Le Pubbliche Amministrazioni che vogliono comprendere le necessità del cittadino devono tenere conto della rivoluzione social media. Soprattutto per prestare servizi più efficienti e far conoscere tante attività che a volte rimangono nell’ombra. Le opportunità sono evidenti ma spesso non sfruttate come si dovrebbe. E non è un caso.
In Italia, la priorità della comunicazione degli Enti nei confronti dei cittadini è un tema piuttosto recente. Il problema ha delle fondamenta: non da sempre le istituzioni percepiscono la necessità di adoperarsi per organizzare le proprie relazioni esterne e con il pubblico e, un tempo, probabilmente si sarebbe detto che questo non era loro neanche particolarmente necessario. Per un certo verso la si può spiegare come una naturale resistenza degli apparati a confrontarsi criticamente con la società che li circonda, per un altro si può capire come mai gli stessi non abbiano percepito né la necessità di fare servizio alla “clientela” né si siano tenuti aggiornati sugli strumenti utili a raggiungere questo scopo.
Gli Uffici Relazioni con il Pubblico
Prendiamo ad esempio gli Uffici Relazioni con il Pubblico (U.R.P.), che oggi diamo quasi per scontati. In realtà esistono da meno di 25 anni. Ideati nel 1993[1], il loro raggio d’azione è stato definito solo negli anni successivi per rispondere ad un grande cambiamento nella realtà istituzionale italiana, oltre che ad un rinnovato ruolo dello Stato nell’economia.
Con l’accelerata e sempre più ampia diffusione di società a partecipazione pubblica si iniziò poi a richiedere alle Amministrazioni un vero e proprio servizio di customer care nei confronti di cittadini-utenti anche per quello che riguarda prestazioni percepite come erogate dalle Amministrazioni stesse, piuttosto che dalle società partecipate. Le Amministrazioni si sono trovate di fronte alla necessità di fornire non solo una timida informazione sulle linee generali del loro operato, ma una vera e propria cura del cittadino-utente orientata all’assistenza rispetto a una serie di servizi che lo Stato si offre di garantire. Con non pochi problemi.
Pensiamoci un attimo, anche mettendo temporaneamente da parte l’aspetto delle innovazioni del web. Quanto ci consideriamo soddisfatti, come cittadini, rispetto ai servizi pubblici che otteniamo oggi? Quanto consideriamo chiare le procedure burocratiche che ci permettono di ricevere questi stessi servizi? Spesso molto poco. Cosa significa? Che il punto di partenza non è ottimo.
Comunicazione online delle PA, i problemi
Abbiamo a che fare con una pletora di Amministrazioni che già faticano a comunicare, assistere e spiegare ciò che fanno offline. Figuriamoci che impresa farglielo fare online!
Il problema è variegato. Da una parte l’età media dei dipendenti del pubblico impiego (i.e. 52 anni), con conseguente minor propensione all’aggiornamento digitale, dall’altra la velocità di crescita delle piattaforme social e delle applicazioni. In altre parole, se paragoniamo lo stress delle tante procedure con la facilità di un acquisto online qualunque, il confronto è impietoso.
Eppure la volontà c’è. Probabilmente lo scoglio più grande è la difficoltà di cogliere l’essenza prima dei social network: sono conversazioni reticolari e non semplici strumenti di comunicazione come quelli tradizionali. Un comunicato stampa o una pagina web partono da una fonte per colpire un determinato target. I social non sono mezzi di informazione ma ambienti dove si intersecano pubblico e privato, lavoro e vita privata, amici e colleghi. Sono piazze, appunto.
Quanti comunicatori pubblici ne sono consapevoli?
Un caso personale può essere utile ad inquadrare ancora meglio lo scenario.
PA e Social, i “danni” di precetti anacronistici
Due anni fa, un’agenzia della Regione Sardegna mi ha chiesto di organizzare due cicli formativi sulle tecniche di comunicazione digitale e poi di progettare la loro avventura social. Arrivo con qualche anticipo per predisporre i materiali e per gestire gli imprevisti che ogni tanto capitano ai formatori: c’è sempre la legge di Murphy che non ti farà funzionare qualcosa. Quella volta però la legge in questione cadde al cospetto di un’altra: la direttiva del Dipartimento della Funzione Pubblica del 2009[2] che impone all’Amministrazione “l’onere di predisporre misure per ridurre il rischio di usi impropri di internet” tra cui la visione di siti non pertinenti alla prestazione lavorativa. Immaginate lo stupore nel digitare l’indirizzo della pagina Facebook e visualizzare “Pagina non trovata”.
