La tecnologia, se usata con l’obiettivo di semplificare e uscendo dalla logica dei silos che imbriglia la pubblica amministrazione, potrebbe essere l’arma risolutiva contro le truffe e la riscossione illecita di denaro pubblico da parte di chi non ne ha diritto. Permetterebbe altresì di concentrarsi su attività a maggior valore aggiunto riducendo l’utilizzo di persone abili e preparate in controlli di forma che lasciano inevitabilmente dei buchi.
Un tema quanto mai (e da sempre) attuale nel nostro Paese, dove non passa quasi giorno senza che le cronache ci raccontino di operazioni delle forze dell’ordine volte a stanare il malaffare.
Negli ultimi mesi, in particolare, le cronache giornalistiche hanno raccontato l’azione di contrasto che la Guardia di Finanza sta portando avanti per colpire chi percepisce ingiustamente il reddito di cittadinanza, attraverso l’incrocio dei dati raccolti su diverse banche dati e una serie di controlli a campione sui percettori della misura di sostegno al reddito.
Erogazione di contributi pubblici a chi non ne ha diritto: realtà non più sostenibile
Mentre queste notizie da una parte ci dicono poco sulla validità o meno del contributo erogato ai cittadini che ne hanno fatto richiesta, dall’altra ci danno ancora una volta uno spaccato della inefficacia della gestione delle richieste di erogazione di un diritto da parte dei cittadini attraverso la formulazione di una domanda.
L’erogazione di un beneficio non dovuto a cittadini e imprese vede nel reddito di cittadinanza solo uno dei tanti casi. È all’ordine del giorno la cronaca di truffe ai danni dei contributi alle imprese, delle false invalidità, delle false dichiarazioni di ISEE che creano ingiustizia sul fronte del sostegno a chi ha maggiore bisogno o, ancora, delle false dichiarazioni dei certificati di alcune aziende che comportano concorrenza sleale nei confronti di quelle imprese che seguono le norme. Questo accade in ogni tipo di contributo, da quelli all’agricoltura a quelli europei, alla formazione, alle invalidità, ai tanti contributi alle imprese. Stiamo parlando di miliardi di euro di cui una parte può potenzialmente andare a chi non ne ha i requisiti.
La domanda che sorge è se sia ancora sostenibile che nel 2020 un flusso consistente di denaro pubblico possa essere percepito irregolarmente da soggetti che non ne hanno diritto mentre altri che ne hanno diritto magari nemmeno richiedono il contributo per evitare un meccanismo eccessivamente burocratico che scoraggerebbe chiunque.
L’iter di una richiesta di contributi parte con la presentazione della documentazione raccolta il più delle volte da altre amministrazioni pubbliche o da fonti a cui le amministrazioni possono accedere (es. conti bancari) e questa documentazione viene esaminata attraverso un controllo quasi sempre formale. Con il ddl. 445/2000 che prevede il meccanismo dell’autocertificazione, da una parte si è semplificata giustamente la vita a chi presenta la richiesta e dall’altra si è aumentato lo spazio di chi può presentare dichiarazioni false contando sul cattivo funzionamento della macchina dei controlli che rende molto bassa la probabilità di essere colti in fallo.
La logica a silos della PA che favorisce le truffe
Il tema che si pone è come utilizzare nel miglior modo possibile le tecnologie in nostro possesso per aiutare chi ha diritto di percepire i contributi e contrastare il crimine.
I controlli in atto da parte dell’autorità giudiziaria fanno emergere come le diverse banche dati della PA siano costruite con una logica a “silos”, scollegate tra di loro e potenzialmente incongruenti, come poco si è investito nel metterle in comunicazione pur mantenendo strutture e responsabilità diverse facendo in modo che vi siano web services in grado di sincronizzare le informazioni presenti, “motori” in grado di verificare la congruenza dei dati presenti, “motori” in grado di notificare ai cittadini ed imprese nel caso essi rientrino in una fascia che prevede la possibilità di percepire un diritto e perfino erogarlo direttamente senza bisogno di una domanda aggiuntiva.
