La tentazione è fortissima, iniziare da capo, cancellare tutto, partire da zero e questa volta finalmente imboccare la strada giusta.
Il ritardo dell‘Italia Digitale, il processo mai concluso di trasformazione della nostra Pubblica amministrazione nonostante le risorse spese, potrebbe portare il nuovo governo verso questa rotta.
La voglia di cambiamento, il desiderio di immaginare ogni giorno un modo nuovo per raggiungere i propri obiettivi è un’attitudine positiva ma avendo a che fare con la pesante macchina amministrativa del nostro Paese è necessario utilizzare qualche accortezza.
PA digitale: scelte, risultati, ritardi
Un buon punto di partenza potrebbe essere la lettura del resoconto dei lavori della Commissione Parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione della pubblica amministrazione.
160 pagine che ripercorrono la storia delle scelte fatte sugli investimenti nel settore delle tecnologie, sui pochi risultati ottenuti e sui tanti ritardi.
Non è l’ammontare delle risorse spese il dato veramente preoccupante (5,5 miliardi di euro) ma il susseguirsi di scelte sbagliate che non hanno generato sviluppo, non hanno fatto crescere competenze, non hanno rafforzato le nostre imprese e non hanno reso la PA in grado di generare servizi innovativi di interesse per i cittadini.
Tutto ciò ha reso ancora più pesante il fardello burocratico che, come un macigno, ancora al fondo di tutte le classifiche europee il nostro Paese.
L’assenza di visione strategica
Le responsabilità non sono da ricercare in maniera specifica nei diversi schieramenti politici che in questi anni si sono alternati, piuttosto nell’assenza di una visione strategica di medio lungo periodo che avrebbe dovuto tracciare il cammino.
Siamo passati da fortissime attrazioni centraliste a moti federalisti e autonomisti, regionalizzando processi e procedure, creato reti ed infrastrutture che non parlavano la stessa lingua. Tutto ciò non ha fatto altro che consegnarci un quadro totalmente disomogeneo, fatto di picchi di innovazione e qualità dei servizi in alcune aree geografiche e baratri oceanici in altre.
Piano banda ultra larga, cosa serve per completarlo
Ora non abbiamo più tempo da perdere, poco utile lamentarsi ma è serio riconoscere gli errori del passato per non ripeterli, individuando (pochi) elementi strategici su cui puntare ed investire le risorse ancora disponibili.
Il Piano Banda Ultra Larga è in fase di pieno svolgimento, con qualche ritardo rispetto alle tempistiche previste inizialmente perché non si è giustamente pesata la fase di implementazione e realizzazione sui territori. Diversi elementi di frizione fra operatori e Comuni sui tempi per il rilascio dei permessi e sui lavori di ripristino del manto stradale rischiano di condurci in una stagione di contenziosi che non possiamo permetterci.
Un Piano infrastrutturale di questa portata aveva bisogno di essere accompagnato da un altrettanto straordinario processo di semplificazione e, soprattutto, da adeguate misure di accompagnamento e sostegno per le amministrazioni locali. Siamo ancora in tempo. Un confronto con il Governo può portare alla definizione della modulistica unica per le TLC, possono essere individuate le misure di garanzia perché i lavori siano eseguiti correttamente da parte degli operatori, si può attivare un programma di accompagnamento e supporto tecnico ai Comuni utilizzando le risorse ancora non spese del PON governance.
Potenziare la domanda
Per avere successo, poi, il piano Bul deve investire per potenziare la domanda. I dati di partenza non sono entusiasmanti, il miliardo e 300 milioni di euro previsto dalla delibera Cipe dell’agosto dello scorso anno potrebbe trovare un ottimo utilizzo, pensando non solo a voucher per le famiglie, partendo necessariamente dalle aree a fallimento di mercato, ma puntando contestualmente sulla qualificazione dei servizi digitali della Pubblica amministrazione locale.
Competenze e formazione
Migliorare i servizi porta subito ad affrontare un altro nodo cruciale: far crescere le competenze di chi opera nel sistema pubblico. La mancanza di figure interne adeguate ha impedito fino ad oggi di progettare le soluzioni più idonee in ogni contesto, di gestire efficacemente i bandi di gara, di ingaggiare una sfida di collaborazione con le imprese per realizzare insieme nuovi servizi di reale interesse per i cittadini
L’innovazione passa attraverso una massiccia dose di conoscenza e formazione, senza le professionalità adeguate l’Italia digitale resta una chimera.
Oggi siamo chiamati a sostenere una Pa in difficoltà, fatta da tantissimi piccoli Comuni che hanno bisogno di misure pensate per loro e contemporaneamente accelerare il sostegno a quelle realtà che sono pronte ad affrontare le sfide della Gigabit society. Abbiamo città che stanno sperimentando il 5G, realtà che competono e si confrontano con le metropoli internazionali.
Sostenere l’innovazione delle città
Le nostre città devono e possono essere generatrici di futuro. Il nuovo Governo è chiamato a sostenere questo laboratorio di innovazione fatto di progetti concreti che passano dall’economia circolare alle nuove forme di mobilità urbana sostenibile.
Bari, Milano, L’Aquila, Matera, Prato e Roma stanno sperimentando una tecnologia che cambierà il mondo dei servizi. Genova può essere il nostro avamposto per l’intelligenza artificiale grazie alla collaborazione attivabile con l’istituto italiano per le tecnologie, avanguardia internazionale per la robotica. Lecce e Brescia possono diventare hub di servizi innovativi per tutti i comuni delle loro provincie.
Abbiamo un patrimonio immenso da attivare, scegliendo con intelligenza, misurando costantemente e puntualmente i risultati ottenuti, sarà finalmente possibile fare l’Italia Digitale.