In attesa della prossima pubblicazione del rapporto DESI (Digital Economy and Society Index) 2019, da cui non ci attendiamo molte sorprese, anche sulla base delle rilevazioni degli indicatori di base già pubblicati da Eurostat, un approfondimento necessario è quello relativo al tema alla strategia per l’effettivo dispiegamento della “trasformazione digitale” nelle diverse articolazioni della pubblica amministrazione, tra i principali obiettivi del Piano Triennale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione (PA).
Governance territoriale e pervasività del digitale
Questo tema si situa al livello della governance non solo in ambito di “strategia digitale”, ma di governance complessiva del territorio, per il semplice motivo che non è pensabile alcuno sviluppo economico e sociale e nessuna azione pubblica che non parta dalla consapevolezza della pervasività del digitale. Condizione di contesto, non scelta. Semmai, opportunità. Come più volte ribadito durante diversi convegni del recente Forum PA, è una consapevolezza che porta a ritenere obsoleto il termine “PA digitale” e anzi dannoso, perché perpetra l’idea che possa esserci una PA non digitale (come rilevato già tempo fa), e che il focus debba essere il digitale e non il cambiamento da produrre per realizzarne la missione cittadino-centrica come ribadito anche recentemente dal commissario straordinario Luca Attias.
Le indicazioni, le piattaforme, le guide e i kit per supportare un comune verso l’erogazione di servizi digitali ci sono tutti, ma è necessario che sia chiara e bene definita la governance che può consentire un dispiegamento efficace sugli 8mila comuni italiani, che sappiamo con caratteristiche troppo diverse per essere pensate come un attore indistinto.
Da qui, uno spunto interessante da cui partire lo ha proposto di recente Giovanni Vetritto , ponendo tra l’altro alcune domande (retoriche) utili al nostro discorso:
“Possibile che nessuno si sia ancora chiesto se i 6 milioni di abitanti della conurbazione di Roma, per fare un solo esempio, debbano essere “serviti” tecnologicamente da ciascun Comune dell’area (sono in tutto 121, molti minuscoli), o se non sia meglio “devolvere” il deployment dei servizi tecnologici al contenitore più ampio? Possibilmente con una visione di policy unitaria da Reggio Calabria a Venezia?
E correlativamente, pensando a province difficili come Cuneo (più di 200 Comuni, quasi tutti montani) sarebbe stato proprio superfluo dare almeno una indicazione di massima sulla opportunità di continuare nella frammentazione tecnologica attuale o usare la provincia come più potente veicolo di efficienza scalare?”
Il tema della governance, e quindi una delle conseguenze attese, come il passaggio dalla realizzazione delle condizioni della trasformazione digitale (in termini di piattaforme abilitanti, strumenti e strutture di supporto, metodi, ..) al suo effettivo dispiegamento su tutte le amministrazioni, tenendo conto della loro articolata diversità, è tra l’altro ben sottolineato tra gli obiettivi del Piano: “definire il modello di dispiegamento che tenga conto dei differenti livelli istituzionali coinvolti (amministrazioni centrali, locali e altre PA) in modo da garantire la più ampia partecipazione e condivisione possibile per l’intero processo (Multilevel Governance Deployment Model)”. Ed è altrettanto evidente che sono necessari interventi profondi, anche a livello normativo (pensiamo ad esempio all’irrisolta questione delle funzioni delle ex-province e degli enti delle città metropolitane, o al caso di Roma Capitale, di fatto considerata, sia negli adempimenti che nella distribuzione delle risorse, a partire da quelle europee, al pari degli altri comuni della sua regione).
La condizione necessaria per il cambiamento sui territori
Non a caso nel Piano si precisa che “Sul tema della governance e del cambiamento culturale da attuare, non si può che intervenire a normativa e risorse vigenti, progettando in parallelo l’organizzazione che serve e agendo su tutte le leve”. Ed è questo, infatti, il punto sul quale il Piano non può dare una risposta esauriente, potendo soltanto valorizzare e massimizzare l’efficacia dell’organizzazione già definita. D’altro canto, rischia di diventare, come condizione necessaria non soddisfatta, causa “annunciata” del mancato raggiungimento dell’obiettivo. Anche effetto perverso della considerazione ancora diffusa (in gran parte della politica e della dirigenza della macchina amministrativa) della trasformazione digitale come fenomeno di settore.
D’altro canto, mentre si auspica l’avvio di una revisione normativa certamente complessa e dai tempi non brevi, appare improbabile poter procedere con l’attuazione del Piano Triennale ICT senza avviare subito parallelamente il necessario percorso di progettazione e attuazione di una (nuova) governance territoriale.
