digitale e PA

Capitanio (Lega): “Basta carta nella PA. I progetti ci sono, ora passare ai fatti”

Dalla digitalizzazione della tessera elettorale alle Case dei servizi di cittadinanza digitale, passando per la realizzazione di una rete nazionale di spazi di co-working nei capoluoghi di provincia. Sono tanti i progetti che consentiranno di semplificare la PA e digitalizzare il Paese, ma urge renderli concreti

Pubblicato il 21 Lug 2021

Massimiliano Capitanio

Commissario Agcom

pa digitale1

Pubblica amministrazione digitale? Pochi sanno che oggi il certificato di nascita dei millennials viene ancora prodotto utilizzando stampanti ad aghi (sic!) su introvabili fogli A3+ e archiviato in formato cartaceo in Comune e in Prefettura.

Questa assurdità dovrebbe aver fine dal 1 gennaio 2022 grazie a un ordine del giorno fatto approvare dal sottoscritto a settembre del 2020 e in base al successivo Decreto del ministro Lamorgese che aggiornava un regio decreto del 1939.

Basta questo esempio, ma ce ne sarebbero molti altri, per spiegare l’urgenza dell’opera di semplificazione e digitalizzazione della Pubblica Amministrazione a cui sono dedicati spazio e risorse nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. La missione n. 1 del PNRR, denominata Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura, ha come obiettivo generale “l’innovazione del Paese in chiave digitale, grazie alla quale innescare un vero e proprio cambiamento strutturale”. Già il decreto-legge 1° marzo 2021 n. 22, oltre a riordinare le attribuzioni di alcuni ministeri, interveniva anche sulle funzioni del Governo in materia di innovazione tecnologica e transizione digitale prevedendo che il Presidente del Consiglio promuova, indirizzi e coordini l’azione del Governo in diverse materie, tra cui la strategia italiana per la banda ultra larga, la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni e delle imprese, le infrastrutture digitali materiali e immateriali innovazione tecnologica.

DL Semplificazioni e PA: cosa cambia per cittadini e piccoli comuni

La PA deve accompagnare i cittadini nell futuro

Se il nostro non è un Paese digitale e digitalizzato, senza entrare nel merito del ritardo dell’infrastruttura digitale (il piano BUL avrebbe dovuto chiudersi nel 2020), una parte consistente della colpa sta nell’incapacità della Pubblica amministrazione di accompagnare i cittadini nel futuro. A fronte di 60.000 di italiani, solo 22,6 milioni sono in possesso di Spid, il Sistema pubblico di identità digitale che ci consente, con estrema facilità, di accedere ai servizi degli enti locali, al fascicolo sanitario elettronico, al pubblico registro automobilistico oppure a opportunità che dovrebbero “ingolosire” maggiormente come il bonus vacanze, il cashback, il bonus mobilità, eccetera.

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La digitalizzazione dovrebbe essere un istinto naturale, eppure sempre la Lega ha dovuto presentare un ordine del giorno (poi accolto dal Governo) per la digitalizzazione del green pass e per il suo inserimento nell’applicazione IO, l’“unico punto di accesso per interagire in modo semplice e sicuro con i servizi pubblici locali e nazionali”.

Eppure, dal Codice dell’amministrazione digitale (Decreto legislativo 07/03/2005) alle Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale (Legge 11/09/2020, n. 120) ormai il percorso di digitalizzazione della pubblica amministrazione italiana sembrava irreversibile. In mezzo era stata scritta anche la carta della cittadinanza digitale (Legge 07/08/2015, n. 124), che afferma come la pubblica amministrazione debba garantire ai cittadini e alle imprese il diritto di accedere a tutti i dati, i documenti e i servizi di loro interesse in modalità digitale.

Progetti, piani, documenti e anche servizi non mancano. La carta di identità elettronica (CIE), il sistema pubblico di identità digitale (SPID), il sistema dei pagamenti elettronici della pubblica amministrazione (PagoPA) esistono. Ma quanto sono realmente conosciuti e utilizzati in tutte le loro opportunità?

