alfabetizzazione digitale

Come convincere la signora Maria a farsi Spid: il problema fondamentale e un’idea

Solo la diffusione di competenze di base e di consapevolezza civica digitale tra tutte le fasce di popolazione può innescare il circolo virtuoso che spinga la PA ad aumentare l’offerta e a migliorare fruibilità ed efficienza dei servizi online. E dovrebbero essere gli enti locali, prima che lo Stato, a educare al digitale

Pubblicato il 18 Apr 2018

Glauco Riem

avvocato in Pordenone, terminalista del CED della Corte di Cassazione

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Quando, dalle pagine di agendadigitale.eu, Giovanni Manca ci ricorda che per lo SPID le norme dicono che il tempo è scaduto, dice una verità. Una verità che alla maggior parte dei giuristi informatici era già, in parte, nota; come del resto si sapeva e si sa, che il Codice dell’Amministrazione digitale è stato e continua ad essere una sorta di deambulatorio libro dei desideri (siamo alla sua sesta versione).

Convincere l’utente comune a farsi SPID

Il problema fondamentale può essere anche posto così: come convincere la Signora Maria a dotarsi dello SPID, a dichiarare il suo domicilio digitale prima che le venga assegnato d’ufficio e ad imparare le nozioni di base per esercitare attivamente (o almeno sufficientemente) la sua Cittadinanza digitale?

A nostro avviso solo una reale diffusione di competenza di base e di consapevolezza civica digitale tra tutte le fasce di popolazione può davvero innescare quel circolo virtuoso che spinga la macchina pubblica ad aumentare l’offerta di servizi online e a migliorarne la fruibilità e l’efficienza e che porti i cittadini ad una solida propensione al loro utilizzo.

E’ impensabile infatti realizzare la rivoluzione digitale senza uno sguardo disincantato alle reali propensioni del popolo italiano che va “digitalizzato” partendo dalle sua caratteristica specifica: quella di riconoscersi prima che nello Stato in un tessuto territoriale più piccolo fatto di comuni, province e regioni. Ideare ed avviare politiche di “educazione” al digitale del cittadino partendo innanzitutto dagli enti territoriali che con la loro caratteristica di prossimità renderebbero possibili scelte aderenti alla peculiarità del territorio amministrato e con la possibilità di un veloce riscontro dei risultati raggiunti.

E solo un’idea: si potrebbe pensare allora di creare una sorta di Soccorso/servizio civico digitale (pubblico) che orienti e supporti i cittadini-utenti verso l’amministrazione digitale (posto che quanto già disponibile sempre non essere sufficiente, vedi numero verde Spid) ricomprendendo in detto orientamento anche coloro che ci amministrano (magari svolto da giovani preparati ed intraprendenti?).

A quanto risulta, i nuovi orientamenti di Agid-Team Digitale Piacentini, sul territorio e lavorando con le PA locali, vanno in una direzione simile. Aspettiamo di vedere i risultati.

Il gap tra norme e realtà

Ma più in generale, onestamente, ci si deve interrogare sui perché nell’Unione Europea e nella maggioranza degli Stati che la compongono, Italia compresa, si continuino a pubblicare norme ragionevoli sui temi della gestione digitale della res publica senza poi venirne mai veramente a capo, se non a distanza di decenni, in un continuo rimando, riedizione e riaggiornamento delle norme in tema.

Nella ridda delle diverse e spesso contrastanti e mutevolissime discussioni, la prima cosa che si sente affermare è quella che, nella pubblica amministrazione, manca la propensione al change management, dichiarazione che sembra voler individuare nella burocrazia la fonte unica di ogni problema, non solo relativa al digitale, nel nostro paese.

Il detto dei francesi, che di rivoluzioni se ne intendevano, afferma che plus ça change, plus c’est la même chose.

Dal CEC-PAC al domicilio digitale

Quando nel 2008, per Giuffrè editore, lavoravamo al Glossario di diritto delle nuove tecnologie e dell’E-Government, a pagina 218, avevamo ipotizzato il lemma Domicilio Virtuale che avrebbe dovuto essere unicamente una “risorsa logica che, nella moderna società dell’informazione, è idonea a sostituire del tutto o in parte, l’attuale istituto giuridico del domicilio” di tal ché, dopo la pubblicazione del glossario e dopo averne parlato in innumerevoli convegni tra Milano e Roma ed anche dopo aver scritto all’allora Ministro per la Pubblica amministrazione e l’Innovazione, nel maggio 2010, fu presentata la CEC-PAC: sorta di posta certificata valida solo nella comunicazione (bidirezionale) fra cittadini e PA.

