Le Piattaforme Abilitanti sono una colonna portante della strategia di trasformazione digitale del Paese e sono descritte al capitolo 4.2 del Piano Triennale:
“Le Piattaforme abilitanti sono soluzioni che offrono funzionalità fondamentali, trasversali e riusabili nei singoli progetti, uniformandone le modalità di erogazione. Esse sollevano le amministrazioni dalla necessità di dover acquistare e/o realizzare funzionalità comuni a più sistemi software, semplificando la progettazione, riducendo i tempi e i costi di realizzazione di nuovi servizi e garantendo maggiore sicurezza informatica. Alcuni esempi rivolti ai cittadini e alle imprese sono i servizi di identificazione, di fatturazione e di pagamento. Altre piattaforme sono rivolte in via principale alla PA ma sono ugualmente abilitanti, come ad esempio l’Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR). In questo modo sarà più facile per le amministrazioni offrire al cittadino e alle imprese un modo uniforme e più semplice di interazione e collaborazione”.
Piattaforma abilitanti, situazione a macchia di leopardo
Una caratteristica fondamentale delle Piattaforme Abilitanti è che, per definizione, hanno impatto positivo sul cittadino solo quando vengono effettivamente adottate nei servizi, i quali vengono principalmente erogati dagli enti sul territorio.
Molte delle metriche che vengono normalmente presentate sono relative a indicatori nazionali come ad esempio il numero di identità SPID rilasciate, il numero di Comuni subentrati in ANPR eccetera. Basta però calcolare gli stessi indicatori su base regionale per rivelare grosse differenze e una situazione sostanzialmente a macchia di leopardo.
Prendere coscienza di quali siano i territori in maggiore affanno è fondamentale per risolvere i nodi che frenano l’attuazione del Piano Triennale.
I dati che seguono sono il risultato di una rilevazione eseguita ad inizio maggio 2018.
CIE, equipaggiata più della metà dei comuni
La distribuzione della nuova CIE richiede un’integrazione nei processi di anagrafe dei Comuni e si realizza quindi Comune per Comune. Ad oggi più della metà dei quasi 8000 Comuni italiani sono già equipaggiati con tutto quanto serve per l’emissione della CIE e il 35% sta già emettendo la nuova carta.
Questa penetrazione, che potrebbe a prima vista sembrare ancora molto parziale, tradotta in milioni di cittadini coperti è in realtà molto migliore, questo perché il piano di dispiegamento ha privilegiato i Comuni più grandi. Nei Comuni che stanno già emettendo la CIE vive infatti ben il 73% della popolazione.
A livello regionale la copertura di popolazione è relativamente uniforme, con valori massimi superiori a 90% in Liguria, Emilia, Toscana, Umbria, Lazio e Puglia. Spiccano invece come casi negativi il Molise e il Trentino Alto-Adige, le uniche due regioni sotto 70%.
Per il Trentino Alto-Adige sappiamo che il problema è principalmente dovuto alla richiesta di avere una CIE in doppia lingua, che è prevista ma non ancora disponibile.
Anpr, ancora all’inizio del processo
Anche per l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente, l’integrazione avviene sui Comuni. A differenza della CIE, qui siamo ancora all’inizio del processo e a inizio maggio, quando è stata eseguita questa analisi, erano subentrati solo 136 Comuni (nota: nel frattempo abbiamo superato quota 200), per una copertura del 3% della popolazione. La situazione è molto diversa a seconda delle Regioni: ad esempio in Emilia Romagna il 10% dei Comuni è già subentrato mentre in Abruzzo, Basilicata, Friuli Venezia-Giulia, Marche, Molise e Valle D’Aosta siamo ancora a zero. Significativo anche il caso dell’Umbria che, grazie al capoluogo Perugia, copre già il 32% della sua popolazione.
Per quanto riguarda i Comuni in fase di pre-subentro, ossia in condizione di completare il subentro nelle prossime settimane, le Regioni più solerti sono il Piemonte (62% dei Comuni), la Valle D’Aosta (88% dei Comuni), e il Molise (64% della popolazione)
PagoPA, il quadro di enti attivati ed enti che transano
Contrariamente a CIE e ANPR, che vanno integrate solo nei Comuni, l’adozione di PagoPA deve avvenire in tutte le PA che hanno bisogno di incassare pagamenti da parte dei cittadini, il che include anche le Amministrazioni Centrali, le Scuole, le Aziende Sanitarie Locali, e tutti gli altri enti.
AgID pubblica un database con un elenco di oltre 23.000 Pubbliche Amministrazioni e, anche se non sappiamo se tutte hanno bisogno di ricevere pagamenti dai cittadini, possiamo immaginare che ciò sia vero almeno per Scuole, Comuni, Federazioni, Ordini Professionali, Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona e Gestori di Pubblici Servizi. Poiché queste categorie da sole rappresentano oltre il 90% degli enti, per semplificare l’analisi ipotizzeremo che tutte le amministrazioni abbiano bisogno di PagoPA.
