La nomina di Antonio Samaritani a nuovo DG dell’Agenzia per l’Italia Digitale rappresenta un significativo momento di discontinuità sotto parecchi punti di vista.
Partendo dalla “geografia”: arriva un milanese, dopo ventidue anni (se cominciamo a contarli dalla data di costituzione dell’AIPA) di quasi ininterrotta governance romana riconducibile al “piccolo mondo” della PA centrale.
Arriva un milanese, e arriva dal mondo delle Regioni.
E anche questo non è un dettaglio di poco conto, se consideriamo che non pochi dei nodi irrisolti nella storia AIPA-CNIPA-DigitPA-AgID sono riconducibili a – chiamiamoli così – “problemi di comunicazione” fra Regioni e Stato centrale in materia di innovazione tecnologica e se ci aggiungiamo il fatto non marginale che è da loro (Regioni) che arriva il grosso delle risorse più o meno virtualmente appostate sui temi dell’agenda digitale.
Arriva dal mondo delle Regioni ma ha un passato piuttosto significativo in aziende IT e in società di consulenza organizzativa. E anche questo non è un dettaglio.
Come hanno rilevato in molti in questi giorni, Samaritani non ha un account Twitter: buon segno.
E non vive di convegni: ottimo.
Il Ministro Madia ha dichiarato che questa nomina è un segnale di continuità, sulla strada aperta da Caio e continuata da Alessandra Poggiani: ottimo anche questo, ma facciamo attenzione. Potrebbe non essere sufficiente.
Alessandra Poggiani ha fatto un grandissimo lavoro, agendo in condizioni non facilissime. Paradossalmente, se pensiamo alla sua connotazione politica, ha avuto poca copertura da parte dei palazzi del potere.
Ed è questo, alla fine, il problema.
Tutti quanti speriamo che a Samaritani siano state assicurate garanzie di maggiore copertura politica, altrimenti rischiamo di finire punto e a capo come a Monopoli quando peschi la carta “Tornate al Via!”.
E questa copertura politica non può che esplicitarsi attraverso la riapertura di quello che fu un tempo il Dipartimento per l’Innovazione e le Tecnologie presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
L’anello di congiunzione fra l’operatività dell’Agenzia e le strategie governative.
I bene informati dicono che finalmente il dossier “Dipartimento Digitale” (“Economia Digitale”?) è riemerso dal fondo dei cassetti di Chigi e dopo una sommaria spolverata è stato portato all’attenzione di chi di dovere. Speriamo.
Perché il problema vero sta tutto qui. A Via Liszt può arrivare chiunque, persino il Padreterno in persona, ma fino a quando non si manifesterà in tutta la sua evidenza, concretezza e determinazione il commitment politico “vero” (quello del piano nobile a Chigi, ufficio d’angolo in fondo a destra) rischiamo di continuare a parlare del nulla.
Che il Presidente del Consiglio non ami particolarmente l’AgID, non è un mistero. Probabilmente non la ama perché non la percepisce come un’entità realmente strumentale alla Presidenza. E molte delle gestioni precedenti alla “gestione Poggiani” hanno fatto di tutto per tenere molto lasco il legame con Chigi.
Il Dipartimento può risolvere questo problema, diventando la centrale strategica per l’economia digitale (non solo PA!!!) e lasciando all’Agenzia il compito di “fare le cose”.
E sul “fare”, Antonio Samaritani ha tutte le carte in regola e può fare un gran lavoro.
Se i bene informati hanno ragione, quindi, tutto adesso è nelle mani del duo Guerra-Tiscar. Sperando che il Presidente del Consiglio trovi dieci minuti di tempo per guardare il dossier e fare “sì” con la testa.
Nell’attesa, vogliate gradire un mercato digitale ancora in affanno e in cerca di tempi migliori.
E gli enti della PA che continuano a chiedere fax di conferma e buste sigillate con la ceralacca.