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ANPR, Cesena racconta: “ecco tutti i problemi dell’Anagrafe Unica”

L’esperienza di un Comune che sta per migrare rivela gli errori compiuti su ANPR. Coinvolgere fin dall’inizio gli stakeholder, cioè i Comuni e i loro fornitori, avrebbe evitato problemi e rallentamenti e avrebbe garantito al sistema Paese di avere subito una piattaforma operativa

Pubblicato il 16 Mar 2017

Alessandro Francioni

Dirigente Comune di Cesena - Settore Servizi al Cittadino e Innovazione Tecnologica 

ANPR

Il comune di Cesena partirà con ANPR entro il 26 aprile. Il pre-subentro, dopo tutte le attività di bonifica, verrà effettuato il 27 marzo: bisogna installare tutti i certificati di sicurezza sulle postazioni e ultimare le attività di formazione.

Il subentro avverrà un po’ in ritardo anche rispetto alla precedente indicazione il 3 aprile perché il fornitore, approfittando del progetto nazionale, ha costruito una nuova piattaforma in cloud collegata all’ANPR, per cui abbiamo dovuto attendere anche il completamento dello sviluppo tecnologico del software.

Ad oggi sono collegati i Comuni di Bagnacavallo e Lavagna.

Procede, quindi, anche se con grande lentezza, l‘ingresso in ANPR dei comuni pilota: qualcosa si sta muovendo, sebbene con notevole ritardo.

Anusca ha sempre creduto all’idea di un’anagrafe unica, tanto da finanziare tre missioni in Austria, con rappresentati di AgID, del ministero dell’interno, di Sogei. Basti pensare che Anusca, tramite il sottoscritto, ha presentato per la prima volta un suo progetto di anagrafe unica nel 2009, alla Fiera EuroPA. Una proposta che è poi diventata un’idea del Legislatore nel 2012.

Una precisazione e una premessa doverose anche per rispondere alle illazioni secondo cui sarebbero proprio i comuni – o le associazioni degli ufficiali di anagrafe – a rallentare il processo di ingresso sul sistema nazionale.

Anusca, come associazione professionale non è stata coinvolta nelle decisioni strategiche prese dalla cabina di regia (costituita da AgID, Sogei, Ministero dell’Interno e ANCI). I nostri esperti di anagrafe, persone che ‘stanno sul campo’ e gestiscono quotidianamente  il dato anagrafico allo sportello – grazie ad una convenzione sottoscritta con l’Agenzia per l’Italia Digitale, hanno invece potuto partecipare a diversi incontri tecnici e non sono mancati suggerimenti e relazioni tecniche per migliorare ad esempio la Web-Application ma al momento non possiamo dire di avere effettivamente inciso tanto che non riteniamo che la piattaforma web sia paragonabile ai software in utilizzo nei comuni.

Come ribadito anche nel corso della recente audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni, Sogei ha certamente le potenzialità per realizzare delle banche dati, come sta facendo, ma probabilmente nel pensare di centralizzare l’anagrafe con la peculiarità italiana, che è anche la gestione delle famiglie, non si è resa conto fino in fondo della complessità di che cosa questo avrebbe significato. 

Sogei è quindi il soggetto giusto per gestire in maniera centralizzata  alcuni aspetti che il Comune in locale non può gestire – ad esempio il disaster recovery, business continuity, sicurezza dei sistemi – ma si sarebbe potuto recuperare molto più tempo se si fosse fatta una gara pubblica per acquistare un software da uno dei fornitori che lavorano sul mercato della digitalizzazione dei servizi demografici da più di trent’anni: sono in tutto una trentina 30, ma di questi i primi 4 o 5 collegano  la maggior parte dei comuni.

A nostro avviso questa sarebbe stata una scelta sicuramente più veloce rispetto alla scrittura di un software da zero e avrebbe inoltre garantito al sistema Paese di avere subito una piattaforma operativa.

E lo stesso discorso vale anche per lo stato civile, che è ancora più complesso e su quello c’è tutto un percorso da fare.

Un altro problema, evidenziato anche in audizione,  risiede nel fatto che in Sogei gli informatici che lavorano sul progetto non hanno una maturata esperienza sui servizi demografici; non possiamo dire che non abbiano lavorato assiduamente per acquisire conoscenze ma non è facile entrare nel dinamismo dell’ordinamento anagrafico in un tempo relativamente breve; anche questo si sarebbe potuto aggirare sempre con una gara attraverso cui si sarebbe acquisito non solo un software ma anche le competenze di quelle persone che, all’interno delle aziende, conoscono il mondo dei servizi demografici. Chiaramente l’azienda selezionata avrebbe anche garantito il subentro in primo luogo dei propri comuni clienti.

