In un suo recente intervento, il chief data officer del team digitale, Raffaele Lillo, ha parlato – in tema di big data – del “sogno” di far lavorare le pubbliche amministrazioni “in modo integrato, aperto, interoperabile, dallo Stato centrale fino al più piccolo dei comuni”. Cioè del desiderio di far finalmente funzionare la macchina della nostra Pubblica Amministrazione con criteri e caratteristiche che sono propri del mondo aziendale: efficienza, efficacia, ma anche inclusione.
In alte parole, direi che lo sforzo da fare è quello di passare da un insieme di “isole” con proprie norme, propri sistemi, proprie prassi, ad un Unico Sistema Pubblica Amministrazione Italiana, quasi un complesso ma integrato ERP in cui “tutti gli enti immettono in modo sicuro e uniforme i dati in un sistema unico” , con “accesso” controllato e sicuro.
Nel corso degli anni ho avuto modo di collaborare a vario titolo in diversi progetti relativi a Pubblica Amministrazione Centrale e ad enti periferici, quasi sempre per il reengeneering di sistemi informativi/informatici (Ministero della Giustizia, Regione Campania). Posso quindi dire la mia sull’attuale stato dell’arte nel mondo dei Sistemi Informativi, della Gestione Documentale a Norma, dell’affidabilità e della sicurezza e oggi dei Big Data.
Quali sono le criticità? I problemi che per esperienza abbiamo riscontrato, al solito, non sono di natura tecnologica.
Dal punto di vista di un tecnologo, infatti, una federazione di amministrazioni dello stato che garantisca interoperabilità e sicurezza è senza dubbio di fatto alla portata della tecnologia attuale. Con pochi investimenti è possibile ridurre se non azzerare il digital divide tra le varie zone della penisola, ed il gioco è fatto: non esistono reali problemi architetturali, l’infrastruttura può essere disegnata in modo efficace ed efficiente ed implementata in breve tempo.
I problemi con cui ci siamo scontrati, e che senza dubbio si continueranno ad incontrare, sono invece fondamentalmente di due tipi con una conseguenza.
1 – Il primo problema è sempre di processo. Con questo intendo la progettazione e definizione di processi gestionali realistici ed affidabili. Mi chiedo: oggi la PA italiana è pronta a recepirlo? E quanto il legislatore è pronto a far diventare un obbligo la definizione di processi automatizzati/semiautomatizzati ovviamente analizzati e strutturati con chi nel sistema ci lavora?
2 Il secondo problema secondo me è di tipo giuridico. Noi informatici siamo bravi a garantire (davvero) tutta la privacy preservation e la security del mondo: non ci sono ostacoli. E siamo oramai in grado di costruire sistemi di Basi di Dati e/o di Big Data per gestire la mole di informazioni della PA.
Ma alla luce delle più recenti tecnologie ritengo necessario un’evoluzione del CAD anche in termini prescrittivi. Ad esempio, già per fare un anagrafica del cittadino unica valida, ad esempio, per i diversi ministeri (interni, economia e finanze, giustizia) ed enti regionali fino ai piccoli comuni si richiede una revisione normativa adeguata. Il burocrate si difende dietro le leggi: diamogli leggi adeguate. Per questo occorre – da tecnologi – suggerire ai nostri politici una legislazione moderna, semplice, flessibile, non ambigua.
La conseguenza consiste nella formazione delle nuove generazioni della PA. Formazione “vera”, sul campo, con i sistemi e gli strumenti che la generazione “nativa” digitale oramai padroneggia.