Per capire quanto sia fondamentale la digitalizzazione e semplificazione della Pubblica Amministrazione è sufficiente un dato: oggi, per far fronte al caro benzina, si chiede un intervento per il taglio delle accise da 20 miliardi. Ebbene, la mancata trasformazione digitale, secondo i dati del Politecnico di Milano, ci costa ogni anno 30 miliardi.
Fa male, dunque, leggere l’indagine conoscitiva ‘Digitalizzazione e interoperabilità delle banche dati fiscali’, approvata dalla commissione parlamentare di Vigilanza sull’anagrafe tributaria, constati che l’elefante burocratico non abbia alcuna intenzione di perdere peso.
Il principio once only tradito
Dietro il principio del “once only” c’è un concetto molto semplice: la Pubblica Amministrazione (Comuni, Regioni, Stato, ospedali, etc…) non deve chiedere al cittadino documenti di cui è già in possesso. Se le banche dati dei vari enti (interoperabilità) non dialogano tra loro, ecco che la Regione chiede al cittadino un certificato di residenza che è presente dei server dei Comuni, ecco che l’Agenzia dell’entrate mi chiederà un documento della Regione e così via. Soldi e tempo buttati via.
Gli enti pubblici non si parlano: vessati cittadini e imprese
La relazione della Vigilanza sostiene che il principio del “once only” sia stato, al momento, ”largamente disatteso, nonostante i reiterati tentativi del legislatore di imporne l’applicazione”.
Il Cad non rispettato
Tra questi tentativi del legislatore figura anche l’ordine del giorno a mia prima firma che la Lega, in occasione dell’approvazione del Decreto “Capienze” a dicembre 2021, aveva fatto approvare per “disciplinare e integrare le piattaforme nazionali per l’erogazione di servizi pubblici online ai cittadini e alle imprese secondo principi di semplificazione, interoperabilità e nel rispetto del principio ‘once only’, utilizzando in particolare l’applicazione «Io» come unico punto di accesso digitale per i servizi pubblici locali e nazionali.
In quel documento si ricordava come il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, «Codice dell’amministrazione digitale» e le successive modifiche e integrazioni promuovesse (sono passati 17 anni!) l’integrazione e l’interoperabilità tra i servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni in modo da garantire a cittadini e imprese il diritto di fruirne in maniera semplice. E poi ancora la Direttiva del Ministro per la Pubblica amministrazione e la semplificazione del 22 dicembre 2011 ha introdotto il principio secondo il quale la pubblica amministrazione non può richiedere al cittadino informazioni già in possesso di un’altra pubblica amministrazione, mentre il Piano Triennale per l’informatica nella Pubblica amministrazione 2020-2022 dell’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) ha ribadito nei principi guida che le pubbliche amministrazioni debbano evitare di chiedere ai cittadini e alle imprese informazioni già fornite.
In questo periodo si parla molto della riforma del catasto, contenuta nell’art. 6 della delega al Governo per la riforma fiscale approvata il 5 ottobre 2021 e anche in questo contesto è forte il richiamo al tema della digitalizzazione e dell’interoperabilità delle banche dati fiscali.
Il richiamo della Commissione di Vigilanza sull’anagrafe tributaria non fa suonare l’allarme solo sullo scambio di dati tra pubblica amministrazione. E’ l’occasione per richiamare l’attenzione alla necessità di una semplificazione nella giungla di piattaforme e applicazioni che non sono pensate in un’ottica integrata e di centralizzazione delle informazioni. La pandemia e la gestione dei green pass, per esempio, ha ben evidenziato le criticità di sistemi scarsamente integrati, che gestiscono in modo duplicato e spesso sovrapposto informazioni, generando inefficienze che si ripercuotono sui cittadini.
In generale, spesso i sistemi della pubblica amministrazione non sono pensati in modo strategico per garantire una gestione rigorosa delle informazioni. Basta andare in uno dei nostri 7.904 Comuni italiani per notare come la stessa informazione sia gestita in modo diverso da un ufficio all’altro: per l’ufficio anagrafe Mario Rossi abita in via Dante Alighieri, mentre per l’ufficio tributi abita in via D. Alighieri. La stessa informazione, scritta in modi diversi, non consente di correlare tra loro le banche dati.
La soluzione è davanti a noi
Abbiamo però davanti a noi un’opportunità unica per risolvere il problema una volta per tutte, rappresentata dal progetto della Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND) che, all’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), vede attribuite risorse per 556 milioni di euro.
Gli obiettivi di questa piattaforma, si legge nel PNRR, sono quelli di rendere possibile l’interoperabilità dei sistemi informativi e delle basi dati delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di servizi pubblici.
Per far questo è però necessario abbandonare una visione di integrazione di banche dati finalizzata esclusivamente all’imposizione fiscale, cosa che abbiamo già avuto modo di criticare nella revisione del catasto, per considerare l’interoperabilità delle banche dati come un diritto del cittadino di dialogare con la pubblica amministrazione in modo sempre più semplice, veloce e sburocratizzato.