Il lavoro sull’informatica pubblica partito ormai agli inizi degli anni ’90 non è ancora riuscito a introdurre una operazione generale di progressiva bonifica dei dati e razionalizzazione delle fonti accreditate, con il rischio che vi siano informazioni sulle stesse entità con contenuti diversi.
In questo mondo di “silos” che fanno fatica a parlarsi prospera la possibilità di creare meccanismi di truffa ai danni della PA, di favoritismi e corruzione (ad esempio facendo in modo che alcuni soggetti specifici non siano oggetto di controlli “a campione”).
Norme codificate e algoritmi per ridurre il potere discrezionale
La cronaca quotidiana dell’emersione di falsi invalidi e falsi bisognosi di reddito di cittadinanza ci dice dunque che la macchina dello Stato non è ancora in grado di far parlare tra loro enti diversi, di avere chiara una mappa dei dati posseduti e delle rispettive ownership sì da poter fare delle richieste in tempo reale tra enti e incrociare i dati.
Il Ministero delle Finanze è l’entità che ha accesso a numerose fonti esterne alla PA e potenzialmente raccoglie maggiori informazioni ma manca una entità in grado di incrociare i dati sulla base di regole fissate nei provvedimenti di legge. Dall’altra parte sarebbe anche sempre più necessario che le norme siano codificate in modo da lasciare sempre meno spazio alla discrezionalità e alle interpretazioni in modo da facilitare la costruzione di regole automatiche lasciando all’esame del personale i casi anomali o eccezionali che andranno comunque sempre trattati direttamente. La macchina non si sostituisce completamente all’uomo ma ne semplifica la vita smistando la stragrande maggioranza dei casi.
Forse è il caso di immaginare la costituzione di una entità a cui affidare l’obiettivo di interrogare le diverse banche dati (obbligando i diversi enti a mettere in piedi delle interfacce comuni) e a codificare le regole per la verifica dei requisiti in modo che possa essere automatizzato il più possibile e magari aiutando in fase di redazione delle norme a costruire regole chiare. Probabilmente non passerà molto tempo e le norme dovranno essere scritte con l’ausilio di un algoritmo che ne indichi l’applicabilità, questo ridurrebbe i casi di interpretazione con il potere discrezionale di una certa burocrazia.
Un forte mandato politico per razionalizzare la macchina statale
Va anche detto che non siamo all’anno zero, sicuramente si sta facendo molto lavoro per razionalizzare le fonti dati e metterle in comunicazione tra loro, costruire alcune banche dati di riferimento accessibili a tutte le amministrazioni (come l’ANPR) ma i tempi sono troppo lenti perché è molto difficile mettere tutti d’accordo.
Sarebbe necessario un mandato più forte dalla politica, un impegno più determinato a superare la burocrazia inutile.
Ribaltare il meccanismo di erogazione dei contributi è un passaggio quasi obbligato nella società dei dati: è sempre più incomprensibile che si debbano spendere enormi cifre sui controlli post e sui controlli formali quando sarebbe possibile automatizzarli ed evitare prima di erogare contributi a chi non ne ha diritto.
Significa rendere più razionale la macchina dello Stato, farla concentrare dove produce più risultati per la collettività, ridurre o eliminare il senso di “oppressione” che alcuni cittadini lamentano verso la burocrazia ma anche spingere le aziende IT che lavorano con la PA a realizzare progetti ed accumulare know-how in un settore che può trovare mercato in moltissimi ambiti.
Il settore bancario forse è quello che è più avanti, oggi bastano pochi click per vedersi approvato un prestito o un mutuo dopo che sono stati verificati i requisiti in modo automatico. Non possiamo non ambire ad una PA “smart” in grado di renderci la vita comoda senza la fatica di chiedere un diritto e senza la paura che un controllo debba farci perdere del tempo per dimostrare di possederlo.