Il nuovo testo del comma 1-quater dell’articolo 17 del Codice dell’Amministrazione Digitale [CAD] entrato in vigore sabato dispone: “È istituito presso l’AgID l’ufficio del difensore civico per il digitale, a cui è preposto un soggetto in possesso di adeguati requisiti di terzietà, autonomia e imparzialità. Chiunque può presentare al difensore civico per il digitale, attraverso apposita area presente sul sito istituzionale dell’AgID, segnalazioni relative a presunte violazioni del presente Codice e di ogni altra norma in materia di digitalizzazione ed innovazione della pubblica amministrazione da parte dei soggetti di cui all’articolo 2, comma 2. Ricevuta la segnalazione, il difensore civico, se la ritiene fondata, invita il soggetto responsabile della violazione a porvi rimedio tempestivamente e comunque non oltre trenta giorni. Le decisioni del difensore civico sono pubblicate in un’apposita area del sito Internet istituzionale. Il difensore segnala le inadempienze all’ufficio competente per i procedimenti disciplinari di ciascuna amministrazione”.
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La previsione non è rivoluzionaria giacché già il testo del CAD risultato del precedente intervento di modifica realizzato in attuazione della stessa legge delega [ndr la c.d. riforma Madia] prevedeva l’obbligo di ogni amministrazione di istituire un ufficio del difensore civico digitale.
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Rivoluzionari, tuttavia, potrebbero essere gli effetti dell’applicazione della nuova disciplina se attuata tempestivamente e, soprattutto, in modo efficace.
Per la prima volta dal 2005 – data del varo del Codice dell’amministrazione digitale – i “nuovi” diritti riconosciuti a cittadini e imprese allo scopo di semplificare e rendere più efficace il loro rapporto con l’Amministrazione potrebbero passare da buoni propositi e eterne speranze a veri e propri diritti di cittadinanza in digitale capaci di dar forma e sostanza al dialogo tra cittadini, imprese, amministrazioni e fornitori di servizi pubblici.
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Le funzioni del difensore civico
Per la prima volta, infatti, esisterà una figura, un ufficio, un soggetto – terzo, imparziale, competente e autonomo per legge – al quale cittadini e imprese potranno rivolgersi, in maniera agile, semplice e immediata, senza formalità, intermediari professionali né carte da bollo per segnalare amministrazioni e concessionari di pubblici servizi che, a dispetto delle regole del Codice, resistono ostinatamente alla trasformazione digitale e ostacolano il Paese lungo la strada del futuro.
Sin qui l’unica chance era scrivere una PEC direttamente all’amministrazione riottosa o, magari, rivolgersi a un avvocato perché trascinasse quell’amministrazione davanti ai Giudici amministrativi.
Un percorso incompatibile con l’esercizio dei diritti di cittadinanza digitale sanciti dal Codice dell’amministrazione digitale che sono tamerici dei diritti, frammenti quotidiani di obblighi che disegnano quello che, ai tempi di Internet e del digitale, dovrebbe essere il rapporto tra Amministratori e amministrati.
E, infatti, se si provasse a contare le volte che un cittadino o un’impresa hanno, sin qui, azionato i diritti del CAD davanti a un Giudice, portando alla sbarra un’amministrazione per deficit di digitalizzazione, ci si renderebbe conto che, probabilmente, le dita di due mani son più che sufficienti.
Ora cambia tutto o, almeno, potrebbe.
Che cosa cambia
Innanzitutto perché il difensore civico digitale che il correttivo del Codice dell’amministrazione digitale istituisce presso l’Agenzia per l’Italia digitale potrà e dovrà fare attività di educazione civica digitale: raccontare a cittadini e imprese, al di là di norme e precetti scritti in giuridiche se, quali sono i loro diritti di cittadinanza digitale e come li si esercita.
E poi perché, cittadini e imprese, potranno, in pochi click o, meglio ancora, pochi tap sullo schermo di smartphone e tablet, segnalare all’ufficio del difensore civico digitale gli ostacoli che incontrano nell’esercizio dei loro diritti di cittadinanza digitale e/o gli inadempimenti di amministrazioni e concessionari di pubblici servizi nei quali si imbattono, chiedendo che il difensore civico, verifichi, valuti e, qualora la contestazione risulti fondata intervenga per convincere – con le sole armi dell’autorevolezza e della moral suasion – l’amministrazione o il concessionario del servizio pubblico a rispettare i suoi doveri digitali.
Tutti per uno e uno per tutti, verrebbe da dire.
Cittadini e imprese si trasformeranno in sentinelle di cittadinanza digitale e, dal basso, segnaleranno ciò che non funziona perché il difensore civico possa, al posto loro, farsi carico di dar forma e sostanza ai diritti dimenticati, violati o ignorati.
Ma, attenzione.
Guai a lasciarsi prendere da facili entusiasmi e altrettanto facili illusioni.
Gli ostacoli
Oltre dieci anni di Codice dell’amministrazione digitale, ormai, insegnano che le norme da sole non bastano non solo a far rivoluzioni ma, neppure, a realizzare trasformazioni come quella che serve al nostro Paese.
Le norme – anche le migliori – abilitano i processi di trasformazione ma perché questi ultimi abbiano successo servono competenze – tante – le tecnologie giuste e, soprattutto, tanta, ma tanta davvero, serietà e determinazione da parte di tutti nel rispetto reciproco di diritti, doveri, compiti e funzioni.
E, allora, se sull’Agenzia per l’Italia digitale, nelle prossime settimane, graverà il compito più faticoso di creare da zero un ufficio complesso e dal quale, a ragione, in tanti si aspetteranno molto, su cittadini e imprese, una volta che l’ufficio del difensore civico digitale sarà operativo, graverà l’onere di fare in modo che possa funzionare in maniera efficiente utilizzandolo quando serve davvero e, dunque, né troppo poco, né troppo.
Il difensore civico digitale potrebbe, davvero, fare la differenza ma la condizione – ora che le norme ci sono – è che ciascuno faccia la sua parte senza limitarsi a restare a guardare.