabbisogni e poi si passa alla progettazione. Ma il punto è che non abbiamo ancora trovato meccanismi efficienti per sviluppare la digitalizzazione della pa».

Paolo Conio sottolinea come in generale, pur con i passi avanti compiuti negli ultimi mesi (in primis, l’approvazione del nuovo Codice dei Contratti), la strada per l’innovazione degli appalti sia ancora lunga. Fra gli elemenati da cui partire, proprio l’analisi dei fabbisogni della stazione appaltante.

Ohridski, nel corso della sua presentazione alla Giornata della Trasparenza di Regione Lombardia, ha spiegato che si deve passare dal concetto di ‘trust us’ al ‘show us’, quindi fornire i dati invece che chiedere fiducia. Invece, osserva Sovani, «si fanno ancora i moduli sulla carta (moduli edilizi, ambientali), dimenticando che questi moduli sono flussi di dati, e che vanno gestiti come tali». Definire le regole per gestire i flussi di dati, avrebbe il vantaggio di creare interoperabilità, con una PA che chiede sempre meno informazioni a cittadini e imprese. Viceversa, «abbiamo un eccesso di regolazione, di richieste e l’interoperabilità delle banche dati e dei sistemi informativi è ancora un miraggio».

Sovani aggiunge una serie di elementi di criticità in tema di acquisti pubblici ict, «non ultimo il fatto che quanto previsto nel piano triennale AGID, sulla carta molto positivo (a partire dall’idea di creare un marketplace delle soluzioni in cloud, in modalità saas), prevede una serie di passaggi importanti per i quali mancano poi gli strumenti operativi. Banalmente, i criteri per la qualificazione dei servizi as a service per il cloud della pa, che dovrebbero popolare il markeplace, dovevano arrivare a giugno 2017 e ancora non ci sono. Le disposizioni per il procurement, previste sempre per giugno 2017, non sono ancore state rilasciate. Il capitolato tecnico per la realizzazione del marketplace doveva arrivare entro settembre 2017: non c’è stato nemmeno un inizio di condivisione di un percorso». E ancora: «sull’aggiudicazione tramite strumenti di acquisto Consip (rilascio previsto marzo 2018), c’è una circolare Consip, con qualche indicazione rispetto all’offerta (ad esempio, in materia di accordi quadro). Ma anche questi lotti già attivati, non sono stati progettati e confezionati tenendo conto dei reali fabbisogni della pa locale. Sono adatti più alla PA centrale, meno a quella locale. Chi li ha analizzati nel dettaglio, si trova a disposizione un’offerta che non risponde alle esigenze delle pa locali». Per non parlare dell'(in)giustizia amministrativa: «Abbiamo fatto un anno e mezzo fa una gara sulla conservazione digitale per gli enti locali. L’aggiudicatario ha vinto con un ribasso fortissimo, oltre 80%. Il secondo classificato ha fatto ricorso per offerta anomala. Al Tar ha vinto la Regione; il Consiglio di Stato ancora non ha deciso. Nel frattempo, è tutto fermo. A questo punto le domanda sono le seguenti: conviene fare aggregate? basta suddividerle in lotti per limitare i danni in caso di ricorsi? non sarebbe meglio avere un codice speciale degli appalti ict, più snello e flessibile? quando si farà una riforma della giustizia amministrativa?» In nome di tutte queste considerazioni, «le Regioni chiedono a Agid e Team digitale di attivare dei momenti di lavoro insieme».

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