La cosa non ebbe successo, soprattutto perché i cittadini immediatamente temettero che fosse utile solo all’Amministrazione ai fini delle notifiche delle sanzioni amministrative loro comminate; il cittadino inoltre se aveva qualche pratica da sbrigare si recava ad uno sportello nella convinzione che parlando con un umano avrebbe ottenuto maggiore considerazione che attraverso macchinosi servizi automatizzati fruibili solo on line.

Il domicilio digitale viene riproposto egualmente oggi all’art. 3 bis della novella al CAD e prevede che “chiunque ha facoltà di eleggere il proprio domicilio digitale da iscriversi nell’indice dei domicili digitali delle persone fisiche e degli enti di diritto privato .. “ Ciò chiaramente nell’intento di facilitare la comunicazione tra le pubbliche amministrazioni e cittadini.

La norma tortuosamente afferma inoltre che: (3-bis.) Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, sentiti l’AgID e il Garante per la protezione dei dati personali e acquisito il parere della Conferenza unificata, è stabilita la data a decorrere dalla quale le comunicazioni tra i soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, (v. nota 1) e coloro che non hanno provveduto a eleggere un domicilio digitale ai sensi del comma 1-bis, avvengono esclusivamente in forma elettronica. Con lo stesso decreto sono determinate le modalità con le quali ai predetti soggetti è messo a disposizione un domicilio digitale e sono individuate altre modalità con le quali, per superare il divario digitale, i documenti possono essere consegnati a coloro che non sono in grado di accedere direttamente a un domicilio digitale. Rimandando così, come usualmente avviene, ad ulteriori dettande modalità.

PA digitale, una fotografia precisa dello stato delle cose

Riteniamo, per venirne in parte a capo che, in tema, sia sì necessario illustrare le frequenti novità legislative sulla digitalizzazione della PA, ma che sia anche necessario dedicarsi ad una più attenta lettura delle statistiche che analizzano il comportamento umano e sociale del cittadino/utente che deve affrontare il fenomeno digitale nei suoi molteplici aspetti tecnici e normativi.

Nel fare ciò si dovrà tenere anche presente che la realtà, sempre più spesso, è contaminata da ingannevoli notizie che mutano, a bella posta dei soggetti che le diffondono, la reale percezione, anche statistica, delle cose; l’obiettivo rimane allora quello di avere una fotografia oggettiva dello stato delle cose digitali che possa indicarci poi dei percorsi solutivi.

In punto ci preme subito segnalare, ex multis, il prezioso lavoro di ricerca statistica Internet@Italia – La popolazione italiana e l’uso di Internet svolto dalla Fondazione Ugo Bordoni (a cura di Giacinto Mattarazzo), sulla base dei dati relativi ad indagini Istat (indagine multiscopo “Aspetti della vita quotidiana” anni 2005-2013, e la “Rilevazione sulle ITC nelle imprese anni 2005-2014” ecc.).

Illuminanti appaiono allora, fra le molte altre, le slide alle pagine 19 e seguenti curate, per la Fondazione sopra citata, da Giacinto Matarazzo (si noti l’alta percentuale di non utenti tra gli over 65).

Si potrà sicuramente dire che siamo nel 2018 e che i dati riportati sono più che datati (2013/2014) se, quanto ivi affermato non fosse, in larga parte, recentemente riconfermato dall’indagine Eurostat 2017.

Uso dei servizi digitali e competenze di cittadini e amministratori

Se davvero le difficoltà ivi evidenziate nella diffusione del digitale e dell’uso dei nuovi media, sono imputabili soprattutto ad un problema di approccio culturale, poco possono fare allora le sbandierate politiche di diffusione dell’infrastruttura banda larga o ultra larga, del Wi-Fi ecc. se non sono accompagnate da pianificati programmi informativi e soprattutto formativi, che permettano ai cittadini di acquisire quelle competenze necessarie all’utilizzo dei servizi online messi a disposizione dalla PA e di percepire i vantaggi e le opportunità offerti alla Comunità ed al singolo individuo della rete.

Giustissimo implementare le infrastrutture fisiche e metterle al servizio della collettività non senza però promuovere un reale diritto ad utilizzarle diffondendo conoscenza e consapevolezza.

Da più parti si afferma poi che l’adozione di politiche volte all’espansione della digitalizzazione, sia in termini di implementazione della infrastrutture che di diffusione della competenze e della cultura digitale, ha un’immediata ricaduta sul territorio in termini di crescita economica e occupazionale (ottimizzando competenze e tecnologie, l’economia digitale potrebbe portare ad una crescita potenziale aggiunta del 4,2% sul Pil italiano).

