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Interoperabilità delle banche dati pubbliche, così vengono calpestati i nostri diritti

L’interoperabilità fra le banche dati pubbliche è essenziale non solo per l’equità, ma per uno stato di diritto verso i cittadini onesti e “visibili”. Eppure, nonostante i proclami, siamo ancora molto lontani dal rispetto di principi fondamentali quali “once only” e “interoperabilità by design”

Pubblicato il 07 Apr 2022

Patrizia Saggini

avvocata, esperta di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione

Andrea Tironi

Project Manager - Digital Transformation

data-protection

L’articolo 60 del CAD sancisce che esistono delle banche dati di interesse nazionale i cui dati devono essere resi fruibili alle pubbliche amministrazioni da parte delle amministrazioni loro custodi e responsabili, nell’ottica del principio “once only”.

Eppure, siamo ancora molto lontani da questo obiettivo e dal principio di “interoperabilità by design”, col risultato che i “buchi” (di dati) continuano ad essere “tappati” dai pazienti cittadini e che questi ultimi, soprattutto quando sono del tutto “visibili” al Fisco, siano penalizzati invece.

Banche dati fiscali, quanti problemi: interoperabilità e once only, a che punto siamo

Quali sono le banche dati di interesse nazionale

Vediamo nei prossimi passaggi quali sono basi dati di interesse nazionale e di chi sono le competenze, focalizzandoci poi sulle basi dati fiscali, visto il particolare accento posto dalla Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria proprio sul tema delle “Digitalizzazione e interoperabilità delle banche dati fiscali”.

Le basi di dati di interesse nazionale sono “basi di dati affidabili, omogenee per tipologia e contenuto, rilevanti per lo svolgimento delle funzioni istituzionali delle Pubbliche amministrazioni e per fini di analisi. Esse costituiscono l’ossatura del patrimonio informativo pubblico, da rendere disponibile a tutte le PA, facilitando lo scambio di dati ed evitando di chiedere più volte la stessa informazione al cittadino o all’impresa”.

Il CAD (art. 60, comma 3-bis) individua le seguenti basi di dati di interesse nazionale:

A queste vanno aggiunte anche le seguenti basi di dati, disciplinate dal contesto normativo del CAD e dal decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179:

Inoltre, lo stesso art. 60 del CAD assegna all’AgID la possibilità di ampliare il precedente elenco. In tale senso, come rappresentato nel Piano triennale, in aggiunta alle basi di dati presenti nei riferimenti normativi sopra citati, sono state finora individuate le seguenti basi di dati (o cataloghi) equiparate:

AgID ha reso disponibili le schede descrittive delle suddette banche dati.

Queste basi di dati dovrebbero essere il cuore dell’accelerazione della PA dei prossimi anni, permettendo alle Amministrazioni di fruire dei dati ivi contenute mediante tecnologie semplici e massive.

I principali fattori di complessità del Fisco italiano

In particolare, ognuna di loro dovrebbe permettere interrogazioni mediante API REST in maniera massiva, per permettere ad altre PA centrali e locali di non richiedere continuamente gli stessi dati ai cittadini. In particolare; focalizzandoci sul Fisco, la Commissione sopra menzionata sottolinea come (vale la pena di riportare dei passaggi per la chiarezza di pensiero mostrata):

Dall’osservatorio privilegiato dei nostri studi professionali è abbastanza agevole riscontrare che i principali fattori di complessità del Fisco italiano sono attualmente costituiti dal numero eccessivo di adempimenti con scadenze ravvicinate, dal proliferare di istruzioni di difficile comprensione emanate in prossimità – se non addirittura dopo – le scadenze di legge, dalle sempre più ricorrenti modifiche delle regole (ancor più accentuata dalla disciplina emergenziale dell’ultimo anno) e dalla reiterazione di richieste di dati già in possesso dell’Amministrazione finanziaria.

