La Fatturazione Elettronica è alle porte. Il rinnovato quadro normativo che regola i modelli di gestione della documentazione fiscale nel formato elettronico è in fase di completamento (il 12 marzo sono state pubblicate in gazzetta le Regole tecniche in materia di sistema di conservazione; ieri è uscita la Circolare interpretativa del Decreto 3 aprile 2013, n.55, in tema di Fatturazione Elettronica verso la PA).
Insomma, quanto largamente annunciato sta effettivamente accadendo: le norme si completano, si semplificano e il quadro di riferimento – che rappresenta un primo serio passo verso la crescita culturale orientata all’innovazione digitale nel nostro Paese – si sta chiaramente componendo come un puzzle sotto i nostri occhi.
Immancabilmente, insieme alle novità che si propongono di cambiare e far cambiare le “annose prassi” nel nostro Paese, si manifestano però anche i dubbi e le perplessità, un po’ troppo spesso, però, condite di diffidenza disfattista. È questo un fenomeno non nuovo nel nostro Paese, che oggi più che mai si direbbe covare un desiderio di cambiamento fortissimo, purtroppo paragonabile alla proverbiale dimensione di scetticismo con cui si cerca di “conservare” la situazione attuale, qualunque essa sia. Le cosiddette “zone di confort”, si sa, sono difficili da abbandonare, in qualsiasi contesto. Che forse la limitata competitività del nostro Paese dipenda anche dalla presenza di un po’ troppe “zone di confort”, tuttavia, non sembra essere una consapevolezza ancora acquisita.
E dunque con sospetto e cinico pessimismo che alcuni accolgono le basi dell’innovazione verso cui il Paese vuole provare ad andare. Ora viene criticato il processo di gestione dell’Indice delle PA (l’IPA, che sarà tassello sostanziale nel buon funzionamento della Fatturazione Elettronica – in quanto consente di indirizzare le Fatture all’ufficio che le deve ricevere e su cui c’è ancora da lavorare), ora viene preso di mira il processo di Conservazione Elettronica definito dalle nuove regole tecniche.
Ma se proviamo ad affrontare questi elementi come fossero naturali complessità che qualsiasi processo di cambiamento comporta, assumendo quindi quella che mi piace considerare una prospettiva corretta e costruttiva, si riesce a osservare uno scenario di riferimento che, tra luci e ombre, sembra assai più nitido di quanto si possa sospettare.
Partiamo dalle basi e cerchiamo di coglierle nella loro vivida dimensione: per la gestione di alcuni documenti fiscali, la carta è moribonda e in alcuni casi è già morta. Per conservare documenti fiscali “cartaceo” e “digitale” sono formati normativamente equiparati. Per la norma italiana, su entrambi i formati è necessario garantire autenticità e integrità. Caratteristiche “nativamente gestibili” nel contesto digitale e particolarmente complesse e costose nel mondo cartaceo. Verrebbe da chiedersi: ma come si fa a garantire autenticità e integrità della carta? La domanda è sbagliata e la risposta non ha senso. La via davvero percorribile è esclusivamente quella digitale. Quindi, la carta – almeno per alcuni documenti fiscalmente rilevanti – è praticamente morta. Tra chi ne piange il lutto e chi ne gioisce, è ragionevole attendersi poca armonia, almeno nel breve periodo, ma tant’è: è opportuno impratichirsi con un nuovo modello di gestione, una nuova “prassi digitale” che svecchierà i processi e magari ispirerà modelli di innovazione suggestivi, ancora più aggressivi e in grado di portare sempre più efficienza. Lo diciamo da anni: la Conservazione Elettronica delle Fatture, rispetto al processo cartaceo, fa risparmiare in media tra circa 1 a 3 euro a fattura. Dato misurato, comprovato e avvalorato sul campo in anni di Ricerche dall’Osservatorio Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione del Politecnico di Milano.
In questo scenario, la Fatturazione Elettronica obbligatoria verso la PA (per ora, dal 6 giugno 2014, delle PA Centrali) rappresenta dunque una via che aiuta ancora di più a “pensare in digitale”. È un’innovazione attesa da tempo (la legge risale al dicembre 2007), annunciata e accompagnata da chi ha scritto le norme a seguito di numerosi e serrati confronti con imprese, PA e associazioni del nostro Paese. E’ anche un’innovazione che segna una separazione netta: tra quanto c’era prima e quanto ci sarà dopo. Per definizione, un processo di cambiamento così forte porta sempre con sé complessità più o meno evidenti o latenti (tra queste, è corretto comprendere la necessità di un Indice PA aggiornato e ben presidiato dalle PA italiane: che in effetti ancora sta completando il suo iter di consolidamento; esattamente come è corretto aspettarsi l’uscita, prima del prossimo 6 giugno, del nuovo DM sugli obblighi fiscali dei documenti informatici sostitutivo dell’ormai obsoleto DM 23.01.2004). Un approccio prudente vorrebbe che queste potenziali criticità venissero affrontate tutte, con la calma dei forti, per predisporre un modello di funzionamento che garantisca che tutto funzioni “come prima”, a partire dal “giorno X”. Ma il “giorno X”, oggi e grazie al cielo, è il 6 giugno 2014. Personalmente temo che tutta questa prudenza il nostro Paese non se la possa più permettere. Serietà, voglia di cambiare, professionalità e l’entusiasmo di chi vuole tornare a crescere non possono essere solo “slogan di facciata”: devono essere il carburante che alimenta in ciascuno di noi il motore del cambiamento che, a partire dalle nostre faccende quotidiane, vogliamo e non possiamo più non volere. O così, oppure accettiamo il solito teatrino: l’avevo detto, si poteva pensare prima, bastavano altri due anni, torniamo alla carta… Ah, no: questo non si può più. Perché la carta – intesa come il supporto storico per documenti fiscalmente rilevanti – ormai non è più contemplabile.
E allora, se la strada del digitale porta benefici, semplifica i processi e rappresenta l’occasione per rivedere prassi anacronistiche e inefficienti, pur con tutte le difficoltà che incontreremo nel transitorio verso la digitalizzazione delle Fatture oggi e dei processi domani… chi ha paura della Fatturazione e della Conservazione Elettronica?