l'opinione

Cittadinanza digitale: ecco perché non bisogna confonderla coi servizi digitali

La cittadinanza e la democrazia digitale non vanno confusi con i servizi digitali. Un equivoco in cui incorre anche il Piano triennale Agid. Vediamo perché è un errore pericoloso

Pubblicato il 10 Giu 2019

Mario Dal Co

Economista e manager, già direttore dell’Agenzia per l’innovazione

digital-citizenship

Il Piano Triennale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione 2019-2021 presentato da Agid, cade continuamente nell’equivoco di presentare servizi pubblici digitali come democrazia e cittadinanza digitale.

Non c’è dolo, ma si tratta di un’errore. Il Piano triennale, infatti, non c’entra nulla, ma proprio nulla con la democrazia o la cittadinanza digitale: sono anni che si continua a fare confusione tra servizi digitali e cittadinanza o, peggio ancora, democrazia digitale.

Neppure il voto elettronico ha a che fare con la democrazia digitale: infatti nessuno si è mai sognato di chiamare l’attuale democrazia rappresentativa “democrazia cartacea” solo perché le schede sono di carta.

Proviamo, allora, a fare chiarezza.

Cittadinanza e Stato di diritto

Non è solo questione nominalistica e non è questione irrilevante. La cittadinanza distingue il cittadino dal suddito: il primo è titolare di diritti e doveri verso lo Stato, il suddito è solo soggetto al potere dello Stato. Il cittadino esiste quindi solo se intrattiene un rapporto giuridico con lo Stato, tale da non violare i diritti umani: per questo la figura del cittadino è legata in genere all’esistenza di uno Stato di diritto (rule of law direbbero gli anglosassoni) e la cittadinanza si considera piena negli Stati democratici liberali. La cittadinanza non è definita neppure nella Costituzione, dove viene richiamata come intreccio di diritti e doveri del cittadino in un rapporto contrattuale implicito con lo Stato. Poiché il rapporto è implicito, esso è dinamico. La possibilità e il rischio di passare dallo status di cittadino a quello di suddito o di schiavo, è sempre aperta: lo sa la nostra campionessa di salto cui non basta essere nata in Italia e aver battuto tutti i record precedenti per vedersi riconosciuto il titolo. Lo Stato mostra tutto il suo arbitrio verso il suddito.

Servizi digitali e cittadinanza

Ma gli encomiasti del digitale, i cantori di internet come spazio di libertà e gratuità, i profeti della rete come vaso di Pandora capace di portare ogni tipo di beneficio e di superare, per virtù propria, ogni aspetto malevolo e ogni criticità, hanno sempre confuso i servizi digitali, come la carta d’identità digitale, l’anagrafe, il riconoscimento elettronico, la firma digitale etc, con la cittadinanza digitale e la democrazia digitale. Mentre la cittadinanza è un insieme di doveri e diritti scritti nella costituzione e nelle leggi e la democrazia è ancor di più di questo, perché è risultato della partecipazione (rapporto tra rappresentati e rappresentanti) e della conversazione tra i cittadini ovvero del confronto delle idee (dialogo e dibattito tra i cittadini e di questi con partiti e associazioni).

La partecipazione e la conversazione non sono affatto influenzati dai servizi digitali che la pubblica amministrazione ha il dovere di fornire e di fornire a costi bassi, e in modo efficiente (cosa che in Italia non è, se si pensa che la carta di identità elettronica costa di più di quella cartacea, mentre per lo Stato dovrebbe rappresentare una riduzione di costi ed un aumento di efficienza). Esattamente come Trenitalia dovrebbe fornire efficaci strumenti digitali per fare i biglietti quando chiude le biglietterie tradizionali o penalizza i biglietti di carta: per fare un esempio di piccole cose di cui dovrebbero occuparsi l’Autorità per i Trasporti o quella per la Tutela del Consumatore, il biglietto Mestre -Venezia che è come una tratta di metropolitana richiede 10 passaggi alla macchinetta self service che viene usata da decine di milioni di turisti oltre che dai concittadini…Un abuso che richiede una sanzione, ma che non ha che fare con la cittadinanza, bensì con la qualità del servizio.

