il confronto

Bitcoin e Ethereum a confronto: il punto su governance e regolatori

Le differenze di gestione tra Bitcoin e Ethereum fanno del primo un oggetto che i regolatori non possono manipolare, del secondo uno strumento potenzialmente fragile di fronte alla pressione dei regolatori e complicato da inquadrare normativamente. Ecco perché

Pubblicato il 28 Set 2021

Ferdinando Ametrano

AD di CheckSig

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Dopo aver esaminato gli aggiornamenti protocollari di Bitcoin ed Ethereum, analizziamo le loro diverse forme di governance, cioè di gestione, tra criptocrazia e regolatori.

Le differenze tra Bitcoin ed Ethereum

Le differenze tra Bitcoin ed Ethereum si rintracciano subito all’atto di nascita: da una parte lo sconosciuto sviluppatore e crittografo Satoshi Nakamoto che offre al mondo un protocollo funzionante e immediatamente utilizzabile da tutti, dall’altra parte l’Ethereum Foundation di Vitalik Buterin, fondazione svizzera che raccoglie bitcoin in cambio di ether che saranno resi disponibili sulla piattaforma solo quando questa sarà sviluppata.

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Nel caso di Bitcoin, dall’annuncio del 31 ottobre 2008 al rilascio del 3 gennaio 2009 passeranno poco più di due mesi. La piattaforma Ethereum, invece, viene annunciata a cavallo tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, la campagna di finanziamento si svolge nell’estate 2014, il rilascio originariamente promesso entro la fine dell’anno arriva solo il 30 luglio 2015, dopo 18 mesi.

Nakamoto rilascia la sua creatura con la marcatura temporale del 3 gennaio 2009, ottenuta citando all’interno del primo blocco della blockchain il titolo giornalistico della testata The Times: “Chancellor on brink of second bailout for banks”. La citazione dimostra che Nakamoto non ha sfruttato solitariamente e segretamente la piattaforma per accumulare bitcoin prima del 3 gennaio 2009. Ovviamente nel primo anno sarà tra i pochi a utilizzarla e sostenerla con l’attività di mining e per questo accumulerà circa un milione di bitcoin, ma la stessa opportunità è offerta a tutti, senza privilegi speciali per il fondatore. Il quale, peraltro, non ha finora mai speso nulla della fortuna accumulata e, scomparendo dalle scene a metà 2010, sembra averla abbandonata: in molti considerano quei bitcoin persi per sempre.

La Ethereum Foundation punta, invece, sul cosiddetto pre-mine, l’accumulo di ether ottenuto come privilegio del fondatore e dei finanziatori della prima ora, e manterrà sempre la leadership indiscussa e carismatica di Buterin. Fondazione e fondatore sono per questo diventati ricchissimi e restano sempre protagonisti nella gestione del protocollo.

La gestione dei due protocolli

Anche nel mondo Bitcoin, dopo la scomparsa del fondatore, era stato tentato l’esperimento di una fondazione, come voce ufficiale che potesse dialogare con regolatori e governi, gestire lo sviluppo del protocollo e indicare le priorità strategiche. Ma fallisce miseramente perché l’ethos Bitcoin rigetta un governo centrale: in breve la fondazione resta in mano a personaggi senza arte né parte, molti dei quali avranno anche disavventure giudiziarie. Da allora la gestione del protocollo è affidata a un processo informale e dinamico di interazione tra i diversi attori della rete: sviluppatori, minatori, utenti, investitori e industria. Ognuno di loro ha incentivi economici a tratti sinergici, a tratti contrastanti, ma che devono inesorabilmente trovare una composizione affinché l’esperimento Bitcoin possa crescere.

Buterin e i suoi collaboratori stretti detengono, invece, il controllo sostanziale del protocollo. Diventa evidente a tutti col fallimento nel 2016 di DAO, l’esperimento della prima Distributed Autonomous Organization. Si trattava dell’ambizioso lancio di un Venture Capital distribuito, dove i fondi raccolti sono distribuiti tra le start-up secondo criteri rigidamente fissati dal codice di uno smart contract. Contratto non troppo smart, visto che un “imprenditore”, leggendone le “clausole scritte in piccolo”, trova modo di dirottare a suo vantaggio i fondi della DAO. Per bloccarlo, Buterin ed i suoi collaboratori decideranno di cambiare arbitrariamente il protocollo Ethereum per cancellare la transazione incriminata, con spregio totale per l’idea di un libro contabile distribuito e immodificabile.

Questa prassi diventerà la regola: gli aggiornamenti del protocollo Ethereum avverranno senza riguardo alla compatibilità con le applicazioni esistenti sviluppate da altri progetti sulla piattaforma, che in alcuni casi smetteranno di funzionare. I nodi della rete saranno costretti a recepire tempestivamente gli aggiornamenti, pena ritrovarsi su una rete alternativa e secondaria perché senza la benedizione del gruppo dirigente.

