La musica ritmava attenta. Ondeggiavano le spalle. Fendevano le ginocchia. Falcavano i piedi. Poetizzavano i fianchi. Sinuavano i colli. Conversavano le mani. Sciabolavano gli occhi. Fantasticavano i capelli. La musica percuoteva abile. Le 17 e 31 e le indossatrici fiumeggiavano sulla passerella d’antico palquet. Ogni spettatrice presente ancheggiava dentro la propria avatar-io-modella. Ogni avatar-io-modella si nutriva del proprio passerellare in sfilata. Se ne cibava per la propria sopravvivenza. La musica cadenzava consapevole. Le 17 e 32 e le gonne planavano inquiete. Le giacche fasciavano turbate. I cappelli intuivano spossati. L’asta rotolava le cifre. Le spettatrici nei continenti e nelle colonie astrali seguivano l’Evento Duplicato Perfetto. La musica avvolgeva distratta. Le 17 e 33 e gli abiti delle avatar-io-modelle mutavano ad ogni pensiero delle astanti paganti. La pioggia simulava la pioggia sferzante. Il vento soffiava il vento avvolgente. Il sole bruciava il sole bollente. I vestiti cambiavano all’istante. Ad ogni mutazione d’intemperie. Poi ogni giacchetta, pantalone, camicia, reggiseno si svuotò. Ogni avatar-io-modella svanì nel nulla. Ogni capo si afflosciò a terra. Ogni spettatrice si accasciò nel dolore. La musica perseverava allibita. Alle 17 e 33 minuti e 33 secondi il Grande Ictus Mnemonico aveva colpito tutta la galassia, aveva staccato le memorie personali, oggettuali e ambientali. Ogni umano era rimasto senza memorie connesse. Ogni umanide era azzerato della memoria storica. Ogni avatar aveva perso la memoria della connessione alla vita.
Le spettatrici incupivano la perdita. Gridavano l’abbandono. Gemevano la scomparsa. I vestiti immobili. Uno sull’altro. Sulla passerella attonita. Senza più corpi a sostenerli. Le urla vibravano i colli. Baccagliavano le mascelle. Scuotevano le inconsolabili. Fremevano le vedove delle avatar-io-modella. La musica misurava pedante. Ora saltavano. Ora scendevano dai loro spalti. Ora raccoglievano le vesti. Ora si spogliavano. Ora si rivestivano ammantate. La musica assecondava. La vita riprendeva. La voglia dilagava. Ora conquistavano le avatar di sé stesse. Sfrenate incedevano. Sudate berciavano. Sfiancate sfiancavano. Assetate tracannavano. Impudiche sbavavano. Rivivere è il mestiere più violento.
La Memory Squad 11, da pochi minuti operativa. Correva a furor di pedali. “Sono deceduti più di cinquanta avatar mannequin in pochi secondi!” sovrastava la comandante Akila Khaspros. “Ma le loro memorie, pur azzerate dal Grande Ictus Mnemonico, sono in grado di rimanere sospese nell’ambiente!…” Le biciclette spappolavano le ginocchia furibonde. Lo sterrato del Grande Giardino Cittadino scorciava la corsa verso la passerella. La passerella smodata sotto le luci. La passerella sguaiata dentro lo squasso. La passerella fracassata sopra le anime. La musica rispondeva ribelle.
Sbandate arrocavano. Compulse annaspavano. Straniate soffocavano. Devastate s’accasciavano. Stramazzate calciavano. Strangolate dai foulard, dalle cinture, dai corpetti, dalle sciarpe. Percosse a morte dai tacchi duri degli stivali svuotati. La musica picchiava cinica.
Le biciclette sbandarono sul legno lucido. Gli agenti le scivolarono sotto le gambe agili. Scavalcarono impietiti i corpi contorti e rantolanti. “Gli avatar stanno uccidendo le loro padrone…” sottovociò la comandante Khaspros. “I vestiti sono le armi della loro vendetta…” La musica fremeva complice.
(38-continua la serie. Ogni episodio è “chiuso”)