E così, il 30 giugno tutte le Regioni dovranno presentare i loro piani relativi all’attuazione del Fascicolo Sanitario Elettronico.
Potenzialmente, avremo 21 fascicoli sanitari elettronici. Uno per ognuna delle Regioni e Province Autonome. Qualche centinaio di milioni di investimenti, sommato a qualche altro centinaio di milioni già spesi nelle regioni che già da anni sono partite (Emilia-Romagna, Toscana, Lombardia, Provincia Autonoma di Trento) e nelle decine di sperimentazioni in atto. Ottima cosa per il mercato, naturalmente.
Ma possiamo dire altrettanto se guardiamo la cosa dal punto di vista del Servizio Sanitario Nazionale? Probabilmente no. Probabilmente, si poteva fare meglio. Coordinandosi, mettendo insieme gli attori. Soprattutto, avremmo potuto fare molto meglio se avessimo considerato il Fascicolo come “punto d’arrivo” di un percorso complessivo di digitalizzazione della Sanità. Non servivano grandi doti di preveggenza: sarebbe bastato copiare quello che è stato fatto tutto laddove la Sanità Digitale la si è fatta per davvero.
Partiamo dallo stato reale della digitalizzazione in sanità in Italia: abbiamo qualche migliaio di anagrafi di assistiti (5-6 in media per ciascuna delle ASL e AO, più le anagrafi regionali), decine di software di cartella clinica ospedaliera, decine di software di cartella per il medico di famiglia, centinaia di repository per la diagnostica, e via di seguito. Abbiamo ospedali dove ciascun reparto ha “la sua” cartella clinica; ASL dove ciascun poliambulatorio ha “la sua” agenda di prenotazioni nonostante il CUP. Abbiamo medici che tentano ancora di farsi pagare anche il toner per la stampante, dopo aver strappato connessioni ADSL gratuite e indennità integrative per l’utilizzo del PC. Abbiamo interi ospedali dove il WiFi in corsia è un miraggio. E potrei andare avanti per pagine.
Paradossalmente, abbiamo un’offerta (i maggiori vendor IT specializzati in Sanità) molto più aperta e disponibile a “fare sistema” di quello che potrebbe sembrare ascoltando la domanda. Pronti a parlare di partnership invece che di “eterna lotta tra cliente e fornitore”; pronti a parlare di revenue sharing e performance based contracting se soltanto la domanda fosse pronta a recepire questo modello. Abbiamo ISV specializzati in software per medici di famiglia e per farmacie prontissimi a collaborare. Per non parlare dei produttori di medical devices. Un vero e proprio “ecosistema per la sanità”, diciamo.
Abbiamo anche regioni dove si ha il coraggio di rompere gli schemi. E’ successo qualche giorno fa in un convegno a Roma, dove Giancarlo Galardi (Regione Toscana) e Federico Gelli (parlamentare, guardacaso, toscano) ci hanno raccontato il “loro” ecosistema per la sanità elettronica. Parlando di partenariato pubblico-privato, di primazia del mercato, di fornitori che collaborano mettendo a disposizione risorse e impegnandosi a rendere interoperabili le loro soluzioni. E abbiamo un Ministero della Salute pronto a giocare un ruolo centrale di coordinamento delle strategie per la sanità digitale attraverso un Patto capace di mettere insieme tutti gli stakeholder.
Abbiamo qualche miliardo di euro disponibile, se soltanto saremo capaci di sfruttare al meglio i fondi comunitari 2014-2020 destinati all’innovazione in sanità. E abbiamo un mercato pronto a rilanciare affiancando risorse private non indifferenti.
Insomma: gli ingredienti ci sono tutti. Il Fascicolo, a questo punto, diventerebbe l’ultimo dei problemi e la prima delle opportunità. E il servizio sanitario nazionale non potrebbe che beneficiare di un sistema razionalizzato e orientato alla performance.
Adesso, si tratta di passare dal condizionale all’imperativo.