Ma come? Mi chiamate per fare una lezione sui social… e poi l’accesso è bloccato? Tant’è.
La ratio è perfettamente comprensibile. Ai tempi della direttiva eravamo agli inizi della digitalizzazione di massa: Facebook era appena nato, Twitter era agli albori e Instagram non esisteva ancora. Le prescrizioni erano di carattere generico e volte ad evitare che si perdesse tempo per soddisfare le curiosità più impensabili a scapito della qualità lavorativa del tempo passato in ufficio.
Oggi, ci troviamo di fronte a un precetto non solo anacronistico ma anche estremamente dannoso per due motivi principali: il primo riguarda le “distrazioni” che oggi sono appannaggio degli smartphone personali e non più dei computer sulle nostre scrivanie, navigano di vita propria con buona pace della direttiva Brunetta. Il secondo coinvolge poi il concetto di “conversazione” espresso sopra. Se i social network sono utilizzati solo dall’ufficio stampa pubblico per diffondere iniziative, allora stiamo usando solo la prima marcia della Ferrari.
L’importanza dell’engagement
Le grandi aziende private, quelle che del cliente interno ed esterno fanno una bandiera di eccellenza, lo sanno benissimo. Nello stesso periodo dell’avventura sarda, con la collega Irene Bertucci, abbiamo lavorato con Ferrero per il design di una campagna pubblicitaria. Appena lo spot video fu pubblicato su Facebook, in pochi minuti, ci furono molte migliaia di condivisioni. Facile intuire che si trattasse dei dipendenti dell’azienda.
La sfida è proprio questa: abbattere il filtro retrò “anti-distrazione” e investire sull’engagement, su strategie social che coinvolgano tutti nella conversazione, in primis i dipendenti pubblici.
Qualche esempio? I cittadini conoscono le grandi opere solamente dagli eventi di posa della prima pietra, di taglio del nastro d’inaugurazione o, peggio, dalle cronache che ne evidenziano ritardi, sprechi e malaffare. Cosa accadrebbe se il Piano Nazionale delle Infrastrutture fosse comunicato proprio con quelle “conversazioni” dove tutte le voci hanno rilievo: dal direttore dei lavori che periodicamente racconta in pillole lo stato di avanzamento, ai panorami toccati dalla nuova strada in costruzione fino al selfie in pausa pranzo del team dei muratori?
Una questione culturale
Cosa accadrebbe se in ogni museo italiano, gli assistenti museali oltre a ricordarci incessantemente il classico “no foto”, fossero proprio loro i narratori delle attività quotidiane? Otterremmo un fattore moltiplicatore di amplissima portata, una sorta di Effetto Ferrero del patrimonio nazionale.
Peccato, perché altrove le cose stanno andando molto diversamente. Uno studio di Hootsuite[3], società americana e osservatorio sulla realtà internazionale dei social media, illustra dettagliatamente come i social si siano dimostrati strumenti essenziali oltre che estremamente competitivi perché, riflettendoci, raggiungere i cittadini con gli strumenti tradizionali cartacei o telefonici è più costoso.
Il governo del Canada, particolarmente attivo sui social media, sta investendo molto per la comunicazione di diversi suoi Ministeri, Dipartimenti e agenzie locali, aumentando la sua copertura e riducendo la spesa totale in pubblicità del 39% in un anno.[4] Incentivare l’utilizzo dei social media va anche nella direzione di un’ottimizzazione della spesa pubblica che tanto viene richiesta dalla cittadinanza. Mica male.
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- art. 12 del dlgs 29/93 ↑
- http://www.funzionepubblica.gov.it/sites/funzionepubblica.gov.it/files/16620.pdf ↑
- Hootsuite. Proving the Value of Social Media Across the US Government. 2017 ↑
- https://www.ctvnews.ca/politics/trudeau-government-spent-13-6m-on-sponsored-social-media-1.3607104 ↑