Ed ecco allora che la norma puntualmente ci soccorre affermando, anche nella sesta versione del CAD, che l’adozione di interventi a supporto dell’alfabetizzazione informatica della popolazione sono resi obbligatori a carico degli enti locali dall’ art. 8 del d.Lgs 82/2005 (CAD) che recita: 1. Lo Stato e i soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, promuovono iniziative volte a favorire la diffusione della cultura digitale tra i cittadini con particolare riguardo ai minori e alle categorie a rischio di esclusione, anche al fine di favorire lo sviluppo di competenze di informatica giuridica e l’utilizzo dei servizi digitali delle pubbliche amministrazioni con azioni specifiche e concrete, avvalendosi di un insieme di mezzi diversi fra i quali il servizio radiotelevisivo.”

Stando poi alle ulteriori e diverse statistiche ci si dibatte fra le due ondivaghe ipotesi dominanti che pretendono di spiegare il fenomeno della poca alfabetizzazione informatica imputandone la colpa ora al cittadino ed ora agli operatori della pubblica amministrazione ed alla loro refrattaria e scarsa inclinazione al digitale.

Realizzare allora, in tutta la Pubblica Amministrazione, un sistema informatico e telematico integrato e totale, si manifesta sempre di più come una esigenza primaria non solo per progredire e sburocratizzare l’amministrazione, ma, innanzitutto, per non regredire: questo è anche l’obiettivo voluto dal legislatore che, in punto, ha dettato più norme sui temi della gestione amministrativa automatizzata e della c.d. burocrazia digitale.

Senza l’ausilio del digitale infatti si assisterebbe sempre più ad una massificazione dei rapporti tra Pubblica Amministrazione e amministrato che poco tengono in conto della situazione individuale in cui egli versa, a differenza di altri. Il senso di giustizia amministrativa ci chiama allora a preordinare e favorire un trattamento sempre più individualizzato ed a misura di cittadino/impresa/utente, cioè sempre più aderente alle particolari situazioni nelle quali realmente esso si trovi. Crediamo infatti che solo in tal modo i cittadini italiani potranno avvertire nell’Autorità non un estraneo indifferente, preoccupato soltanto di monitorarli per eventualmente comminare loro delle sanzioni ma, al contrario, un’entità presente e benevola che, nei limiti del lecito e del possibile, li possa sostenere con opportuni interventi personalizzati.

Il digitale e la difficile applicazione delle norme tecnico-giuridiche

Il risultato attuale però è che non si riesce ad avviare un incisivo programma di reale digitalizzazione, perseguendo quel rivoluzionario cambio di mentalità dell’amministrare che permetta di abbandonare progressivamente, ma in modo definitivo, la gestione documentale analogica a favore di quella informatica come da tempo ci preme di fare.

Riteniamo inoltre che uno dei motivi della difficoltà nella realizzazione del digitale in Italia stia ancora nella difficile comprensione ed applicazione delle norme tecnico-giuridiche che sono dettate nel nostro ordinamento.

Per capire il fenomeno è sufficiente dare una scorsa alla numerosità dei glossari che, tra le norme, pretendono di spiegare il fenomeno digitale. Dette regole sono ideate e scritte, per la maggior parte, da esperti e tecnici dell’informatica che – nella difficile arte dello scrivere la legge – sembrano dare per scontata quella conoscenza e dimestichezza che giace nella loro esperienza professionale e che invece spesso è del tutto assente nel funzionario, nel dipendente dell’amministrazione e nel cittadino.

La perentoria affermazione che mette al primo posto l’utilizzo dei sistemi amministrativi digitali (c.d. First Digital) viene allora irrimediabilmente smentita. Ciò confonde gli operatori che credono nel digitale e rimanda sine die l’applicazione delle regole così come variamente postulate; ciò, trasversalmente, costituisce un grave danno anche al processo di trasparenza amministrativa ed a tutta quella minuziosissima serie di regole dettate dalla legge 190/2012 e dall’apparato di ulteriori regole ed indirizzi ANAC in punto.

Il processo di trasparenza che si palesa ai cittadini, attraverso l’utilizzo di Internet e dei siti istituzionali sembra non tenere in alcun conto che molta parte di essi non ha mai ‘navigato’ in Internet e che quindi la trasparenza rimane un’idea solo parzialmente realizzabile.
 Le percentuali del rapporto Eurostat del 2006 vengono infatti largamente riconfermate dall’indagine Eurostat del 2011 ed anche del 2017.

Le indagini riaffermano che circa un terzo della popolazione tra i sedici ed i settantaquattro anni non si è mai collegata ad Internet, anche se sappiamo che, nei rimanenti due terzi, molti utilizzano internet quasi esclusivamente per attività di svago ed inoltre mostrano scarse competenze digitali e sempre più spesso provano un totale disinteresse verso la materia.

Di qui l’idea di un Pronto Soccorso/servizio civico digitale (pubblico) che orienti e supporti i cittadini-utenti verso l’amministrazione digitale. Speriamo a breve: il tempo, come detto, è già scaduto (ma in Italia siamo abituati a inventarci e giocare i “supplementari”).

(Nota 1) Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti i del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, ecc.)

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