Alla ripresa dei lavori parlamentari e con la formazione del governo, torna con forza il tema della digitalizzazione della PA, che non significa solo semplificazione dei processi ma anche e soprattutto sviluppo economico per il Paese.
Non solo: l’archiviazione e la consultazione dei dati raccolti digitalmente costituiscono “un giacimento petrolifero” enorme a disposizione di chi è in grado di “estrarne valore” attraverso strumenti di data analytics e IA, come afferma Diego Piacentini, commissario governativo all’Agenda Digitale.
Digitale, non disperdere quanto fatto
Per tali ragioni, il primo obiettivo della nuova legislatura in tema di digitale dovrà essere sicuramente il consolidamento di ciò che di buono è stato fatto negli scorsi anni: dall’istituzione dell’Agenda digitale italiana (2012), ai Piani nazionali Banda Ultra Larga e Crescita Digitale (2015), dove sono state identificate le linee di azione, a livello europeo, da realizzare entro il 2020, in linea con l’impostazione del semestre europeo a guida italiana di Matteo Renzi.
Ma ancora: nel 2017 sono stati approvati il Piano triennale per l’informatica nella PA, una prima guida operativa per la trasformazione digitale del Paese, e la riforma del Codice dell’Amministrazione digitale, che prevede, in ogni pubblica amministrazione, l’istituzione del responsabile della transizione digitale.
L’Italia deve diventare un ecosistema digitale e può farlo solo attraverso il coordinamento delle azioni della PA, delle imprese e dei cittadini.
Fino al 2013 fare innovazione non è stato, in termini generali, un punto di forza nazionale e anche oggi, sullo sviluppo delle telecomunicazioni e sulla digitalizzazione dell’economia siamo indietro a gran parte degli altri Paesi Europei.
La collocazione dell’Italia sull’Indice Desi (Digital Economy and Society Index) è infatti nel gruppo dei Paesi più arretrati.
Ci deve confortare però che nel biennio 2013-2015 la tendenza e il margine di crescita che il nostro Paese ha raggiunto è stato di +19,7%, uno dei risultati più alti!
Un lampo di speranza, visto il ritardo accumulato.
Ma è utile capire cosa è veramente accaduto in questi anni, tenuto conto della complessità organizzativa della PA, nella quale un procedimento amministrativo o un servizio possono essere erogati al cittadino attraverso l’interazione di più soggetti: amministrazioni di livello nazionale (Ministeri, Agenzie e Autorità), di livello intermedio e enti strumentali (le (Regioni), amministrazioni di front office (le province, i comuni, i tribunali e le ASL).
Spesa pubblica, digitalizzazione e competenze
Un primo lavoro di screening per capire lo stato dell’arte lo ha svolto la Commissione Parlamentare di Inchiesta sulla Digitalizzazione della PA, che ha indagato sull’effettivo livello di digitalizzazione e innovazione nel settore pubblico del nostro Paese, verificando se le risorse stanziate fossero sufficienti e soprattutto ben spese.
Dei 5,5 miliardi di euro l’anno stanziati per la spesa pubblica digitale, solo il 24% è tracciato, controllato e individuabile, almeno in termini quantitativi, attraverso la stazione appaltante Consip.
Ma il “controllo” non dovrebbe solo individuare gli sprechi: dovrebbe soprattutto valutare la qualità della spesa delle amministrazioni in termini di efficienza del servizio e beneficio per il cittadino.
Uno dei punti di debolezza in questo ambito è rappresentato dalla mancanza di competenze digitali interne alla PA, che impedisce di trattare adeguatamente con i fornitori, di progettare correttamente le soluzioni necessarie, di scrivere bandi di gara che selezionino il prodotto e il servizio più adeguato e, infine, di controllare efficacemente lo sviluppo e la realizzazione delle soluzioni informatiche.
Spesso si portano avanti i progetti, a volte con ritardi inaccettabili, e anche quando sono conclusi sembra che non sia cambiato niente.
Valutazione delle performance, perché cambiare
Serve una rivoluzione copernicana soprattutto nella valutazione delle performance dei servizi delle PA, passando dal mero rapporto committente/fornitore ad una valutazione fondata sulla soddisfazione del consumatore finale, che se fatta oggi con tutta probabilità farebbe emergere uno scarsissimo utilizzo dei servizi on line da parte dei cittadini e ancor più frequenti disservizi, che sono tutti sintomi di una spesa inefficiente.
Quindi, da una parte, visto il ritardo accumulato nel nostro Paese, è auspicabile che la spesa aumenti, ma dall’altra è necessario immettere una massiccia dose di competenze digitali e investimento sul capitale umano nella pubblica amministrazione.
Semplificare prima di investire
L’innovazione della PA passa attraverso processi di semplificazione che devono inevitabilmente essere precedenti all’investimento digitale: bisogna sapere prima cosa serve a semplificare la relazione tra pubblica amministrazione e cittadino, che poi è quello che userà i servizi.
Se si fissa come obiettivo primario questa visione strategica, allora si possono attivare gare funzionali all’obiettivo, altrimenti il rischio è che si avviino procedure per digitalizzare processi che non solo non incidono, ma si vanno a sovrapporre alla realtà esistente.
A cosa serve l’informatica nella PA
Prima ancora di capire come dovrebbe essere fatta e quanto dovrebbe costare, la domanda giusta da porsi è: a cosa serve l’informatica nella pubblica amministrazione?
“Il problema non è tanto la digitalizzazione mancante, quanto il fatto che i processi siano troppo complicati” – per dirla alla Piacentini – “serve la rottura dei silos; oggi non esistono le condizioni tecniche per innovare i processi perché le pubbliche amministrazioni sono dei silos che non parlano e se parlano, parlano attraverso PEC, magari facendo una copia dei dati, invece di condividerli nello stesso posto.”
Un core framework trasversale a tutta la PA
Dobbiamo arrivare a fare nella PA quello che si sta già facendo anche nelle imprese italiane con “Impresa 4.0”: la realizzazione di un core framework trasversale a tutta la pubblica amministrazione, che metta i dati a fattor comune.
Infine, insieme alla semplificazione dei processi, è necessario avviare anche un percorso di digital first.
Perché la fatturazione elettronica è la procedura digitale che funziona meglio?
Perché le aziende sono obbligate a pagare attraverso la transazione digitale senza avere più l’alternativa dell’analogico.
Anche per quanto riguarda le certificazioni e l’utilizzo dello SPID bisognerebbe andare in questa direzione, come è avvenuto con l’applicazione del bonus ai diciottenni, i quali possono accedere al beneficio solo attraverso l’identità digitale di SPID.
Dal punto di vista strategico il percorso della PA digitale è stato dunque già abbastanza scritto: quello che occorre adesso è riuscire a coordinare, implementare e realizzare con determinazione la fase (complessa) di execution.
Bisogna evitare il rischio di accostarsi alla PA come se si fosse all’anno zero ignorando i processi di innovazione già partiti con esperienze anche significative. E’ necessario invece puntare, con piena attuazione del piano triennale sulla digitalizzazione, sugli strumenti già definiti di SPID, Anagrafe Unica e Open Source attraverso i quali consentire di aumentare il valore innovativo del sistema fino al totale switch-off dei processi dall’analogico al digitale.