La situazione che si è venuta a creare ha raggiunto un livello di guardia tale che, in più di una circostanza, contribuente e professionista, nel loro rapporto con il Fisco e la Pubblica Amministrazione, hanno la sensazione di essere trattati non come cittadini di uno Stato di diritto, ma come partecipanti ad una sorta di “grande fratello” il quale, pur avendo a disposizione dati e informazioni puntuali su qualsiasi aspetto della “vita fiscale” dei contribuenti, è sempre alla ricerca di ulteriori dati da immagazzinare e, ciò nonostante, non è ancora in grado di mettere un freno all’ingente mole dell’evasione tributaria e contributiva, che, come stimato delle statistiche ufficiali, ammonta a quasi 110 miliardi di euro ogni anno.

l nostro auspicio è che la legislazione in materia fiscale torni finalmente a mettere al centro dell’attenzione i principi fondamentali dello Statuto dei diritti del contribuente, in modo da ripristinare il principio di proporzionalità degli adempimenti a carico dei contribuenti e nell’acquisizione dei dati evitando qualsiasi duplicazione nella richiesta di informazioni da inserire nelle diverse banche dati pubbliche.

Principio once only, questo sconosciuto

Occorre dare piena attuazione al principio once only previsto già con la legge n. 241 del 1990 e ribadito, nello specifico ambito tributario, dall’articolo 6, comma 4, della legge n. 212 del 2000 – Statuto dei diritti del Contribuente – secondo cui “Al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell’Amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente” e riaffermato in termini addirittura di divieto a carico dei contribuenti dall’articolo 7, comma 1, lettera f) del decreto-legge n. 70 del 2001, ai sensi del quale “Per ridurre il peso della burocrazia che grava sulle imprese e più in generale sui contribuenti, alla disciplina vigente sono apportate modificazioni così articolate: … f) i contribuenti non devono fornire informazioni che siano già in possesso del Fisco e degli enti previdenziali ovvero che da questi possono essere direttamente acquisite da altre Amministrazioni”.

Nell’ottica di incentivare l’adempimento spontaneo e la compliance vanno altresì ridotte al minimo le asimmetrie informative tra l’Amministrazione finanziaria ed i contribuenti che non sempre hanno il diritto di conoscere quali siano i dati posseduti ed utilizzati dal Fisco, con il risultato di una disparità che contrasta con il principio di trasparenza dell’agire amministrativo. È quest’ultimo un aspetto da non trascurare in quanto la sempre più spinta digitalizzazione e l’interoperabilità delle banche dati fiscali dovrà servire non solo a rendere più efficiente ed efficace l’azione di contrasto all’evasione fiscale, ma anche a “restituire” ai contribuenti una maggiore efficienza ed efficacia dei servizi loro messi a disposizione dall’amministrazione finanziaria centrale e territoriale, una maggiore trasparenza e accessibilità dei dati in attuazione del principio di parità informativa che, come detto, può certamente agevolare anche l’adempimento spontaneo dei contribuenti.

L’interoperabilità per scovare il sommerso

L’interoperabilità può aiutare in particolare a scovare il sommerso, perché il dato va utilizzato e incrociato non solo per trovare anomalie laddove ci sono dati, ma anche laddove l’assenza di dati diventa motivo di sospetto e indagine.

La gravità sociale è massima nei casi in cui l’occultamento dei propri redditi e dei propri patrimoni viene posto a base non soltanto del mancato pagamento delle relative imposte, ma anche dell’accesso a misure assistenziali o comunque a riduzioni tariffarie previste a favore di “chi ha di meno”. La gravità economica è massima nei casi in cui l’occultamento delle basi imponibili consente di svolgere attività economiche praticando sul mercato prezzi più bassi di quelli dei concorrenti che adempiono fedelmente ai propri doveri fiscali.

Occorre quindi lavorare sull’integrazione e la razionalizzazione dell’infrastruttura tecnologica esistente lato fiscale, già oggi molto più avanzata di quella a disposizione della generalità delle pubbliche amministrazioni che hanno come missione quella di “dare” ai cittadini, piuttosto che quella di “chiedere”, in modo da assicurare una loro maggiore interoperabilità al fine di creare efficaci relazioni automatiche nell’aggiornamento dei dati a cascata nei vari database, con lo scopo di migliorare anche gli obiettivi dati agli operatori operanti in ambito di recupero fiscale.