Democrazia e social network

Con la democrazia, intesa in senso largo, come partecipazione e conversazione, hanno invece molto a che fare i social network, sia perché influiscono in modo pervasivo sui comportamenti e sul dialogo politico sociale, sia perché le aziende che li gestiscono raccolgono dati personali che usano per le attività di pubblicità e che rendono disponibili sia per le forze di sicurezza, sia per la politica. Infatti, anche ammettendo che Google e Facebook non violino la privacy, quando milioni di profili vengono rubati a Facebook, essi divengono disponibili per le attività più disparate dei troll che intendono creare eco chamber o cybercascade al fine di frammentare l’opinione pubblica e orientarla su notizie e interpretazioni che interessano ai loro mandanti.

L’abuso della definizione di cittadinanza digitale e democrazia offusca la rilevanza di questi problemi legati al ruolo dei social network, ovvero, seguendo Shoshana Zuboff (Surveillance Capitalism, NY 2019), nasconde la minaccia alla democrazia rappresentata dall’appropriazione dei nostri dati personali da parte dei giganti del web.

Parlare di cittadinanza digitale scambiandola con i servizi digitali, porta a considerare il problema della democrazia digitale come un problema tecnico, qualcosa che magari funziona male perché la pubblica amministrazione in generale è vecchia, lenta e stupida e questo fatto impoverisce la cittadinanza e quindi la democrazia. Ma non è così.

Il problema è assai più rilevante. La Zuboff dimostra che non solo Trump, con le sue frottole e spacconate online, ma Obama prima di lui, ha usato la rete in modo scientifico per raggiungere e convincere gli elettori indecisi: la sua campagna del 2012, supportata da Eric Schmidt (CEO di Google), conosceva “nel paese ogni singolo elettore indeciso che si potesse convincere a votare Obama, ne conosceva il nome, l’indirizzo, la razza il sesso e il reddito” (Zuboff, p. 123).

Altri contributi importanti (Cass Sunstein, #Republic, il Mulino 2017, Timothy Snyder, La paura e la ragione, Rizzoli 2018) hanno dimostrato come si manipolano le opinioni pubbliche agendo sui social network e come queste attività si configurino come strategie di attacco di guerre, che sono già anche digitali.

Piano triennale e cittadinanza digitale

Nell’errore di presentare servizi pubblici digitali come democrazia e cittadinanza digitale Agid si trova in buona compagnia, dal momento che il legislatore aveva già confuso la revisione del Codice dell’Aministrazione Digitale (le regole per il passaggio dalla carta al digitale nei servizi della pubblica amministrazione) con la Carta della Cittadinanza Digitale (L. 7 agosto 2015, n. 124 art. 1). Il Piano cita numerose volte la cittadinanza digitale annunciando progetti, in genere affidati al Team per la Trasformazione digitale, fautore della “appizzazione” dei servizi, in nome della quale ritiene si debbano aprire agli operatori privati i dati della pubblica amministrazione.

Ma le cose non stanno in questi termini: le amministrazioni devono scambiare i dati rilevanti tra di loro, solo ai fini delle loro attività istituzionali e devono farlo con impegno assoluto di non farseli fregare dai furbacchioni della Silicon Valley o dai perniciosi cantori di Eurasia, il progetto degli amici di Putin che si pone in alternativa all’Unione Europea, attaccando non solo l’Ucraina, ma anche gli altri paesi occidentali con minacciose e destabilizzanti cyberwar.

Per questo bisogna restituire alla pubblica amministrazione il ruolo che le spetta, quello di dare buoni servizi, e smettere di confondere i servizi digitali con la democrazia digitale, che solleva ben altre questioni, che vanno oltre i limiti della pubblica amministrazione e sollevano il tema del funzionamento della democrazia rappresentativa nella sua accezione più alta, quella di democrazia deliberativa. Dall’altro lato, ovvero sul lato dell’utenza, l’accesso ai servizi digitali richiede una preparazione specifica, che forse oggi le scuole non danno a sufficienza, ma che in realtà non si pone per i giovani, ma per gli anziani, e quindi non è risolvibile tramite i programmi scolastici, ma va affrontata in altro modo e con altri strumenti che solo innanzitutto la semplificazione delle procedure e in secondo luogo, per i servizi più complessi, l’introduzione di voucher per i non abbienti per avvalersi di agenzie di servizio private (come quelle per fare la patente o per pagare le tasse).

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