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Carta di credito? Roba da boomer. La Gen Z e il successo del “compra ora, paga dopo”

Sta prendendo piede anche in Italia – ma molto meno che negli Usa – il modello del “compra ora, paga dopo”. Come funziona, quali sono i rischi e i vantaggi e perché ha così successo presso la Generazione Z

Pubblicato il 07 Mar 2022

Pierluigi Casolari

founder di Unconventional Road, autore di Startup 3.0, blog su startup, innovazione e web 3.0

e-commerce - recensioni online

Se la carta di credito è l’emblema dei ricchi boomers, il modello “compra ora, pago dopo” è l’emblema della più precaria e flessibile Generazione Z, quella dei nati tra il 1997 e il 2012, i nativi digitali che vanno dai 10 ai 25 anni. Una fascia eterogenea ma caratterizzata da un rapporto completamente diverso con la tecnologia, anche rispetto ai Millennials.

La generazione Z è quella il cui rapporto col mondo finanziario, secondo una recente ricerca di EY, si caratterizza per due grandi novità: la mancanza di fiducia nei sistemi di credito tradizionale, in particolare le carte di credito e la ricerca di esperienze che colleghino le attività finanziarie con attività sociali e di costruzione di community.

“Compra ora, paga dopo”: come cambiano gli acquisti online grazie al Fintech

Compra ora, paga dopo: come funziona

In USA, giganti come Affirm e Afterpay hanno sviluppato il modello già a partire dal 2012. Affirm fondata da Max Levchin, uno dei “cofondatori” di Paypal ha generato oltre 500 milioni di dollari di ricavi nel 2020 e oggi ha accordi esclusivi con Amazon, Walmart e altre centinaia di colossi eCommerce. Il modello è molto semplice: prima di completare il pagamento di un acquisto online, oltre ai soliti “gateway” per pagare con carta di credito, l’utente può scegliere la formula “compra ora, paga dopo”, che sostanzialmente funziona come un sistema di rateizzazione veloce. Grazie a questo sistema di pagamento, la società finanziaria paga subito il negozio, mentre l’utente ha la possibilità di pagare, nel corso dei mesi e in più rate, la società finanziaria. Che si assume il rischio di insolvenza e lo sviluppo della tecnologia che consente di richiedere il pagamento periodico della somma dovuta all’utente finale.

In Italia il modello è stato sviluppato da Scalapay e Soisy. In entrambi i casi, l’utente non paga una commissione alla società intermediaria. È l’eCommerce a pagare una piccola commissione per ogni transazione che viene realizzata attraverso il sistema di rateizzazione.

I clienti di queste piattaforme non sono gli utenti finali. Ma gli store online, che grazie a queste piattaforme possono intercettare la clientela della Generazione Z, che ha poca liquidità, non riesce a risparmiare e non riuscirebbe a fare acquisti con un prezzo del carrello elevato.

La formula del social lending

Soisy ha perfezionato ulteriormente questo modello, integrandolo con la formula del social lending. Gli acquisti degli utenti vengono finanziati da altri utenti, in cambio di una promessa di rendimento sul rimborso del finanziamento. Soisy si assume i rischi finanziari delle rate non pagate dagli utenti. Ma per ridurre il rischio, ha sviluppato un algoritmo che permette di valutare la capacità di solvenza dell’utente in pochi minuti.

I fattori alla base del successo dei nuovi modelli

La forza di questi nuovi modelli è che gli oneri della rateizzazione sono a carico dei negozi online, non degli utenti. Il punto di debolezza è invece che necessitano di grandi quantità di liquidità per poter finanziare gli acquisti e di sostenere il rischio di insoluto. Come dimostra la storia recente l’ampliamento del credito al consumo ha un risvolto oscuro, legato all’alto tasso di insolvenza: incentivare il consumo è una ricetta che funziona soltanto se le condizioni economiche sono stabili e di segno positivo.

La sostenibilità dei modelli attuali

In Italia, il modello della rateizzazione online non ha ancora preso piede del tutto. Il popolo italiano è tradizionalmente più risparmiatore che consumatore. Ma i trend di crescita sono evidenti anche in questo settore. La grande domanda è se queste startup una volta cresciute, trovandosi nelle condizioni di dover rendere sostenibile il modello di business chiuderanno i rubinetti, applicando i tassi di interesse dei prestiti anche all’utente finale e trasformando i crediti insolventi in patrimonio, come hanno fatto le banche tradizionali. Il Grande tema è dunque quello della sostenibilità dei modelli attuali, che certamente rappresentano un passo avanti rispetto al modello dei finanziamenti tradizionali. Ma di cui non è ancora chiara la sostenibilità finanziaria.

Il trend delle comunità finanziarie

L’altro grande trend è quello delle comunità finanziarie. Il concetto è tanto ampio quanto eterogeneo. In un certo senso il punto di partenza di questa tendenza è la piattaforma di trading online e-Toro, che permette a chiunque di clonare il portafoglio di investimenti di online trader con maggiore esperienza. Non solo sulla base del tasso di rendimento che i trader esperti possono vantare, ma anche in base al profilo di rischio o al settore di investimento. Sempre di più si cerca nella finanza un’esperienza sociale. E nuovi tipi di community. Il beneficio è per entrambe le parti. Non solo per gli utenti che possono aderire a community finanziarie. Ma anche per le Fintech company quando cercano di costruire community. Nel 2018 Stripe ha acquisito Indie Hacker una comunità online di imprenditori. E nel 2021 l’unicorno Fintech Klarna ha acquisito APPRL, una community e piattaforma per influencer. L’obiettivo è molteplice. Da un lato, in un contesto dove ci sono sempre più competitor, costruire o acquisire community esistenti permette di fidelizzare potenziali clienti. Dall’altro, le Fintech stanno anche sperimentando nuove forme di marketing. E le community rappresentano laboratori perfetti per sviluppare nuove strategie di comunicazione, di produzione di contenuti e di tecniche di marketing.

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