Tessera elettorale digitale, si può fare

In tempi di pandemia, uno degli ostacoli che ha impedito il trasferimento dei seggi elettorali dalle scuole ad altre strutture (oratori, cineteatri, palestre, centri civici) è stata l’impossibilità di stampare le tessere elettorali con l’indicazione della nuova sezione di voto… proprio perché la tessera elettorale è ancora in formato cartaceo (in questi giorni verrà proposto dalla Lega al Governo un ordine del giorno specifico per la digitalizzazione di questo documento). Facciamo almeno questo primo passo. Questo consentirebbe di rendere più semplice il processo di identificazione al seggio da parte del cittadino, di aumentare il rispetto della privacy, di ridurre gli oneri organizzativi ed economici per le amministrazioni locali legati alla produzione e riproduzione della tessera elettorale cartacea. Poi, in futuro, penseremo alla semplificazione del processo di voto sia per quanto riguarda l’e-voting (il voto presso il seggio attraverso delle macchine digitali), sia per quanto riguarda l’i-voting (il voto da remoto attraverso internet). In altri paesi il voto elettronico è già realtà, come per esempio in America, in Estonia e addirittura in alcuni paesi africani come la Namibia e la Sierra Leone, che nel 2018 ha visto la prima votazione al mondo con sistema blockchain.

La consapevolezza che ci sia ancora tanto da fare in materia di digitalizzazione è già un primo passo per rimediare al tanto, troppo tempo perso.

L’articolo 41 del Decreto Semplificazioni introduce un articolato procedimento sanzionatorio per le pubbliche amministrazioni per le violazioni degli obblighi in materia di transizione digitale.

La campagna referendaria sulla giustizia si è portata dietro una importante novità: grazie a un emendamento al Decreto Semplificazioni, il certificato di iscrizione alle liste elettorali, necessario per la sottoscrizione a sostegno di liste di candidati per elezioni politiche, europee o comunali o di referendum e per iniziative legislative popolari ora potrà essere richiesto anche in formato digitale, tramite posta elettronica certificata, con un notevole risparmio di tempo nella raccolta dei documenti.

Le Case dei servizi di cittadinanza digitale

Uno spiraglio di futuro, infine, arriva dal Fondo integrativo al Pnrr. Di particolare interesse è il progetto “Polis” per la realizzazione di Case dei servizi di cittadinanza digitale: 125 milioni per l’anno 2022, 145 milioni per l’anno 2023, 162,62 milioni per l’anno 2024, 245 milioni per l’anno 2025 e 122,38 milioni per l’anno 2026, per un totale di 800 milioni di euro.

Il progetto prevede investimenti complessivi per 1.120 milioni, di cui 320 a carico di Poste Italiane.

“L’obiettivo del Progetto – come si legge nelle schede – è di promuovere la coesione economica, sociale e territoriale in relazione ai piccoli centri urbani e nelle aree interne del Paese, contribuendo al loro rilancio. La prima linea progettuale (costo pari a 1 miliardo di euro) è diretta alla realizzazione di uno “sportello unico” di prossimità che assicuri ai cittadini residenti nei comuni più piccoli la possibilità di fruire di tutti i servizi pubblici, in modalità digitale, per il tramite di un unico punto di accesso alla piattaforma di servizio multicanale di Poste Italiane. Tale Progetto accelererà la trasformazione digitale del settore, dotandolo di un punto di accesso dislocato e sicuro nei territori più difficilmente raggiungibili per la diffusione e la fruibilità dei servizi digitali tra i cittadini superando il digital divide”.

Un progetto di cui, finora, si è parlato poco ma che coinvolgerà infatti 4.800 Uffici Postali in 4.764 Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, nel 100% delle 72 aree interne del Paese. Gli uffici saranno radicalmente trasformati e dotati di una infrastruttura tecnologica e digitale all’avanguardia che abiliti l’automazione dei servizi e la rapida diffusione dei nuovi servizi digitali della PA.

Molto interessante anche la seconda linea di intervento del Progetto (con costi limitati, pari a 120 milioni di euro, in massima parte in capo a Poste italiane) è diretta alla realizzazione della più ampia rete nazionale di spazi di co-working, nei capoluoghi di provincia e in altri centri di medie dimensioni. Si prevede infatti la realizzazione di 250 “Spazi per l’Italia” con oltre 5.000 postazioni di lavoro, spazi di riunione, servizi condivisi, aree dedicate a eventi e formazione.

Sulla carta c’è tutto. Ora bisogna passare ai fatti.

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