Cloud computing: è la buzzword del momento. Non c’è convegno sull’ICT, sull’agenda digitale piuttosto che sull’innovazione nella pubblica amministrazione nel quale non si parli di questo tema. L’Agenzia per l’Italia Digitale ha annunciato un piano ponderoso su questi temi che include capitoli come la razionalizzazione dei CED delle PA, lo sviluppo della cooperazione applicativa, il consolidamento delle basi di dati e dei servizi applicativi. Parafrasando un film di qualche tempo fa, “tutti dicono I love you, cloud”. È vera gloria? Il cloud serve veramente? È realmente una leva sulla quale agire?
Si, certamente.
Al di là delle consuete ed inevitabili esagerazioni retoriche (o interessate), il cloud computing è uno strumento essenziale per innovare il funzionamento delle pubbliche amministrazioni italiane e, più in generale, lo sviluppo del mercato digitale e del paese nel loro complesso.
Perché ciò accada, però, è necessario 1) indirizzare alcuni snodi di fondo, 2) innovare la domanda di ICT e cloud e 3) innovare l’offerta.
Alcuni snodi di fondo: Infrastrtture per la PA e Cloud Computing
- Stiamo veramente razionalizzando le infrastrutture della PA? Alle PA italiane servono veramente 40 CED? Aziende come Google e Apple ne hanno meno. È vero che oggi la PA ha oltre 1000 “luoghi dove si tengono computer”. Ma se vogliamo razionalizzare, non ci conviene farlo sul serio e bene? I soldi li spendiamo in cloud o in edilizia?
- Abbiamo la banda larga a sufficienza e laddove serve? Senza banda larga come può funzionare il cloud? È possibile pensare al cloud computing senza avere la fibra che interconnette la nuvola e i fruitori dei servizi? Stiamo verificando che cloud e PA utenti siano connessi tramite fibra?
- Chi fa la regia centrale? L’assetto che abbiamo oggi è funzionale, oppure rispecchia un sovrapporsi disorganico di interventi puntiformi che cercano con “pecette” varie, dipendenti spesso dal colore politico del proponente, di spostare qualche equilibrio di potere qua e là tra le diverse amministrazioni dello Stato?
- Quali competenze possiamo mettere in gioco? Pensiamo veramente che innovare sia un problema solo giuridico e normativo? Non è che in questi anni chi si è occupato di questi problemi non ne coglieva né le complessità tecniche e progettuali, né le vere opportunità strategiche?
- Una prassi basata su una sovrapposizione caotica di norme, emendamenti e “patch” ci ha portato ad un quadro normativo e giuridico spesso incomprensibile, contraddittorio e nei fatti inefficace. Riusciremo mai a cambiare le modalità secondo le quali strutturiamo le nostre leggi? È proprio impensabile sognare di avere testi unici e comprensibili anche per un comune mortale?
- Come facciamo le regole? Per esempio, abbiamo una molteplicità di carte e strumenti per l’identità digitale perché ci sono regole (magari europee) che ce lo impongono, oppure facciamo le regole così da poter avere più carte e soddisfare l’ambizione di questa o quella amministrazione?
- Come governiamo il rapporto tra autonomia locali e regia centrale? È pensabile che nell’epoca della nuvola ciascuno pensi a curare in modo disorganico e isolato il proprio orticello, difendendolo a spada tratta, incurante dei cambiamenti, dei vincoli e dei bisogni che caratterizzano questi tempi?
- Serve interoperabilità, ma né gli open data né l’SPC così com’è sono adatti e sufficienti. Vogliamo creare un modello di interoperabilità moderno e capace realmente di cogliere lo sviluppo tecnologico e semplificare la vita di chi deve creare applicazioni e servizi?
In altre parole, ci rendiamo conto che l’ICT può dispiegare veramente il suo potenziale solo se “l’insieme delle parti” viene composto in modo razionale ed organico, e solo se introduciamo una reale discontinuità rispetto agli errori del passato, alle inerzie, all’incompetenza e alla conservazione degli interessi esistenti?
