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Agenda digitale, Fuggetta: “Una vision politica forte per uscire dallo stallo”

Senza una governance stabile e una forte coesione politica sui temi che vanno al cuore del funzionamento delle amministrazioni, i processi di digitalizzazione e trasformazione del paese continueranno ad essere una gigantesca tela di Penelope. E c’è poca speranza che il 2020 sia l’anno della svolta

Pubblicato il 16 Gen 2020

Alfonso Fuggetta

professore di Elettronica, Informazione e Bioingegneria, Politecnico di Milano

ultrabroadband in italia

Come ogni inizio d’anno, ci si chiede se sarà l’anno del decollo dell’Agenda Digitale del paese e, più generale, se assisteremo a reali e significative discontinuità nei processi di innovazione e trasformazione digitale nella società e nelle amministrazioni pubbliche. Come sempre, le opinioni sono molte. Di certo, il paese si muove molto lentamente. Negli ultimi anni vi sono stati alcuni segnali positivi che peraltro non sono ancora riusciti a spostare la percezione dei più e ad ottenere quel salto di qualità che tutti vorremmo.

Per di più, in ambito pubblico stiamo assistendo all’ennesimo cambio di governance e di persone e questo, al di là della qualità delle scelte che sono state fatte, continua a perpetuare quella sensazione di perenne precarietà legata all’assenza di un assetto stabile e rodato. Per questo un primo commento non può non concernere le condizioni di contesto. Siamo in un perenne stato di passaggio da un assetto ad un altro. Ma quando una dinamica è costante nel tempo, allora forse vuol dire che quella condizione è ormai lo standard e non più un transitorio. Dobbiamo pensare a linee di azione che tengano conto di questo stato “fluido” permanente. Non possiamo illuderci del fatto che “adesso finalmente ci siamo”. Quanto meno non possiamo contarci. Dobbiamo assumere che la fluidità e l’instabilità siano in questo periodo storico ineludibili.

Le “cose giuste” per il Paese

Se così è, allora una prima condizione essenziale è che si esca da una logica di schieramento e che si definisca una agenda bipartisan e di medio-lungo periodo. In parte è stato così, ma più per inerzia che per volontà o lungimiranza. È essenziale che le forze politiche si rendano conto (sul serio!) dell’importanza del digitale e ne propongano una visione che sia in grado, nella sua sostanza, di reggere le fluttuazioni e i cambiamenti dell’assetto politico. Le “cose giuste” che servono al paese, in buona misura, non hanno colore politico, anche se è indubbio che ogni politico le possa interpretare in modo diverso. Ma o troviamo un filo conduttore ragionevolmente stabile, oppure i processi di digitalizzazione e trasformazione del paese continueranno ad essere una gigantesca tela di Penelope che non avanza o avanza in modo insufficiente rispetto ai bisogni del paese.

Ma quali sono le “cose giuste”? Se ci soffermiamo in questa sede al contesto pubblico e guardiamo quanto fatto negli ultimi 5–8 anni noteremo che stiamo lavorando sulle priorità (ANPR, SPID, pagamenti e fatturazione elettronica) che erano state sostanzialmente definite da Francesco Caio e poi raccolte, sistematizzate ed arricchite da Diego Piacentini, persone con visione che hanno scelto, deciso e curato l’execution.

Digitale, manca la coesione politica

Diego Piacentini nel suo piano triennale ha anche indicato il prossimo passo: interoperabilità, ecosistemi digitali, consolidamento di basi di dati e degli applicativi. Si tratta di temi che vanno al cuore del funzionamento delle amministrazioni pubbliche: non stiamo più parlando di processi, servizi e infrastrutture abilitanti, ma dei meccanismi di funzionamento dello stato e degli enti locali. Temi così cruciali e delicati possono essere affrontati solo se la politica assume una posizione coesa e bipartisan.

La risoluzione di questi temi porta in dote la possibilità di affrontare il successivo passaggio cruciale: la riduzione e il consolidamento dei CED. Senza standardizzare e virtualizzare gli applicativi, ogni tentativo di consolidare i CED sarà costoso e inefficace (se non impossibile).

Un terzo snodo cruciale è quello del procurement. La domanda pubblica soffre da anni di una cronica incapacità di rispondere alle sfide strategiche delle amministrazioni e di guidare in modo strategico il rapporto con il mercato e il mondo dell’offerta. Va affrontata in particolare una volta per tutte una discrasia, una schizofrenica contrapposizione tra flessibilità e velocità da un lato e controllo dall’altra. Ad ogni passaggio legislativo il codice degli appalti diviene sempre più rigido e sempre meno in grado di rispondere ai bisogni del paese, quanto meno nell’ambito del mercato dell’ICT. Inutile continuare a richiedere partnership pubblico privato quando una amministrazione pubblica non può nemmeno incaricare di uno studio di fattibilità una università o un centro di ricerche senza passare da una gara. Così non c’è speranza di fare innovazione.

Infine un ultimo passaggio riguarda il capitale umano. Se non investiamo in nuove competenze, in formazione delle persone che oggi operano nelle amministrazioni pubbliche, se non cambiamo i percorsi di carriera e i modelli di valutazione, la domanda e i processi di innovazione delle amministrazioni pubbliche non decolleranno.

Una politica forte, competente, lungimirante

In sintesi, serve una politica forte, competente, lungimirante, proprio quando essa offre caratteristiche opposte: poco competente, orientata solo al prossimo passaggio elettorale, debole in quanto poco interessata a confrontarsi su un tema che per molti “non porta voti”.

Ecco perché vedo il 2020 in modo critico. Se anche riuscissimo a completare in tempo i percorsi e i progetti in essere, i prossimi passaggi richiedono una chiarezza di idee, una visione, un commitment politico che non mi paiono esistere. Ovviamente, con il tutto il cuore, spero di essere smentito.

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