Data breach INPS, click day disastroso del bonus bici, flop all’avvio del Cashback. Cosa sta succedendo al digitale pubblico italiano?
Com’è possibile che si possano inanellare una serie di disfatte di simili proporzioni? Proprio nel tempo del covid-19, quando il digitale è stato usato forse per la prima volta come forte leva di supporto alle famiglie e rilancio dei consumi.
Sono solo alcune delle domande che molti italiani, alle prese con i malfunzionamenti delle piattaforme digitali, si stanno ponendo. E, a giudicare dai commenti al vetriolo che si leggono in rete, non l’hanno presa bene, ed è questo probabilmente il vero problema.
Perché queste iniziative pensate e nate proprio per avvicinare (forzare?) i cittadini agli strumenti eletti dall’attuale corso politico a “pilastri” della strategia per il digitale, stanno invece sortendo l’effetto opposto. Ed i pilastri si sono miseramente mostrati per quello che sono: traballanti simulacri di argilla.
Un vero disastro, non solo di immagine; ci ritroviamo ora con la fiducia dei cittadini ridotta a zero, e ci vorrà del tempo e molto lavoro per riparare ai danni fatti da queste operazioni che non si può non definire sciagurate.
Flop Cashback: cosa è successo?
Partiamo da una doverosa premessa: nel mondo IT, specie a certi livelli, non ci si improvvisa. Ogni azione/iniziativa va preparata, studiata nei dettagli, pianificata con attenzione. Si prova, si riprova, si verificano i requisiti ed i prerequisiti, si disegnano scenari, anche i peggiori, e si studiano le contromosse. Tutto deve funzionare, l’errore non è contemplabile nel digitale perché ogni piccolo errore in un sistema informatico si propaga e amplifica come in una cassa di risonanza e provoca effetti catastrofici.
Specie se si tratta di progetti complessi e rischiosi, più ancora se indirizzati ad un ampio pubblico a cui si sono presentati come cose mirabolanti.
Ma soprattutto, se non si è ragionevolmente certi del risultato, non ci si muove. Meglio accettare i propri limiti che affrontare azioni velleitarie che rischiano di minare la credibilità di un intero settore. Evitare le brutte figure si può!
È molto difficile capire quali siano le ragioni tecniche alla base di questi insuccessi. Sappiamo solo che il collo di bottiglia è stato principalmente SIA (come detto da loro oggi a Repubblica), perché ha sottovalutato il numero di utenti interessati alla misura.
Il fil rouge che accomuna i flop della PA digitale
C’è però un dato che accomuna tutti gli ultimi accadimenti: in tutti i casi i sistemi non hanno retto al carico generato da un picco, più o meno atteso.
L’altra cosa importante da capire è che però ogni volta hanno riguardato piattaforme diverse. Mettendo assieme queste due cose possiamo concludere che si è palesato come in generale, il sistema non sia in grado di reggere carichi/picchi eccezionali.
Il che, in sé, non è una cosa gravissima, se solo si avesse l’umiltà di riconoscerlo e lavorare per porvi rimedio.
D’altronde reggere carichi e picchi del genere non è cosa semplice, non la si può improvvisare. È richiesto un lungo percorso preparatorio che evidentemente ancora non si è concluso.
Non tutti i casi sono uguali
Al di là di queste analogie poi ci sono anche differenze notevoli. Il caso INPS, ad esempio, è in qualche modo meno “grave”, nel senso che ci sono le attenuanti dell’aver agito per necessità in una situazione di emergenza che rendeva indifferibile l’operazione. Il rischio era giustificato e un mezzo fiasco abbastanza prevedibile.
Poi però ci si è voluti giustificare con gli hacker e ignorare il segnale che è emerso forte e chiaro: il sistema non è ancora pronto per certi eventi eccezionali.
Ed è proprio ignorando questi segnali che si è arrivati ai fatti successivi: per questi non c’era necessità o urgenza, sono state operazioni fortemente volute dalla politica che, a quanto pare, non ha voluto sentire ragioni. In altre parole, un harakiri più o meno inconsapevole quanto inconcepibile e grave. Un segno dei nostri tempi ove tutto è votato al marketing.
Una strategia da rivedere, errori da evitare
L’ultimo caso, quello che ha coinvolto IO, è il più paradossale. E le giustificazioni apparse in rete “non ci aspettavamo un picco del genere” più che giustificare non fanno altro che aggravare la situazione perché dimostrano avventatezza ed impreparazione.
Un vero azzardo: perché IO è ancora un embrione sperimentale, mai testato su numeri simili. E un azzardo inutile per giunta, perché per l’operazione Cashback si poteva tranquillamente farne a meno.
E invece si è voluta forzare la mano.
Con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti (andate a vedere il rating della App negli store, per curiosità).
Perché farlo allora? La strategia che ci sta dietro è, anche se non sempre condivisibile – ne avevo giusto scritto qualche giorno fa qui su AgendaDigitale.eu un commento quasi profetico – molto chiara: SPID e IO sono visti come i cardini attorno a cui ruota tutto il digitale pubblico ed è necessario fare di tutto per diffonderli fra i cittadini. Ma siccome sia SPID che IO senza servizi sono delle mere scatole vuote, è necessario “attirare” l’utenza con iniziative mirabolanti.
Lascio a voi giudicare l’assennatezza di una tale strategia, specie in considerazione di quanto si è potuto constatare sul campo: oltre che vuote sono pure fragili, molto fragili!
Sapremo da tutto ciò trarre le opportune conseguenze? Nell’epoca in cui “tutto è inevitabilmente un successo” non ne sono per nulla certo.
Ma se non si vuole ripetere questa tragica sequenza è bene rimettere mano alla strategia, ridefinire le priorità, che non sono solo spingere IO e SPID. Ma soprattutto evitare di perdersi in iniziative difficili da gestire se non si è certi di essere in grado di farlo. La capacità di autovalutazione è uno dei più significativi indicatori della capacità e la competenza di chi governa, così come la capacità di resistere a spinte verso azioni velleitarie