Il cambiamento o verrà promosso, gestito e accompagnato, oppure ci travolgerà, in ogni caso. Non illudiamoci di poter andare avanti così.
I problemi della domanda: La PA richiede il Cloud?
- Cloud e ICT non sono commodity. La prassi delle gare al massimo ribasso sta uccidendo le aziende che puntano sulla qualità. Certamente ha senso utilizzare al meglio anche centrali acquisti e procedure digitali. Ma se non introduciamo criteri legati alla qualità e alla responsabilità della stazione appaltante, il procurement puramente orientato al costo porterà ad un progressivo impauperamento del mercato e ad una sempre minore qualità e efficacia delle soluzioni.
- Cloud vuol dire razionalizzare la spesa. È impossibile pensare che facendo cloud e innovazione “i soldi poi comunque li spendiamo come sempre” e quindi ciò che serve per il cloud “devono essere risorse aggiuntive”. L’introduzione del cloud cambia radicalmente il modo secondo il quale le risorse vengono allocate. Certamente, le risorse liberate potranno essere riutilizzate per nuovi investimenti per i quali peraltro si dice che oggi non ci sono le risorse (Perché quindi spendere soldi per “cose vecchie”? Spendiamoli per “cose nuove”!). Certamente non si può continuare a stratificare spese su spese in modo contraddittorio, incoerente e economicamente non sostenibile.
- Cloud vuol dire acquistare in modo responsabile. Utilizzare il cloud vuol dire esternalizzare risorse e informazioni. Ciò può certamente essere fatto, ma la stazione appaltante deve sapere quali sono rischi e precauzioni da tenere presente e, aspetto chiave, deve saper costruire i processi di procurement in modo da prevenire problemi e mettere in campo adeguate misure e strumenti per la gestione dei contratti.
I problemi dell’offerta: esistono soluzioni cloud per pubblica amministrazione?
Le aziende ICT che propongono le soluzioni cloud non possono pensare di vendere solo IAAS e PAAS: le PA hanno bisogno di soluzioni per i loro problemi. Una soluzione è tale se:
- Offre funzioni adatte ai bisogni dell’utenza.
- È possibile gestirne l’utilizzo in modo semplice.
- È affidabile e facilmente integrabile.
Più in generale, le aziende dell’offerta devono aiutare i clienti a crescere; come dicono gli inglesi, è necessario “to train the customer”. Non è utile, nè lungimirante (nè professionale) pensare di “rifilare ai clienti qualcosa”: dobbiamo aiutarli ad avere successo, rendendoli capaci di usare al meglio ciò che viene loro venduto. Altrimenti, è inutile lamentarsi del fatto che il mercato crolla: crolla non solo perché mancano le risorse, ma perché si fa fatica a vedere nella concretezza della quotidianità il beneficio e i risultati degli investimenti fatti.
L’offerta deve farsi carico di questi problemi: il successo non può essere unicamente legato al fatto di “aver portato a casa il contratto”, ma ad un reale e tangibile miglioramento del “cliente”. Saranno capaci le aziende italiane dell’ICT di cogliere questa sfida, guardando non solo alla prossima trimestrale, ma alla costruzione di un mercato sano, che cresce e si sviluppa? Si preoccuperanno di strappare alla concorrenza una fettina di una torta sempre più piccola, o cercheranno di creare delle condizioni strutturali perché la torta cresca? Si limiteranno a chiedere semplicemente “più spesa” oppure diventeranno un attore capace di dare un senso a quella spesa?
Cloud e PA in Sintesi
Tanti dubbi, tante sfide, tante oppurtunità, tanti rischi. Questo è oggi il cloud computing e, in generale, il mercato dell’ICT. Sta a tutti “fare la propria parte” perché gli elementi positivi prevalgano su quelli negativi. Ma soprattutto, sta alla testa pensante, alla politica, alle istituzioni, guidare questo processo con lungimiranza e intelligenza. È un altro di quei casi dove populismo, faciloneria, incompentenza e chiacchiere non ci porterebbero da nessuna parte. O meglio, ci portano esattamente dove siamo adesso.
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