Accompagnare i Comuni nel processo di trasformazione digitale è una necessità da cui non si può prescindere se si vuole chiudere il cerchio dell’innovazione digitale. Bisogna, tuttavia, capire qual è la via più agevole e per questo ho molto riflettuto sul percorso tracciato in un recente articolo di Gianluca Postiglione.
Da tempo, infatti, credo serva “Un patto istituzionale tra i tre livelli della PA per la digital transformation” come lo definisce Postiglione e quindi ho letto con particolare attenzione il suo articolo e vorrei aggiungere il mio punto di vista per quanto riguarda in particolare i tre livelli della PA e i cosiddetti Centri di Competenza, ossia quelle strutture che lavorano sulle strategie della PA centrale, grazie al contesto favorevole creato dalle Regioni, e li applicano nei singoli comuni, trasformandoli in amministrazioni virtuose, in modo da dare un riscontro immediato alle Regioni sulla premiabilità e al Centro sulla strategia.
Fase 1: la PA centrale
Concordo perfettamente sull’impostazione data da Postiglione, secondo cui “La PA centrale detta la strategia e mette a disposizione delle PA regionali linee guida, kit di sviluppo e di design, ambienti di test, API (la fase 1 si può dire di fatto completata allo stato attuale)”.
E’ una cosa che c’è, funziona e sta succedendo da circa 2 (ormai quasi 3 anni). Agid e il Team Digitale insieme hanno creato e stanno dando un’accelerata a questo processo.
Aggiungerei, invece, qualche riflessione alle fasi 2 e 3, facendo un merger con quanto si sta pensando centralmente (relativamente ai Centri di Competenza).
Fase 2: la PA regionale
“Le PA regionali realizzano progetti strategici con gli strumenti messi a disposizione, finanziandoli con i fondi della programmazione unitaria, che sono peraltro perfettamente allineati con gli obiettivi declinati nell’eGovernment Action Plan 2016-2020, e ricorrendo alle numerose convenzioni messe a disposizione da Consip e realizzate in collaborazione con Agid (sulla base di piani dei fabbisogni calati sui fabbisogni reali ed effettivi, con tempi di esecuzione rapidi ed in assenza di rischi di contenzioso)”, scrive Postiglione.
Le Regioni dovrebbero, dal mio punto di vista, farsi tramite della programmazione centrale, dandone continuità sui territori in maniera molto più mirata di quanto possa fare un organismo centrale, “premiando i comportamenti” e non le soluzioni, dando fondi a chi mostra di attivare i servizi. Ad esempio fondi a chi attiva PagoPA e fa transazioni (ad esempio almeno 1 per abitante), a chi sposta i servizi sul cloud (almeno 5), a chi attiva IO per almeno 1 servizio, e cosi via, in un ciclo virtuoso.
Come scegliere cosa premiare? Presto detto: Come far diventare il tuo Comune un’amministrazione virtuosa del digitale”, potrebbe essere una soluzione veloce.
La PA ha la fortuna di avere tramite Agid e il Team Digitale, oltre che grazie al CAD e al Piano Triennale, un Business Plan sui 3-5 anni. E’ una fortuna che ai privati non capita, quindi perché non sfruttare un’occasione così bella in cui si sa sia il percorso sia il risultato che si vuole raggiungere (Fase 1)?
Le Regioni si mantengono vendor neutral e non sono più realizzatori di soluzioni, ma sono veicoli di strategie, non reinventano più la “ruota centrale” ora che ci sono strategie centrali piuttosto corrette e concrete (grazie a TD ed Agid, vedere Fase 1).
Le Regioni non fanno prodotti, ma creano comportamenti virtuosi negli enti del loro territorio, nell’unico modo che funziona: premiare chi ha comportamenti virtuosi.
Le Regioni si occupano del “marketing della digitalizzazione” ovvero dell’alfabetizzazione informatica e digitale degli enti e dei cittadini. C’è poco in corso su questo tema.
Le Regioni potrebbero colmare il gap attuale per cui pochissimi sanno cosa sono SPID, ANPR, pagoPA, etc etc dando fondi per spiegarlo ai cittadini, nelle scuole, alle aziende, alle stesse software house che spesso producono prodotti per la PA senza conoscere l’evoluzione in corso nella PA. Inoltre, potrebbero aiutare a portare la consapevolezza del cambiamento in atto nella PA anche al cittadino, facendo comunicazione, marketing, divulgazione con tutti i mezzi disponibili (app, digitale, carta, stampa, tv locale e nazionale, radio locale e nazionale, programmi specifici e verticali), creando così un cambiamento culturale grazie al quale il cittadino potrà approcciarsi alla PA in maniera prevenuta ma positivamente, come quando va su un servizio come Amazon, e non prevenuta in maniera negativa, come oggi.
In tale modo quando le PA comunali (che vedremo nella fase 3) dovranno fare il loro lavoro, avranno un terreno fertile, dove il vocabolario è condiviso (le parole da usare sono fondamentali per una comunicazione condivisa), dove il cittadino sa di cosa si parla, dove il cambiamento è voluto e non osteggiato (sia dentro che fuori gli enti).
Fase 3: le PA comunali
“Le PA comunali “ereditano” i progetti realizzati dalle PA regionali e li applicano nei singoli territori, supportandoli mediante iniziative di marketing territoriale e prevedendo incentivi materiali ai cittadini digitalmente obbedienti (agevolazioni, riduzioni di aliquote locali etc.)”.
Mi piacerebbe tantissimo che bastasse questo per far attivare servizi e innovazione digitale.
Le PA comunali fanno fatica ad “ereditare” ed ereditare è tipico di un processo con poco sforzo (se non degli avvocati a volte) e grande resa (c’è qualcosa dividere).
I Centri di Competenza
Le PA comunali, ma forse ancora di più i Centri di Competenza, devono “fatica’” come si dice a Napoli, per prendere le strategie, utilizzare (se verrà attuata la fase 2) la fertilizzazione del territorio fatta dalle Regioni, e calare il tutto nella vita quotidiana.
In sostanza le PA locali sono spesso sole perlomeno nella fase 2 e 3 (qualche anno fa lo erano anche nella fase 1, guidate solo da leggi che sentivano lontane, ora fortunatamente la presenza di Agid e del Team Digitale hanno cambiato le cose).
Credo proprio a questo punto subentri la visione del Team Digitale e Agid per creare, come si diceva sopra, i “Centri di competenza” che siano il braccio armato sul territorio che hanno gli strumenti per premiare e la forza di “fare cultura” e del Centro che ha la strategia. Potrebbe bastare un centro di competenza per Regione, quindi regionale? Credo di no, lo sforzo al momento è troppo elevato da compiere per un’unico sistema centrale anche se Regionale.
Spero questa visione possa essere uno spunto di riflessione, derivante dall’esperienza di chi vede queste Fasi dal basso all’alto (dalla 3 alla 1).
Se si devono aiutare i comuni a calare le piattaforme abilitanti nel loro territorio, sapendo che i cittadini le conoscono (e magari le sollecitano) e anche i dipendenti comunali le conoscono (e quindi sono più pronti al cambiamento), tutto diventa più semplice da realizzare.
Non facile, perché i sistemi complessi sono sistemi complessi e non esistono ricette semplici, solo proposte a volte semplici da declinare in soluzioni complesse, ma sicuramente si riducono vincoli e ostacoli.
Ridurre vincoli e ostacoli è proprio il compito di chi “sta sopra”, che sia il proprio capo, la Regione per i Centri di Competenza e gli enti locali, o lo Stato per le Regioni.