A monte, quindi, noi avremmo coinvolto fin dall’inizio gli stakeholder e cioè i Comuni e i loro fornitori. È un dato di fatto da cui non si può prescindere, infatti, che su 8 mila comuni italiani, 5 mila contano meno  di 5 mila abitanti e molti di questi non hanno un responsabile informatico. Spesso, pertanto, i fornitori rappresentano i sistemi informativi del comune. Senza contare che in questi anni alcuni fornitori hanno investito risorse per far evolvere i loro servizi, sviluppando anche servizi online per la cittadinanza e integrando la circolarità anagrafica non solo coi progetti nazionali, ma anche con quelli locali, regionali. Quindi sul territorio ci sono soluzioni fortemente innovative che non sono state attentamente valutate come punto di partenza.

È stato un errore pensare di fare il cambiamento senza coinvolgere le aziende. Una volta creata l’infrastruttura, configurate le procedure e ottimizzato il sistema, allora – come avvenuto in Austria – si sarebbe potuto chiedere loro di cambiare, abituarsi a non vendere più software e a ragionare più da system integrator, da gestore di servizi.

Si può parlare quindi di ‘concorso di colpa’: il dialogo è mancato dall’inizio e c’è stata una sottovalutazione della complessità dell’operazione.

Perché, poi, non si è pensato di offrire un’alternativa, sul modello di quanto è stato fatto con lo sportello unico delle imprese? In quel caso, lo Stato ha deciso di investire su una piattaforma telematica delle camere di commercio, imponendo un termine di legge entro il quale sviluppare un proprio gestionale oppure passare obbligatoriamente con la piattaforma della camera di commercio. Senza altra scelta. Questo è un atteggiamento corretto dal punto di vista strategico perché impone una scadenza entro la quale attrezzarsi, ma anche un’alternativa.

Invece, a livello di anagrafe nazionale questo “spauracchio” non c’è stato, anche perché la web application non è mai partita con tutte le funzioni necessarie: si tratta, come ribadito anche in audizione, di una soluzione assolutamente non di qualità rispetto alla qualità che almeno i fornitori sul mercato da trent’anni hanno sviluppato.

La navigazione della web application è impresentabile rispetto ai software già utilizzati, come abbiamo fatto presente anche ai rappresentanti del ministero dell’interno e come hanno avuto modo di vedere anche il Team Digitale e AgID.

Mancano poi delle funzioni fondamentali: non c’è, ad esempio, un sistema di contabilizzazione della produzione di certificati, il che vuol dire che alla fine della giornata bisogna fare la contabilità di cassa a mano. Un passo indietro di 20 anni, quando invece per creare un’infrastruttura come ANPR bisognava partire dal più alto livello di qualità presente sul territorio. E questo senza contare che i Comuni di Cesena e Bagnacavallo hanno mandato le prime relazioni con le migliore che da apportare alla web application già a dicembre 2015, due settimane dopo aver completato il pre-subentro. Rilievi che al momento non sono stati purtroppo implementati.

Mancanza di budget? Volontà di “‘rispettare” il mercato?

Quale che sia la causa di questa miopia, quel che è certo è che è mancata una visione strategica di lungo periodo: perché, ad esempio, e questo lo abbiamo ribadito anche in audizione, non si è pensato a sviluppare dei servizi online, come il rilascio dei certificati a livello nazionale, con timbro, e magari collegarlo con SPID e PagoPA? Al momento, infatti, ANPR non prevede servizi online mentre in questo modo si sarebbe senz’altro accelerato l’ingresso dei Comuni che avrebbero così potuto anche mettere a disposizione dei cittadini una serie di servizi online che da soli non avrebbero potuto realizzare.

Perché, poi, non si è pensato di coinvolgere i fornitori già attivi, o quanto meno un gruppo di queste aziende, garantendo loro un prosieguo delle attività nell’assistenza post-subentro una volta completato l’ingresso di tutti i comuni in ANPR?

Il tutto mentre molti comuni offrono già servizi online performanti ai cittadini – Cesena, ad esempio, fa 6 mila certificati online da casa, self service ai cittadini ogni anno, su 12 mila allo sportello – e molti di questi enti avrebbero potuto dare un contributo importante, a fronte di molti altri che hanno invece bisogno di essere accompagnati nel processo di subentro.

Da persona pragmatica non posso che concludere sottolineando che un progetto complesso come questo può funzionare solo se tutte le parti coinvolte hanno un guadagno da quel progetto. Si capisce quale sia il guadagno di Sogei e quello del sistema-Paese. Ma i comuni cosa ci guadagnano? Ricordiamo infatti che dei 18 milioni di euro stanziati, neanche un centesimo è andato ai Comuni: non c’è una norma che preveda alcun tipo di semplificazione per i Comuni che subentrano, anche semplicemente a livello burocratico o amministrativo. Al momento, insomma, si è data la colpa ai comuni dei ritardi di ANPR, quando i comuni sono gli unici che pagano e ora dovranno accollarsi anche il supporto per la migrazione dei dati in ANPR oltre che fare un lavoro enorme di bonifica dei dati.

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