Il Comune di Bagnacavallo (Ravenna) in questi giorni è stato il primo ora a collegarsi a ANPR, avendo finito la fase di test. Poi toccherà a Modena. Ma non sarà facile andare avanti, perché i Comuni si sentono abbandonati a sé stessi, come scoperto dall’Osservatorio eGovernment della School of Management del Politecnico di Milano.
L’indagine, in merito all’ANPR, è stata elaborata sulla base del caso studio di Anzola dell’Emilia che è uno dei 20 Comuni che si sono candidati come sperimentatori della nuova Anagrafe nazionale. All’indagine hanno partecipato 1.030 Comuni (su un totale ci circa 8.000) che hanno innanzitutto risposto sullo stato di attuazione di alcuni passaggi prodromici al subentro. In particolare è stato chiesto se il Comune avesse già realizzato il censimento della toponomastica, vie e numeri civici, richiesto dall’Agenzia delle Entrate nel 2014 (ha risposto positivamente il 70% dei rispondenti) e se fosse stata avviata la risoluzione delle anomalie della propria banca dati anagrafica con INA-SAIA e con SIATEL (Agenzia delle Entrate), come indicato dalla circolare 5/2015 (ha risposto positivamente il 54% dei rispondenti).
Si è quindi chiesto ai Comuni di indicare il grado di percezione circa l’efficacia delle modalità comunicative che il mondo associazionistico e gli enti sovraordinati preposti hanno attivato sul tema Anagrafe della Popolazione Residente e in questo caso, solamente il 4% dei rispondenti le ha ritenute efficaci. Il supporto, invece, che vorrebbero ricevere dai soggetti istituzionali coinvolti nell’iniziativa è prevalentemente di tipo formativo.
È su questi ultimi dati che è opportuno rivolgere maggior attenzione, dal momento che il progetto ANPR coinvolge tutti i Comuni italiani, e quindi è particolarmente “invasivo” rispetto alla gestione amministrativa delle anagrafi comunali direttamente, e indirettamente della vita dei cittadini.
Può ritenersi ormai consolidato il concetto che dietro ad ogni cambiamento e innovazione ci deve essere non solo un progetto ma anche e soprattutto un processo di coinvolgimento degli attori interessati, e soprattutto degli “stakeholder”: in breve, la chiave del successo del progetto è sì nella soluzione tecnologica adottata, ma anche e soprattutto collegata a quanto e come il cambiamento viene condiviso e partecipato con gli attori e beneficiari del progetto stesso.
Dai risultati dell’indagine, è evidente che i Comuni non sono soddisfatti dell’attività comunicativa così come è stata fatta fino ad ora, e richiedono più “attenzione” nei loro confronti, anche dal punto di vista della partecipazione al progetto.
L’ascolto del “cliente” è un aspetto che non bisognerebbe mai dimenticare, perché ascoltando si possono ottenere tanti vantaggi, e il tempo speso in questa attività non è mai “tempo perso”; infatti, con l’ascolto:
- Si ottiene partecipazione e quindi condivisione;
- Si risponde alle “lamentele”, magari aggiustando il tiro e quindi aiutando a raggiungere l’obiettivo con più precisione, ed evitando errori futuri;
- Si valutano i suggerimenti, migliorando la soluzione inizialmente pensata.
Queste logiche, che cominciano ad entrare nel vocabolario degli amministratori pubblici grazie ai dibattiti sui temi dell’“open government” o dell’”e-participation”, sembrano essere ancora del tutto avulse dalle modalità con cui viene oggi gestita l’innovazione nella PA: decisa più o meno autonomamente a livello centrale, comunicata tramite decreti e norme, subita dagli Enti Locali che si devono attrezzare per attuarla con le proprie risorse nei tempi da altri definiti.
Prendendo spunto da un articolo pubblicato recentemente – sul tema dell’innovazione “agile” nella PA – è assolutamente condivisibile l’affermazione secondo cui “Non possiamo però dare per assunto che la macchina pubblica sia semplicemente “vecchia” o “sbagliata”. Al contrario, è stata progettata per essere “giusta”, cioè per fare scelte trasparenti, accountable, stabili nel tempo, figlie del lungo e tribolato dibattito democratico e del coinvolgimento attivo di tutti gli stakeholders, nonché rappresentative anche delle minoranze.”
Un progetto come ANPR richiede una grande condivisione di obiettivi, strumenti e modalità tra tutti gli attori, cercando di soddisfare le esigenze di tutti – che in ultima istanza sono soprattutto quelle dei cittadini – oltre che degli operatori: prendendo spunto da un’immagine è come una lunga marcia, in cui tutti debbono seguire lo stesso percorso con lo stesso passo, evitando che qualcuno rimanga indietro e cercando di arrivare tutti alla meta.
Proprio per tutto ciò, è necessario prevedere in questo progetto momenti forti di ascolto che facciano emergere dubbi e problemi: è vero che occorre tempo, ma il tempo impiegato è sicuramente meno del tempo che si dovrebbe impegnare in momenti successivi a cercare di risolvere problemi non sufficientemente valutati prima. Basti pensare allo Sportello Unico delle Attività Produttive che ormai ha compiuto la maggiore età ma che ancora fatica a raggiungere gli obiettivi per cui è stato creato per legge nel 1998.