Le elezioni in Italia sono viste come un rito sacro, quasi immutabile. Anche per questo, ogni tentativo di innovare le procedure di voto viene visto con sospetto, come un possibile rischio. Bisogna invece scommettere sull’innovazione, con la blockchain nel voto elettronico (vedi diverso parere, ndr), e aprirsi alle opportunità che le nuove tecnologie sono capaci di produrre.
La blockchain nell’agenda del Paese
Fin dall’inizio il Movimento 5 Stelle ha promosso la diffusione e l’impiego della tecnologia blockchain. Ne abbiamo colto le potenzialità partecipative e inclusive. Abbiamo apprezzato molto il fatto che ogni utente di una catena possa aggiungere un pezzo di informazione e scambiare e generare valore.
Con il Movimento 5 Stelle al governo, la blockchain è entrata finalmente nell’agenda Paese. Una sfida culturale in un Paese che ha abbracciato il cambiamento. Nella nota di Aggiornamento al DEF 2018, infatti, vengono indicati ambiti di applicazione concreti come la riconoscibilità e tracciabilità dei prodotti Made in Italy.
“Elezioni pulite” con la blockchain
Del resto la blockchain sta crescendo anche nella società e non è più limitata solo alla finanza. Professioni come i notai scommettono su moderni sistemi di archiviazione. Sempre più università in Italia adottano progetti per la certificazione dei curricula accademici e per garantire l’autenticità dei certificati europei di laurea, come a Pisa e a Cagliari. Qualcosa si muove anche nella pubblica amministrazione, come dimostra il MEF.
Personalmente credo che le applicazioni di questa tecnologia potranno coinvolgere anche le elezioni. Lo abbiamo chiesto in aula alla Camera nell’ambito della proposta di legge “Elezioni pulite” approvata la scorsa settimana.
Con il nostro atto accolto dal Governo, abbiamo chiesto di avviare la sperimentazione della tecnologia blockchain nei procedimenti elettorali, anche per esprimere il proprio diritto di voto.
Si parte dall’istituzione di un tavolo tecnico di confronto tra il Ministero dell’interno, l’Agenzia per l’Italia Digitale, il Garante per la Protezione dei Dati personali e il Ministero per la Pubblica Amministrazione per l’adozione di linee guida per la sperimentazione. Un lavoro a cui si potrà affiancare il massimo coinvolgimento degli esperti.
Pensiamo che si possa lavorare per inserire in sicurezza il voto a distanza. Lo Stato ha il dovere di proporre una soluzione ai milioni di italiani che non vanno alle urne semplicemente perché lontani dal luogo di residenza.
Dobbiamo decidere se continuare a dare rimborsi per lunghi viaggi o se consentire a studenti o lavoratori di votare nelle città in cui vivono con sistema blockchain, da postazioni pubbliche. Crediamo che quest’innovazione porterà più libertà e partecipazione e meno astensione.
Naturalmente la tecnologia non dovrà intaccare i principi costituzionali. Ogni applicazione dovrà garantire ciò che c’è scritto nella Costituzione e cioè che il voto è libero, uguale, personale e segreto.
I modelli positivi a cui guardare
Bisognerà ovviamente guardare alle esperienze avviate in Giappone e Brasile dove si pensa a una blockchain utile per la democrazia, come il voto in consultazioni pubbliche o la promozione di petizioni. Non potremo poi trascurare le potenzialità della tecnologia blockchain nell’archiviazione e nella trasmissione dei dati.
Il successo di questa innovazione dipenderà, come per ogni altra, dal livello di fiducia generato e dal grado di adesione al cambiamento proposto. Qui si gioca una sfida che ha bisogno di tempi lunghi, ma che bisogna iniziare ad affrontare altrimenti lo Stato rimarrà sempre più arretrato rispetto alla società.
Ci sono modelli positivi a cui guardare. Penso ad esempio all’Estonia, dove il voto online è realtà da quasi 15 anni. Alle elezioni nazionali del 2007 solo il 5,5% dei votanti aveva votato online, mentre alle ultime elezioni nazionali del 2015 questa percentuale è salita al 30,5%. In questo lasso di tempo l’affluenza generale è aumentata di più di due punti (dal 61,9 al 64,2).
Si dirà che sono stati i più giovani a votare online e invece a guardare i dati emerge l’opposto. Alle elezioni locali del 2005 (le prime col voto elettronico) i votanti online under 45 erano circa il 70% sul totale, mentre alle ultime, quelle del 2017, la percentuale è scesa a poco più del 50% ed è cresciuta anche la quota di donne votanti online.
Insomma i benefici sono visibili, la tecnologia ha un impatto enorme sull’inclusione anche a livello democratico, ma serve un investimento in termini di tempo, formazione e informazione.
L’importante è iniziare. Ora una strada è tracciata e bisognerà percorrerla con convinzione. Da qui passa il futuro per un’Italia smart nation.
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