Sei primi suggerimenti
Riassumerei così (come esempi) alcuni primi suggerimenti di azioni credo necessarie su questo fronte:
avviare un percorso condiviso (tra i diversi livelli della PA) di definizione della governance territoriale (in ambito di trasformazione digitale delle PA), utilizzando le vie tracciate dal CAD (ad esempio con gruppi di lavoro interni alla Conferenza Unificata). Con obiettivi e tempi ben definiti e chiari. Le analisi sono già a disposizione grazie ai numerosi dossier realizzati negli ultimi anni in ambito di Affari Regionali e Politiche per la Coesione Territoriale;
muovere la definizione della governance territoriale a partire dalle logiche delle aree urbane (e rurali) funzionali (FUA), sul solco del principio della semplificazione e dell’utilità delle aggregazioni e della distribuzione delle competenze. Questo significa diversificare, quindi, l’approccio rispetto agli enti locali e anche il loro rapporto verso le Regioni, tenendo conto della Strategia Nazionale delle aree interne e basandosi sulle logiche che già sono espresse nel Piano rispetto all’identificazione degli Smart Landscape. Applicare in modo omogeneo il concetto di FUA sia per la governance sull’attuazione del Piano Triennale ICT sia per le politiche di Smart Landscape/City significa infatti posizionarsi su una prospettiva di cambiamento e innovazione anche di medio-lungo termine;
individuare i “soggetti aggregatori” a partire dal concetto di FUA (naturalmente considerando il corrispondente concetto di connessione rurale) assegnando tale ruolo alle città e ai comuni aggregatori, anche con il compito di coordinamento e guida, con le Regioni dedicate a fondamentali compiti di sussidiarietà e coordinamento tra le aree funzionali, soprattutto per le aree non metropolitane (con popolazione inferiore ai 500mila abitanti);
assicurare la presenza diretta dei capoluoghi delle città metropolitane al tavolo di confronto europeo per la definizione di politiche di trasformazione digitale delle città e degli ambiti metropolitani (anche in vista della nuova programmazione europea 2021-2027 e non solo con strumenti come il PON Metro), con una correlazione dinamica che consenta di orientare le iniziative nazionali e locali in stretta sinergia, e anche con geometrie di attuazione diversa. In questo, è utile sviluppare la riflessione del Lisbon Council, in una logica che riconosce il ruolo propulsivo delle città metropolitane non subordinato al livello regionale e posiziona in un unico disegno organico Regioni, Province Autonome, società in-house ICT, capoluoghi di città metropolitane, capoluoghi di aree vaste rapportando tutto al livello centrale;
ridefinire il ruolo delle società ICT pubbliche in-house in una logica nazionale, ad esempio attraverso un “modello a rete”, con la trasformazione delle in-house IT in agenzie regionali o inter-regionali in modo da renderle chiaramente “braccio operativo” di AgID sul territorio a supporto delle realtà territoriali e soprattutto dei soggetti aggregatori, mettendo più facilmente e più rapidamente a fattor comune le esperienze e le energie delle realtà regionali e comunali;
chiarire (nel concreto, rispetto alle azioni del Piano Triennale) il ruolo reciproco tra capoluoghi di città metropolitane ed enti “città metropolitane”, oppure il ruolo dei capoluoghi di “area vasta”, evitando di rimanere impantanati nelle paludi di una riforma normativa incompiuta e valorizzando le capacità specifiche sviluppate. Ad esempio, affidando agli enti Città Metropolitane il dispiegamento dei servizi e alla costruzione di reti di relazione verso i comuni dell’area metropolitana e ai capoluoghi la progettazione, la realizzazione e la gestione dei progetti infrastrutturali e di servizi digitali, oltre che, di conseguenza, di coordinamento sul Piano Triennale dell’ambito metropolitano.
Trasformazione digitale e sviluppo sostenibile
L’abilitazione del livello realizzativo del Piano Triennale ICT della PA sui territori è la condizione necessaria per ottenere risultati concreti e tangibili che possano essere evidenti nelle performance nazionali economiche e sui servizi della PA.
L’auspicio è che si sviluppi una nuova governance della trasformazione digitale della PA nella consapevolezza che questa deve collocarsi nella prospettiva più ampia del futuro “smart” dei nostri territori e delle nostre città, con una PA aperta e ambiziosa, attenta alle esigenze sempre più elevate di un contesto che cambia rapidamente. Con la capacità di perseguire la realizzazione di un modello di sviluppo sostenibile (un tema che sempre più finalmente guadagna adeguata rilevanza), scopo principale della trasformazione digitale.