Agenda digitale: allarme rosso. Doveva essere una delle principali leve per lo sviluppo e la modernizzazione del Paese che poteva consentire all’Italia di recuperare il gap che – da anni – la separa dalle nazioni più virtuose in materia di utilizzo delle ICT.
E invece, dopo roboanti annunci e pompose conferenze stampa, l’innovazione è rimasta frenata dalla burocrazia e sono impressionanti i ritardi accumulati dal Governo nell’adozione dei provvedimenti attuativi.
Tuttavia, come in tanti avevamo fatto notare fin dall’inizio, si è rivelato un problema che la gran parte delle disposizioni dell’Agenda non è immediatamente operativa e richiede l’adozione di decine di regolamenti e decreti attuativi che avrebbero dovuto essere emanati secondo una serie di scadenze ben definite. Si trattava di un rischio molto grosso: il ritardo nell’adozione di questi provvedimenti avrebbe potuto impedire il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda Digitale.
All’epoca, la risposta dei Ministri e dei loro staff fu netta: “tranquilli, la gran parte delle regole tecniche è già pronta e sarà emanata prima delle scadenze di legge”.
Purtroppo, nonostante le rassicurazioni, il bilancio – a quasi un anno di distanza – è assolutamente fallimentare.
Tale stallo – oltre ad essere documentato dai dossier curati dagli Uffici Studi della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica – emerge evidente dal monitoraggio permanente avviato da AgendaDigitale.eu (QUI LA TABELLA) che consente di tenere traccia di tutti i principali provvedimenti di attuazione e della tempestività con cui sono adottati dal Governo (con tanto di contatore automatico che segnala il ritardo rispetto alle scadenze normativamente previste).
I dati che si ricavano non lasciano spazio a dubbi: dei 51 provvedimenti monitorati, soltanto 5 sono stati adottati, mentre ben 22 non sono stati emanati nonostante sia scaduto il termine per la loro adozione (per alcuni, addirittura, da dicembre 2012).
Per molti altri decreti, invece, non è proprio prevista una data entro la quale devono essere emanati e – ovviamente – questo non influisce positivamente sulla loro adozione (non è stato emanato nessuno dei sedici provvedimenti per cui non è previsto un termine di pubblicazione).
Si tratta di un fenomeno tipico dell’innovazione all’italiana, già verificatosi con il codice dell’Amministrazione Digitale: le leggi contengono petizioni di principio o prevedono determinati istituti (come, ad esempio, il fascicolo sanitario elettronico) che non diventano operativi finché non arrivano i decreti attuativi.
Ma questi provvedimenti arrivano raramente, a causa di una burocrazia normativa ormai anacronistica e insostenibile.
Il grave ritardo nell’attuazione dell’Agenda Digitale ha conseguenze immediate e gravissime:
a) le Pubbliche Amministrazioni non possono completare la transizione dal cartaceo al digitale (basti pensare alla mancata adozione dei decreti sulle anagrafi e sul documento digitale);
b) i cittadini e le imprese non hanno a disposizione strumenti per un rapporto telematico con la PA (ad es. pagamenti on line);
c) le imprese non possono investire, in considerazione della cronica incertezza su standard e regole tecniche.
Ma non è tutta colpa della burocrazia. Il ritardo nell’attuazione dell’Agenda Digitale è riconducibile alla scarsa importanza che questi temi rivestono per il Governo, impegnato – più che altro – in una costante opera di ridefinizione delle questioni relative alla governance, ma poco attento alla concreta implementazione (l’Agenzia per l’Italia Digitale, ad esempio, non ha ancora uno Statuto).
In proposito, è indicativo che una delle scadenze non rispettate dal Governo sia stata quella relativa allo stato di attuazione su cui avrebbe dovuto relazionare al Parlamento – e quindi ai cittadini – entro il 30 giugno 2013.
La sfida dei prossimi mesi è dunque chiara: non serve emanare nuove norme, ma riuscire ad applicare (presto e bene) quelle che ci sono già.
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