Alcune di queste amministrazioni sono cosiddette PA Centrali (PAC), ad esempio i Ministeri, gli enti come Inps e Inail, Consip, l’Aci, e ha senso trattarli separatamente per non inquinare la statistica della Regione Lazio (dove praticamente tutti hanno la sede centrale), anche perché questi enti sviluppano al momento il 40% delle transazioni totali di PagoPA.
Fatte queste precisazioni, abbiamo provato a contare il numero di enti che sono integrati con PagoPA da un punto di vista amministrativo e quelli che realizzano veramente transazioni, confrontando questi numeri con il totale delle amministrazioni per ogni Regione.
Nelle PAC gli enti integrati con PagoPa rappresentano il 30% del totale, ma sono molto attivi e ci sono ben 6 PAC che nell’ultimo anno hanno generato ciascuna oltre 100.000 transazioni: Consip, INPS, Ministero della Giustizia, ACI, Agenzia delle Entrate e INAIL. Tra gli enti che mancano all’appello abbiamo soprattutto le federazioni sportive e le casse previdenziali.
Passando alle PAL, con l’eccezione di Trentino Alto Adige, Abruzzo e Molise, tutte le Regioni hanno attivato già oltre il 60% degli enti. La Regione teoricamente più avanti è la Lombardia che arriva all’84%. La situazione è meno rosea se prendiamo le sole PA che hanno generato transazioni e in questo caso abbiamo ben 14 Regioni sotto il 10% e solo il Veneto si spinge oltre il 20%.
Tra le PA che transano, circa il 10% ha fatto una transazione soltanto e quasi la metà ha fatto meno di 10 transazioni, probabilmente frutto di alcuni test. È un peccato perché queste amministrazioni sono tecnicamente pronte e basterebbe poco per una attivazione completa: con ogni probabilità devono solo dire ai cittadini di smettere di pagare con i vecchi metodi.
Se proviamo a contare il totale delle transazioni per abitante generate dalle PA di una Regione abbiamo un altro dato interessante.
Il Veneto e la Lombardia risultano di nuovo Regioni molto attive, rispettivamente con 167 e 114 transazioni per ogni 1000 abitanti, ma ora la Regione in testa è la Liguria con 207 transazioni per ogni 1000 abitanti. Non male anche Piemonte a 123 ed Emilia Romagna a 116. Fanalini di coda sono di nuovo il Trentino Alto Adige e l’Abruzzo, insieme con la Basilicata: tutte e tre sotto 20 transazioni per 1000 abitanti.
Certo, nulla ci assicura che il numero di transazioni per abitante debba essere uniforme tra le varie regioni, in fondo alcune regioni potrebbero avere numeri migliori grazie a politiche di rateizzazione, ad ogni modo ci sembra un indicatore interessante.
SPID, menzione speciale al Suap
Anche SPID, come PagoPA, deve essere integrato da praticamente tutte le PA. Ad oggi tra le PAC solo il 10% sono attive, anche se si tratta certamente di quelle più utili per il cittadino tra cui ad esempio Inps, Inail, Agenzia delle Entrate, ACI, l’Agenzia delle Dogane, la Banca d’Italia, L’Arma dei Carabinieri, la Guardia di Finanza e la maggior parte dei Ministeri.
Una menzione particolare va fatta per il servizio di Sportello Unico delle Attività Produttive (SUAP) che viene erogato da molti Comuni attraverso piattaforme condivise messe a disposizione dal sistema delle Camere di Commercio o dalle Regioni.
La piattaforma fornita attraverso il sistema camerale copre oltre 3500 Comuni ed è particolarmente presente in Basilicata, Veneto, Trentino Alto-Adige, Lombardia e Liguria. Alcune regioni si sono organizzate con una infrastruttura regionale, anch’essa integrata con SPID, ad esempio Emilia Romagna, Toscana, Sardegna, Umbria.
Sommando queste diverse soluzioni i Comuni che offrono il servizio SUAP integrato con SPID sono oltre il 60% del totale. Per i restanti servizi, diversi dal SUAP, la situazione è molto più arretrata: la Regione posizionata meglio è l’Emilia Romagna che ha integrato in SPID il 5% degli enti sul suo territorio mentre Abruzzo e Molise sono a zero.
Piattaforme abilitanti, strada ancora lunga per l’adozione nazionale
I principali enti dell’amministrazione centrale sono già integrati con le Piattaforme Abilitanti, ma la nostra PA è molto frammentata e la strada per l’adozione su tutto il territorio è ancora lunga.
Con alcune eccezioni, la penetrazione sembra più avanzata al nord rispetto al sud anche se la situazione risulta abbastanza variegata.
Laddove i servizi sono erogati tramite piattaforme condivise, è stato possibile ottenere delle accelerazioni (come ad esempio nel caso del SUAP) ma negli altri casi l’adozione è avvenuta a macchia di leopardo, in base alle priorità che ogni amministrazione si è data. Per poter procedere verso l’obiettivo è necessario quindi un lavoro persistente di coordinamento e di accompagnamento e un approccio di condivisione delle esperienze.
È auspicabile che questo tipo di analisi stimoli il confronto, crei un po’ di sana competizione e permetta di far emergere le aree che possono essere prese a modello e quelle che invece maggiormente si gioverebbero di maggiore attenzione.