Se, infatti, l’obiettivo principale che viene dato è il gettito e questo obiettivo viene declinato prevedendo che un euro di gettito recuperato presso chi mette in piedi frodi complesse da scoprire e intesta beni a prestanome vale tanto quanto un euro di gettito recuperato presso chi esercita in modo trasparente la propria attività ed è intestatario in modo altrettanto trasparente di conti correnti e beni patrimoniali aggredibili, è del tutto evidente che le “attenzioni di controllo” si concentreranno non dove è più difficile portare a casa il gettito, ma dove è più facile. Si concentreranno, in altre parole, su chi è già “visibile” al Fisco, per chiedergli un “supplemento” di imponibile rispetto a quanto già dichiarato, piuttosto che su chi è sommerso ed è “pessimo cliente” anche quando viene scoperto, in quanto è più difficile riuscire a farlo pagare, rispetto a chi non si organizza per figurare come “nullatenente”.

L’interoperabilità diventa quindi fondamentale non solo per l’equità, ma per uno stato di diritto verso i cittadini onesti e visibili, che meritano di imputare solo i dati necessari, meritano di non dover inserire continuamente gli stessi dati con un rischio sempre più elevato di incongruenze ed errori, meritano – essendo “emersi” – di essere trattati meglio di coloro che sono nel “sommerso”.

Ad oggi essere “emerso” diventa un lavoro, perché il principio “autodichiara il dato” diventa un lavoro, la burocrazia toglie tempo alle proprie imprese e il fisco non facendo parlare le sue 161 basi di dati (fonte Commissione) chiede alle aziende e al contribuente un plus lavoro di inserimento dati in banche dati che progressivamente si disallineano.

Interoperabilità e privacy

Dal punto di vista della privacy, un po’ di tempo fa il Garante ha affermato che “L’utilizzo da parte dell’Agenzia delle Entrate di archivi integrati, sempre più estesi, da una parte può rendere più penetranti e celeri le operazioni, ma dall’altra può compromettere la sfera privata dei contribuenti, specie quando si tratta di informazioni eccedenti le specifiche finalità di verifica.”

Occorre quindi “raggiungere il giusto equilibrio tra il massimo rendimento dell’attività fiscale e la protezione dei dati dei cittadini in una condizione di sinergia, e non di antagonismo, tra Garante e Agenzia delle Entrate.”

I possibili obiettivi

Per evitare i disallineamenti e massimizzare la fruibilità dei dati, gli obiettivi che si potrebbero dare relativamente alle “banche dati di interesse nazionale” e agli “open data” associati, potrebbero essere:

Banche dati di interesse nazionale:

  • ridurre le ridondanze causate da copie asincrone e interventi manuali, favorendo la coerenza e la certezza delle informazioni;
  • agevolare l’accesso ai dati mediante l’implementazione di API, al fine di sfruttare le potenzialità introdotte dall’integrazione delle singole basi di dati, trasformandole in piattaforme abilitanti;
  • usare le basi di dati di interesse nazionale in coordinamento mediante la PDND.

Open Data:

  • identificare le basi di dati che possono essere rese disponibili secondo i principi dell’open data;
  • definire e applicare standard di generazione, aggiornamento e metadatazione delle basi di dati e promuoverne l’adozione da parte delle amministrazioni centrali e locali;
  • aprire le basi di dati secondo un chiaro piano di rilascio, avvalendosi a tal riguardo delle funzionalità rese disponibili in futuro della PDND.

Se quindi anche chi lavora nel mondo del Fisco comincia a farsi queste domande, non è forse ora di fare il salto promuovendo l’interoperabilità e il principio “once only” con incentivi dedicati, oppure con sanzioni per chi non la attua?

Senza disposizioni ed obblighi chiari in tema di interoperabilità, si rischia che questo obiettivo rimanga lettera morta; sarebbe invece necessario arrivare all’interoperabilità “by design”, in quanto pre-requisito di un servizio o banca dati, con tanto di possibilità di intervento e sanzioni da parte del difensore civico digitale, così come avviene ora per alcuni obblighi (ad esempio, per il caso dei pagamenti online con PagoPA).

Nella recente Guida ai diritti di cittadinanza digitale pubblicata da AGID purtroppo non c’è alcuna traccia del principio che tutela il cittadino a non dover dichiarare per l’ennesima volta dati o caricare documenti già in possesso dell’Amministrazione: speriamo che non sia un’altra occasione mancata per il riconoscimento al “diritto all’interoperabilità”, ultimo tassello per un’Amministrazione veramente digitale

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