Gli aggiornamenti dei protocolli

La fondazione si preoccuperà della comunicazione con una narrativa sempre soavemente amichevole e orientata all’innovazione. Promette dal 2016 un Ethereum che non consumerà più energia, passando da Proof-of-Work a Proof-of-Stake e copre nel frattempo l’incapacità del gruppo di sviluppo in ritardo ormai di cinque anni. Discute dello sharding che dovrebbe permettere a ogni nodo della rete di avere almeno un pezzo della blockchain, invece di doversi fidare ciecamente della storia transazionale validata dagli sviluppatori. Valorizza la flessibilità del protocollo, silenziando l’evidenza di una rete incapace a sostenere il peso degli esperimenti di successo: i crypto-kitties prima, la Decentralized Finance (DeFi) e i Non-fungible Tokens (NFT) oggi, nati sulla rete Ethereum sono costretti a migrare su altre piattaforme, più o meno centralizzate, per sopravvivere o morire appena passa la moda (come le ICO popolari nel 2017-1018).

In Bitcoin ogni aggiornamento deve sempre essere retrocompatibile, senza lasciare indietro nessuno e nessuna applicazione. Ovviamente, questa scelta rallenta i progressi, rendendoli più faticosi, ma più robusti e sostenibili. E soprattutto non danneggia gli interessi economici di chi ha investito nel Bitcoin esistente: il Bitcoin futuro potrà estendere quello attuale, ma non modificarlo. La criptocrazia di Bitcoin è spietatamente meritocratica, intrinsecamente legata all’allineamento degli incentivi economici di mercato, non riconosce leader.

Bitcoin, un oggetto che i regolatori non possono manipolare

Per questo Bitcoin è più resistente di fronte alla possibilità che un regolatore possa imporre modifiche o costringere in una certa direzione. Non c’è un gruppo dirigente che possa essere persuaso o corrotto. Bitcoin è ciò che la maggioranza economicamente significativa dei suoi attori decide che debba essere. Paradossalmente, è comunque più facile da inquadrare nel contesto normativo internazionale: esiste, ad esempio, un contratto futures su Bitcoin, scambiato al Chicago Mercantile Exchange, la storica e prestigiosa borsa mondiale delle materie prime. Anche questa circostanza rafforza l’idea che, più che una valuta, Bitcoin sia una materia prima, equivalente digitale dell’oro. Insomma, la robustezza e semplicità di Bitcoin ne fanno un oggetto che i regolatori non possono manipolare, ma possono inquadrare in maniera tutto sommato semplice. Un oggetto che, a dispetto delle migliaia di cloni, non è stato possibile replicare davvero, per la forza del suo network effect e della subottimalità di tutte le alternative viste finora.

Ethereum fragile di fronte alla pressione dei regolatori

Per Ethereum è tutta un’altra storia: ha nella fondazione un emittente formale ed ha un gruppo informale, ma chiaramente individuato, che ne controlla lo sviluppo. Insomma, sembra più un titolo di investimento che non una materia prima. Inoltre, la sua flessibilità consente la creazione di smart contract che, di volta in volta, possono essere titoli, obbligazioni, beni, impegni, promesse o altro: un bel grattacapo definirne la natura. Insomma, potenzialmente fragile di fronte alla pressione dei regolatori e complicato da inquadrare normativamente. Infine, tutte le funzionalità di Ethereum sono replicabili e replicate da piattaforme equivalenti totalmente centralizzate, come la Binance Smart Chain.

Conclusioni

Il confronto delineato in questi paragrafi potrà sembrare severo o parziale, ma è corroborato da evidenze tecnologiche e di mercato. Ethereum ha avuto dozzine di incidenti tecnici, Bitcoin solo uno nei primi mesi della sua vita. Il mondo della finanza tradizionale e dei grandi capitali ha aperto tra 2020 e 2021 a Bitcoin, mentre l’interesse per Ethereum è secondario.

Qualcuno può immaginare che possano convivere entrambi, ma il circo Ethereum confonde osservatori e regolatori, è il parco giochi di sviluppatori velleitari dove spesso si intrufolano ciarlatani e truffatori: rappresenta per lo scontroso Bitcoin, impegnato nel duro lavoro di rendere sostenibile l’esperimento dell’oro digitale, il fratello dissennato, tanto di successo quanto frivolo e irresponsabile, che rovina la reputazione della famiglia.

Ovviamente il tempo dirà se quanto qui descritto sia un insieme di indizi sostanziali o invece solo evidenze parziali e premature. A ognuno l’arduo compito di comprendere e giudicare.

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